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Giovanni Ferrazzi parla di uno «scossone» dei prezzi da un momento all’altro. La sala ascolta in silenzio l’economista dell’Università di Milano, mentre racconta i mercati con la metafora dell’altalena. E un industriale di peso come Mauro Fanin ci mette il carico: «Potrebbero risvegliarsi con prezzi interessanti».
Al convegno sul futuro delle commodities promosso alla Granaria di Milano dalla Coldiretti, ieri mattina, il primo piano ce l’aveva il mais, ma l’analisi è stata a 360°. La Lombardia è storicamente la stalla d’Italia, ma la produzione maidicola, da anni, alimenta anche la produzione di bioenergie. È un prodotto esposto alla doppia volatilità di rese e prezzi. Le prime le condiziona il clima – «ma anche il fatto che manchi una ricerca pubblica» puntualizza il docente – le seconde una serie lunghissima di fattori. Anche culturali e politici: «L’opinione pubblica – e la politica con essa – deve capire che l’agricoltura ha un ruolo importante e che dipendere dall’estero nella zootecnia mette a rischio filiere strategiche come il Parmigiano e il Grana».
Secondo Ferrazzi «bisogna capire che senza questi prodotti non arriviamo a produrre il made in Italy che traina il nostro export»; ma anche il settore agroalimentare deve investire di più in innovazione. Non si creda che basti competere sul prezzo, quanto meno non in un Paese industrializzato, che ha costi medi più elevati del resto del mondo. Perché la tagliola dei prezzi mondiali non perdona.
L’esperto ha evidenziato che il mais è il cereale che meglio fotografa l’incertezza del periodo storico che viviamo: la dinamica dei prezzi del mais segue quella di tutte le altre materie prime, compreso il petrolio. Le oscillazioni dall’inizio del nuovo millennio si sono ravvicinate e la volatilità dei mercati si è accentuata: ciò che avveniva una vita ogni dieci anni ora avviene una volta all’anno. Ciò significa che aumenta il rischio imprenditoriale. Anche perché non si fa abbastanza ricerca sulle varietà che resistono allo stress idrico e si dipende troppo dalle sementi acclimatate in altre aree geografiche, con la conseguenza che le rese oscillano intorno al 10% all’anno. Oggi i prezzi sono ai livelli dello choc petrolifero, ormai prossimi ai 320 dei famosi 350 dollari a tonnellata, e l’Europa è deficitaria, giacché l’import oscilla tra il 70 e il 90%.
Un altro cereale sferzato dai venti del mercato è il grano. Come ha spiegato Stefano Serra (Info Granarie e Servizi) le produzioni canadesi saranno confermate e negli Usa la situazione pare sotto controllo, ma si teme la siccità e si sta già muovendo anche la speculazione geopolitica: «La Russia sta svendendo per fare cassa e se consideriamo che l’effetto cambio su questi mercati è addirittura del 30%, la Turchia può alienare in ogni momento due milioni di tonnellate di grano duro di bassa qualità, da miscelare a quello russo o kazako. L’ha già fatto, sommando all’export di questa enorme massa di commodity la svalutazione della lira turca».
Un ottimo affare per Erdogan ma un terremoto per noi. In platea, il presidente di Coldiretti Alessandro Rota ieri commentava: «Anche quest’anno saremo sull’altalena».
È quel che teme il riso, una produzione di cui l’Italia è leader europeo, e che subisce più di altri gli effetti del cambiamento climatico e delle politiche ambientali. Il direttore dell’Ente Risi, Roberto Magnaghi, non tace che «La politica del Green deal non ha pensato cosa sarebbe successo realmente all’agricoltura, così come non si riflette che importare indiscriminatamente riso asiatico confezionato a dazio zero stronca la risicoltura europea». Malgrado questa coltura, come spiegava ieri il risicoltore Cesare Fedeli (Milano Sementi), sia oggetto di forti investimenti di innovazione: «Abbiamo portato i premi ai moltiplicatori di seme da 6 a 15 euro – ha detto – e la stessa Turchia che specula sul grano è costretta ad approvvigionarsi di seme di riso in Italia».
Decisamente condizionato dagli andamenti politici e climatici del Sudamerica è invece il mercato della soia. «I prezzi si sono risvegliati e anche quelli dei cereali non dormiranno a lungo, in questo momento bisogna dormire con un occhio aperto. I mercati potrebbero risvegliarsi diventando prezzi interessanti rispetto alle colture cerealicole in genere» ha commentato Mauro Fanin, presidente di Cereal docks, un grande gruppo italiano che trasforma farine, oli e lecitine. «Anche nella soia – ha detto – il mercato è fatto di montagne russe, condizionato dagli acquisti cinesi o dal clima brasiliano. Oggi risalgono, in seguito alle alluvioni sudamericane e questi movimenti ci riguardano da vicino perché siamo dei piccolissimi produttori a livello mondiale ma siamo il primo produttore europeo». Di un prodotto che oltre a fornire preziose proteine vegetali è alla base della filiera del biodiesel. Fanin usa l’olio di soia per alimentare le caldaie dei suoi stabilimenti.