sabato 6 luglio 2024
Il premio Nobel per l'Economia lunedì 8 luglio terrà la sua lezione alla EoF School 2024. Al centro, i guai di un modello economico che non tiene conto di come sta la gente "normale"
L'economista scozzese Angus Deaton in una foto del 2017

L'economista scozzese Angus Deaton in una foto del 2017 - Ansa

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Angus Deaton ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 2015 grazie ai suoi studi sui consumi: cioè sulle scelte individuali che le persone fanno quando danno i loro soldi in cambio di qualcos’altro. I consumi, per questo economista scozzese trapiantato in America (ha insegnato a Princeton dal 1983 al 2016, ora è docente emerito), sono la chiave per capire le ragioni della povertà e per elaborare soluzioni se la si vuole contrastare. Oggi, che ha 79 anni e continua a fare ricerca con a fianco la moglie Anne Case, altra autorevole economista di Princeton, Deaton è diventato uno dei più autorevoli critici dello sviluppo che ha avuto il capitalismo. Occorre “ripensare il capitalismo”, come ha titolato la lezione che terrà domani per la quarta edizione della Scuola di Economy of Francesco, il movimento di giovani per il rinnovamento dell’economia promosso dal Papa.

Perché il capitalismo va ripensato, che cosa non funziona nel modello economico alla base del successo dell’Occidente?

Il capitalismo, come praticato oggi in America, non funziona per la maggior parte delle persone. Non è solo un problema di allargamento delle disuguaglianze nella ricchezza e nel reddito. Gli americani meno istruiti, quelli senza una laurea, hanno certamente sofferto economicamente negli ultimi cinquant’anni, ma non è tutto. Le loro vite stanno peggiorando: hanno un’aspettativa di vita più bassa, più malattie, matrimoni falliti e famiglie frammentate. Il potere dei sindacati è scomparso, così le grandi aziende e un’élite istruita stanno gestendo il Paese e l’economia con pochissimo “input” da parte della gente comune.

Sul blog del Fondo monetario internazionale ha messo in discussioni molti dei dogmi del modello economico prevalente: dal princpio dell’efficienza alla poca attenzione al ruolo del potere nell’attività economica fino alla scarsa umiltà degli economisti. Che cosa la sta spingendo su posizioni così critiche?

Quello che mi ha portato a queste posizioni è la realtà empirica! Anne Case e io abbiamo scritto dell’aumento delle “morti per disperazione”, persone che muoiono per droga, malattie legate all’alcol, suicidi. Abbiamo cercato di capire perché questo stia accadendo e perché l’aumento delle morti riguardi quasi solo persone senza una laurea. Uno dei fattori importanti che abbiamo individuato è il trasferimento del potere dalle persone che lavorano verso le grandi aziende e le persone istruite. Nelle scienze economiche il concetto di potere è sempre più studiato, con lavori interessanti che documentano il potere che i monopoli hanno sui prezzi e quelli che le monopsonie (le situazioni in cui c’è solo un acquirente per una pluralità di venditori, ndr) hanno sui salari. Allo stesso tempo, a Washington negli ultimi cinquant’anni l’attività di lobbying delle aziende è notevolmente aumentata, mentre è diminuita quella dei sindacati. Settori come le banche, tecnologia e settore sanitario sono sempre più potenti a scapito delle persone comuni. Gli economisti mainstream, almeno quelli al potere a Washington, sembrano largamente indifferenti a questo deterioramento del contratto sociale. Tutti, incluso me, sono a favore dell’efficienza, ma non può essere l’unico obiettivo nella gestione dello Stato. Almeno dai tempi di Reagan, sia le amministrazioni democratiche che quelle repubblicane e i loro economisti hanno governato più a favore delle corporazioni e di Wall Street che a favore dei lavoratori.

Una protesta dei lavoratori del gigante della logistica Ups: per Deaton lo scarso potere dei sindacati è uno dei grandi problemi dei nostri tempi

Una protesta dei lavoratori del gigante della logistica Ups: per Deaton lo scarso potere dei sindacati è uno dei grandi problemi dei nostri tempi - Ansa

Teme che la crescita delle disuguaglianze in tutto l’Occidente possa mettere in crisi la democrazia e quindi il futuro stesso del capitalismo democratico?

