giovedì 11 luglio 2024
Il Paese, fallito nel 2020, è il primo ad aver sfruttato il meccanismo del Common Framework per ristrutturare i propri debiti. Ha ricevuto sostegno dal Fmi, ma la povertà è al 60%
Lo Zambia riemerso dal default prova a ripartire dalle materie prime
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Una democrazia fondata sul rame, l’“oro rosso” di cui è secondo produttore al mondo e che resta materiale cruciale per la transizione energetica, dall’utilizzo nella produzione di pannelli solari alle turbine eoliche, dai cavi alle batterie. Non fosse altro che per l’importanza delle sue materie prime per le catene di fornitura globali, non è certo passato inosservato, nel novembre 2020, il default dello Zambia, Paese dell’Africa centro-meridionale diventato, suo malgrado, caso di scuola sul fronte del debito sovrano.

Con un fardello pari ad oltre il 140% del Pil, uno stock di debito pubblico da 27 miliardi di dollari (17 miliardi di debito estero e 10 miliardi nei confronti di creditori locali), il governo di Lusaka aveva dovuto dichiarare l’impossibilità di far fronte agli impegni, con un’economia locale, già fragile, stroncata dagli effetti secondari della pandemia. Oltre 1.300 giorni più tardi, lo Zambia è ora il primo Paese a livello globale ad aver sfruttato il tortuoso meccanismo del cosiddetto Common Framework per ristrutturare i propri eurobond oltre ai debiti bilaterali, il più grande dei quali nei confronti della Cina.

Pechino, dal canto suo, ha dovuto realizzare che diventare grande creditore di Paesi con rating a rischio – con l’obiettivo di aumentare la sua influenza politica globale – ha, alla fine, un prezzo. Il default dello Zambia è di fatto alle spalle, anche se restano da ristrutturare 3,3 miliardi di debito verso creditori commerciali come alcune banche cinesi, con le quali i negoziati sono in corso. Resta, però, una dura lezione sia per i Paesi più ricchi sui loro piani di riduzione del debito e sulle perdite subite, sia, evidentemente, per lo stesso Zambia, dove già nel 2022 i livelli di povertà erano saliti al 60% dei suoi 20 milioni di abitanti.

Oggi il peggiore periodo di siccità in almeno quattro decenni sta infliggendo un ulteriore colpo al Paese, con la produzione di mais scesa del 54% quest’anno, al livello più basso dal 2008, e con le famiglie e le imprese che hanno a disposizione elettricità solo per metà giornata perché le dighe idroelettriche, principale fonte di energia, sono a secco. Le autorità hanno appena annunciato la necessità di importare 650mila tonnellate di mais dalla vicina Tanzania per poter sfamare la popolazione Uno Zambia fuori dal default, insomma, ma comunque in ginocchio, con la produzione di rame che resta centrale e la necessità di una graduale diversificazione economica anche grazie a politiche orientate a favorire gli investimenti, anche se servirà tempo per riacquisire credibilità sui mercati.

Si stima che la ristrutturazione complessiva taglierà circa 900 milioni di dollari dal debito dello Zambia e distribuirà i suoi pagamenti futuri ai creditori – soprattutto la Cina, ma anche Francia, Gran Bretagna, India, Sudafrica e Israele – su un arco di tempo molto più lungo, con un’estensione media di oltre 12 anni a un tasso di interesse dell’1%. Nel prossimo decennio, lo Zambia ripagherà ai creditori ufficiali circa 750 milioni di dollari, rispetto ai 6 miliardi di dollari previsti prima della ristrutturazione del debito. Parallelamente, il governo di Lusaka ha chiesto al Fondo monetario internazionale di aumentare il suo programma di salvataggio da 1,3 a 1,7 miliardi di dollari, anche per aiutarlo a uscire dalla siccità, mentre è già stato già raggiunto un accordo tra lo stesso Fmi e le autorità locali per la quarta erogazione di una nuova linea di credito da 573 milioni di dollari.

Nelle scorse settimane il presidente dello Zambia Hakainde Hichilema ha sottolineato che gli aiuti sono fondamentali per «far fronte efficacemente alle necessità umanitarie, con 9,8 milioni di persone colpite dalla siccità». A maggio il tasso di inflazione è salito per l’undicesimo mese consecutivo, arrivando al 14,7%, con aumenti ancora più alti per il prezzo dei generi alimentari (16,2%) e a fronte di un continuo indebolimento della valuta locale, il kwacha. Se, insomma, la traiettoria del debito sembra tornata sotto controllo, la strada verso la risalita e uno sviluppo sostenibile resta lunga.

Nei giorni scorsi il governo ha annunciato l’istituzione di un nuovo ente per gli investimenti e il commercio delle materie prime che dovrebbe consentire maggiori introiti dalle risorse naturali del Paese, grazie a nuovi meccanismi produttivi e di negoziazione dei prezzi. Entro la fine del 2025, inoltre, lo Zambia potrebbe dotarsi di una raffineria di cobalto, la prima in tutta l’Africa, nella zona di Chingola, grazie ai finanziamenti di Africa Finance Corporation, un'istituzione finanziaria multilaterale panafricana. Lo Zambia non è un grande produttore di cobalto, ma la vicina Repubblica democratica del Congo estrae circa due terzi delle forniture mondiali del metallo cruciale per la produzione di batterie dei veicoli elettrici. Gli introiti derivanti dalle materie prime serviranno anche a rilanciare molte infrastrutture che il default ha posto negli ultimi anni in stand-by.

Lo Zambia ha contratto la maggior parte dei prestiti cinesi durante il regno dell’ex presidente Edgar Lungu, il cui governo, tra accuse di corruzione e di cattiva gestione delle finanze pubbliche, aveva intrapreso massicci progetti infrastrutturali finanziati da Pechino. La sospensione dei rimborsi decisa dal successore di Lungu, l’attuale presidente Hichilema, aveva infatti avuto come conseguenza lo stop allo sviluppo delle reti stradali e di progetti tecnologici finanziati dai creditori cinesi, progetti che ora andranno rivitalizzati.

Pechino ha intanto annunciato l'intenzione di investire più di un miliardo di dollari nella riabilitazione della strategica ferrovia di Tazara, per trasportare il rame locale fino al porto tanzaniano di Dar es Salaam. Progetti, ipotesi di rilancio di uno Zambia che primo tra tutti i Paesi africani ha sperimentato il precipizio del default post-pandemia. E che ora spera, osservato da vicino il baratro, di non doversi mai più riaffacciare su quello strapiombo.

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