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Ma facciamo un passo indietro. A gennaio è stato approvato il decreto che autorizza la cessione di una quota della partecipazione del Tesoro, che al momento è del 29,25%. Per Poste sarà una seconda privatizzazione, a distanza di dieci anni da quella avviata nel 2015 con la vendita del 35%. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha assicurato che il controllo resterà pubblico. Attualmente lo Stato controlla circa il 65% di Poste, con un 35% gestito indirettamente attraverso Cassa depositi e prestiti. Secondo gli analisti dalla vendita, nel caso della cessione dell’intera quota del Mef, si potrebbero incassare 3,5 miliardi di euro.
Ma per i sindacati si tratta di un’operazione che non porterà nessun beneficio alla comunità. «Siamo molto preoccupati perché si parla di vendere il 30% della proprietà, al momento non sappiamo nulla di preciso perché la nostra richiesta di essere convocati dal ministero è caduta nel nulla – spiega Raffaele Roscigno, segretario generale della Slp Cisl –. Due settimane fa siamo stati in commissione Trasporti dove hanno ascoltato le nostre perplessità ma non sono stati in grado di darci risposte». Dal punto di vista prettamente economico secondo Roscigno l’operazione non sta in piedi. «Lo Stato riceve circa 600 milioni di dividendi da Poste, che con la privatizzazione verrebbero meno. Nel giro di tre o quattro anni la somma incassata sarà equivalente ai mancati dividenti. È un’operazione per fare cassa adesso, ma porterà più danni che benefici».
Un altro problema è l’impatto occupazionale, con gli investitori (attualmente il 35% privatizzato è in mano ad investitori internazionali) decisi a rientrare del capitale investito. Il costo del lavoro sarà la prima voce ad essere tagliata, secondo i sindacati. Del resto anche nel piano strategico quinquennale presentato dall’amministratore delegato Matteo Del Fante mercoledì, si ipotizza una riduzione dell’organico da 119mila a 113 mila dipendenti. «Un’assurdità per un’azienda che ha 2,3 miliardi di bilancio in attivo» sottolinea Roscigno.
I sindacati su questo punto vogliono vederci chiaro e sono pronti a dare battaglia. «In base a quanto leggiamo dal piano d’impresa presentato emerge già chiara la previsione di un taglio occupazionale che, come abbiamo denunciato più volte in questi mesi, rischia di tradursi in un automatismo già visto nel passato, ossia di fatto i ricavi saranno in linea con l’abbattimento del costo del lavoro. Questa cosa per noi è e resta inaccettabile» commentano in una nota congiunta le tre sigle confederali con Confsal, Ugl e Failp Cisal.
Roscigno sottolinea come l’azienda sia diventata davvero un “gioiellino” (termine che era stato usato dal premier Meloni per smentire voci poi rivelatesi fondate sulla privatizzazione, ndr). Oltre alle attività legate al risparmio, Poste è da sempre la cassaforte degli italiani, lo scorso anno per la prima volta il settore logistica ha raggiunto il pareggio, grazie anche ai contratti con le piattaforme di e-commerce, a partire da Amazon. C’è stato poi, dalla pandemia in avanti, un forte sviluppo in chiave digitale, con servizi essenziali per i cittadini come l’attivazione dello Spid. Per chi vive nei piccoli Comuni l’ufficio postale fa al tempo stesso da banca e accesso fisico ai servizi della pubblica amministrazione. «Sarebbe un vero peccato svendere un’azienda del genere. In alcuni Paesi d’Europa le Poste sono fallite, in altri si punta alla privatizzazione perché sono in perdita ma in Italia la situazione è molto differente» precisa Roscigno. Al governo il sindacato chiede soprattutto chiarezza: è impensabile la cessione di tutta la quota del ministero dell’Economia. «Noi chiediamo un confronto serio con il governo. Siamo pronti a discutere. Ma chiediamo precise rassicurazioni sulla eventuale riduzione degli organici o dei servizi postali», conclude il segretario della Spl Cisl.
Ultimo tasto dolente il rinnovo del contratto: la proposta avanzata è un aumento medio di 260 euro nel triennio, definita dalle sigle di categoria «un correttivo al lavoro povero ormai sempre più presente». Ma anche in questo caso dalla controparte non c’è stata ancora nessuna risposta.
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