Sulle disuguaglianze economiche ci sono molte differenze tra l’Europa e gli Stati Uniti. Il fatto è che non credo che dovremmo parlare di disuguaglianza come una minaccia alla democrazia senza pensare a quale tipo di disuguaglianza e in quali circostanze. Molti americani e molti europei hanno poco controllo sulle politiche che influenzano le loro vite quando sono minacciate da grandi fenomeni come la deindustrializzazione o l’immigrazione. Una democrazia di successo richiede che tutti abbiano voce in capitolo. Questo non sta accadendo. Quel tipo di disuguaglianza è essa stessa una misura del fallimento della democrazia.

Qualcosa sta cambiando in questa direzione nel modo in cui si studia e si insegna oggi la teoria economica?

Non insegno da un decennio, non ho più una visione completa delle tendenze più recenti. Nonostante questo vedo qualche cambiamento. Ad esempio, il programma CORE Econ ha prodotto un set alternativo di libri di testo (gratuiti) e credo che vengano utilizzati, anche negli Stati Uniti. Rispetto al passato c’è sicuramente molta più apertura a modi alternativi di pensare all’economia a tutti i livelli della professione. Detto questo, ci sono sempre stati molti punti di vista all’interno dell’economia e alcuni di questi stanno ottenendo più enfasi nel mainstream.

Il modello economico prevalente oggi lascia solo in secondo piano l’etica. Qual è il prezzo di questa scelta?

Concentrarsi sull’efficienza è una scelta etica a meno che non venga gestita la redistribuzione, cosa che, in pratica, avviene di rado o mai. Più in generale, penso che l’economia tenda a misurare il benessere in termini di denaro, in particolare guardando al reddito o al consumo. Questi sono importanti, ma troppo limitati: si trascurano elementi che sono importanti per le persone: ad esempio tutto ciò che riguarda la loro salute ma anche le relazioni con altre persone nelle loro comunità. Se il commercio con l’estero porta per esempio alla chiusura di una fabbrica con la perdita di posti di lavoro ci sono conseguenze che vanno oltre ai redditi persi, con comunità ridimensionate o addirittura distrutte e conseguenze negative sul capitale sociale e relazionale.

Com’è nato il suo rapporto con il movimento Economy of Francesco? Condivide la lettura della realtà economica espressa dalla Chiesa in questi anni?

Questa lezione sarà la mia prima collaborazione con Economy of Francesco. In generale, sono molto in sintonia con molte delle idee espresse dalla Chiesa: ad esempio perché ha sempre contestato l’idea che la società dei consumi sia l’obiettivo più appropriato per le persone, sostiene la santità della vita umana e l’importanza della famiglia e della comunità. L’America sarebbe un Paese di gran lunga più prospero oggi se nel guidare la politica economica fossero stati presi più in considerazione questi obiettivi.

È in crisi la globalizzazione, che è stata uno dei principali motori della crescita economica degli ultimi decenni. Come vede la fase in cui sta entrando l’economia internazionale?

Non sono così sicuro che la globalizzazione sia uno dei principali motori della crescita economica. Certamente è così in Cina, ma meno in India, dove altri fattori sono stati più importanti. E la riduzione della povertà in India ha giocato un ruolo importante nella riduzione della povertà globale. Tuttavia, l’opportunità di esportare le produzioni manifatturiere è stata importante per diversi Paesi un tempo poveri, quindi sì, la globalizzazione è stata uno dei motori della crescita economica. La fase più intensa della globalizzazione, spesso chiamata iper-globalizzazione, è stata condotta senza prestare abbastanza attenzione al contratto sociale all’interno dei Paesi ricchi: così per le grandi aziende e le banche è stata molto positiva, mentre le persone della classe operaia e della classe media no. In futuro, spero che sarà possibile ricostruire una forma di globalizzazione che sia più attenta a mantenere i contratti sociali.

A novembre gli Stati Uniti sceglieranno il loro presidente. È ottimista sulla possibilità che si vada verso una politica più economica più attenta ai problemi della parte più debole della società?

Penso che l’amministrazione Biden abbia fatto un buon lavoro nel muoversi verso scelte politiche più positive e spero che abbia che avranno la possibilità di continuare. A mio avviso, l’elezione di Donald Trump sarebbe un disastro per l’America e per il mondo.

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