mercoledì 21 febbraio 2024
Ma la trattativa con le rappresentanze delle imprese non sarà facile e potrebbe mettere alla prova la compattezza del fronte sindacale
I metalmeccanici chiedono 35 ore di lavoro a settimana e aumenti da 280 euro

I metalmeccanici chiedono 35 ore di lavoro a settimana e aumenti da 280 euro - Imagoeconomica

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Un aumento di 280 euro in tre anni e l’obiettivo di ridurre gradualmente l’orario di lavoro a 35 ore settimanali. Ma anche un’indennità da 700 euro per i lavoratori che non hanno la contrattazione integrativa, paletti più stringenti per i contratti precari, più welfare e, almeno nelle grandi aziende, un maggiore coinvolgimento delle rappresentanze sindacali nelle scelte strategiche. I sindacati dei metalmeccanici alzano l’asticella nella loro proposta di rinnovo contrattuale. Nella piattaforma unitaria che Fiom, Fim e Uilm hanno presentato ieri e che sottoporranno al giudizio dei lavoratori prima del confronto con i “padroni” di Federmeccanica e Assistal, non c’è solo la difesa del potere d’acquisto dalla mannaia dell’inflazione ma anche molto altro. La novità più vistosa riguarda l’orario di lavoro. I sindacati delle tute blu chiedono «una fase di sperimentazione contrattuale con l’obiettivo di raggiungere progressivamente una riduzione a 35 ore settimanali», rispetto alle 40 attuali, a parità di salario. Una ricetta per difendere il lavoro dai «cambiamenti epocali della transizione ecologica, digitale e tecnologica e dai processi di riorganizzazione e crisi», spiegano le federazioni: «l’obiettivo principale è garantire l’occupazione aumentando la produttività e la competitività grazie agli investimenti attuando forme di riduzione dell’orario». Un processo che è già partito nella contrattazione di secondo livello e che ora «è fondamentale sperimentare ed estendere nel contratto nazionale».

Per quanto riguarda i salari all’ultima tornata contrattuale 202124 i sindacati erano stati previdenti assicurandosi un meccanismo di tutela del potere d’acquisto che ha contenuto i danni della superinflazione molto meglio che in altri settori economici, anche se non ha recuperato tutto l’aumento dei prezzi. Ora le tute blu giocano di anticipo chiedendo 280 mensili lordi in più in busta paga, ovvero un aumento a regime del 13% in tre anni, che va oltre l’indice Ipca depurato dai costi energetici importati, il parametro base per i rinnovi. Questo rinnovo contrattuale «è certamente ambizioso e sfidante, la nostra piattaforma cerca di leggere i nuovi bisogni dei lavoratori che sono sempre più determinati dalle transizioni ecologica, digitale, generazionale», ha osservato il segretario della Fim Cisl Roberto Benaglia che chiede a Federmeccanica di «lavorare insieme con un confronto costruttivo e propositivo». Puntiamo a una «grande innovazione contrattuale» dove «anche la revisione e la riduzione del sistema degli orari di lavoro, rappresenta un elemento sfidante legato ai cambiamenti in atto». Infine «è fondamentale dare un migliore riconoscimento salariale al valore del lavoro». Per il leader Uilm Rocco Palombella la riduzione dell’orario sarà «uno strumento fondamentale per affrontare gli effetti occupazionali della transizione e le crisi industriali. Chiederemo al governo misure che agevolino la riduzione di orario, a partire dai 20 miliardi di euro spesi ogni anno per ammortizzatori sociali che impoveriscono i lavoratori e non danno risposte». Aggiunge Michele De Palma, segretario generale Fiom. «Il salario, l'orario, la stabilità del lavoro, la salute e la sicurezza, la formazione, il welfare e la parità di genere sono i pilastri di questo rinnovo contrattuale».

Il capo delle tute blu Cgil sottolinea che le transizioni in atto le «fanno le metalmeccaniche e i metalmeccanici che ricercano, creano, producono, istallano e dobbiamo renderle socialmente compatibile anche attraverso una riduzione e rimodulazione degli orari» Quello della tute blu non è un contratto tra i tanti e spesso diventa punto di riferimento per l’intero sistema industriale. Riguarda più di 1,5 milioni di addetti in 30 mila aziende che rappresentano (dati Inps del 2022) il 6,2% dell’occupazione ma valgono l’8% del Pil e ben il 45% delle esportazioni targate Italia. Un settore decisivo per la vocazione manifatturiera del nostro Paese della quale produce il 50% del valore aggiunto. Come gli stessi sindacati sottolineano nel settore convivono «comparti che sono in una fase di sviluppo (la microelettronica, l’informatica e il ferroviario) e altri che stanno attraversando fasi di difficoltà (l’automotive, l’elettrodomestico, la siderurgia)». Di fronte a un contesto industriale così variegato e in una fase di così grandi cambiamenti la trattativa con le rappresentanze delle imprese non sarà facile e potrebbe mettere alla prova la compattezza del fronte sindacale.

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