Quasi 900mila colf e badanti in Italia - Archivio
Più la popolazione invecchia, maggiore sarebbe il bisogno di colf e badanti. Con la crescita dell'aspettativa di vita degli italiani, infatti, aumentano le opportunità nel lavoro domestico e di cura. Nel 2022 l'Italia ha registrato un totale di 894mila lavoratori domestici, tra cui 429mila badanti e 465mila colf. Parte da questi dati il primo Osservatorio Il potenziale del lavoro domestico - Proposte di intervento di Nuova Collaborazione (Associazione nazionale datori di lavoro domestico) realizzato dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi con l'obiettivo di esplorare il ruolo e l'evoluzione del lavoro domestico nel contesto socioeconomico italiano. Lo studio dimostra quanto il lavoro di cura non sia realmente supportato da adeguate politiche e agevolazioni fiscali con un impatto maggiore sulle famiglie meno abbienti. La ricerca mostra infatti che il 35% delle famiglie sarebbe costretto a diminuire o cessare l'attività lavorativa in assenza di colf, badanti e baby-sitter, una percentuale che sale al 50% tra le famiglie a basso reddito, i cui membri in molti casi svolgono attività lavorative meno flessibili come gestione dell'orario. L'85% delle famiglie dovrebbe ridurre l'impegno lavorativo senza un baby-sitter, mentre più della metà non potrebbe impiegare un membro della famiglia senza una badante. Le proposte - spiegano il presidente di Nuova Collaborazione Alfredo Savia e Giuseppe Russo, direttore del Centro Einaudi - sono ben precise: «La prima, di intervento fiscale rivolto a lavoratori baby sitter e badanti, gestito direttamente da Inps; la seconda applicabile anche ai lavoratori colf: uno "zainetto" di crediti fiscali, grazie al quale nell'arco della vita le famiglie e gli individui potrebbero accedere a beni e servizi che assolvono la missione inclusiva più di quanto non possano fare oggi e grazie al quale si potrebbero avere più impiego di lavoro domestico in chiaro, ma anche più assicurazioni sanitarie e long term care, oppure più spese di formazione continua». Lo studio di Nuova Collaborazione e Centro Einaudi ricorda inoltre che in Italia circa il 18% degli individui tra i 20 e i 64 anni è assente dal mercato del lavoro per motivi diversi da studio o pensionamento. Il dato si aggrava al 27% per le donne, contro un 8% degli uomini. Questa inattività femminile, sostiene lo studio, è principalmente imputabile alle responsabilità domestiche e di cura, che vedono il 53% delle donne non cercare attivamente lavoro per poter sostenere esigenze familiari. Il fenomeno non è omogeneo su tutto il territorio nazionale: il Mezzogiorno registra un preoccupante 25% di inattività contro il 15% del Nord e il 13% del Centro. La sottoccupazione, ovvero l'impiego in part-time, si attesta su un 20% generale, ma scava un divario marcato tra i generi, con una percentuale del 32% per le donne, a fronte di meno dell'8% per gli uomini.
Solo un lavoratore su dieci rientra nel decreto Flussi
«Solo un lavoratore domestico su dieci riuscirà a rientrare nelle quote autorizzate dal decreto Flussi di quest'anno. A parlare sono i numeri: su oltre 86mila domande precaricate al 26 novembre sul portale dedicato del ministero dell'Interno, solo 9.500 saranno accolte. Una vera e propria "lotteria" che poteva essere evitata. Il Click Day ha infatti confermato tutti i limiti del passato, anche dal punto di vista informatico. Dalle segnalazioni che abbiamo ricevuto dalle nostre sedi presenti su tutto il territorio nazionale, pesanti rallentamenti nell'invio delle domande si sono registrati sul portale che, come prevedibile, si è ripetutamente bloccato ancora prima delle ore 9». Lo afferma Andrea Zini, presidente di Assindatcolf-Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico. «Ora - prosegue Zini - siamo preoccupati soprattutto per le tempistiche. Che fine faranno le oltre 76mila domande in over booking? Il nostro auspicio è che possano ottenere una corsia preferenziale in vista del prossimo Click Day, che sarà il 7 febbraio 2024. Il rischio è che il ministero non invii una risposta circa l'accoglimento dell'istanza in tempo, costringendo le famiglie a presentarne una nuova, magari inutilmente e con maggiori difficoltà, rimanendo nuovamente deluse. Assindatcolf chiede perciò al governo «procedure e tempi certi, ma anche un allargamento delle quote per il settore domestico, che sono assolutamente insufficienti a soddisfare il fabbisogno». Secondo le stime contenute nel Rapporto 2023 Family (Net) Work servirebbero 23mila nuove persone l'anno, 68mila nel triennio.
L'identikit del collaboratore domestico, aumentano gli italiani
Nel Rapporto 2023 viene tracciato un identikit del collaboratore familiare, che è donna (86,4%), di origine straniera (69,5%) e di età medio alta. Il 55,6% dei lavoratori domestici ha infatti più di 50 anni, il 21,4% supera la soglia dei 60 anni di età e solo il 19,3% ha un’età inferiore ai 40 anni. L’età media delle badanti tende a essere spostata più verso l’alto, rispetto a colf e baby-sitter: il 35,5% delle prime (contro il 32,9% delle colf) ha infatti tra i 50 e 59 anni, mentre il 26,7% (contro il 16,4% delle seconde) ha più di 60 anni. Complessivamente la quota di badanti regolari che ha superato i 50 anni è del 62,2%, mentre tra colf e baby-sitter la percentuale è del 49,3%. La gran parte dei collaboratori proviene dall’Est Europa: Paesi come Romania, Ucraina, Moldavia, Albania contribuiscono a circa la metà (51%) dell’occupazione domestica italiana. A seguire, circa il 14% dei lavoratori è originario dell’America Centro Meridionale, il 14% viene da paesi Asiatici, a esclusione delle Filippine da dove arriva il 10,6% dei collaboratori mentre dall’Africa arriva il 9,6%. Guardando alle aree geografiche in riferimento all’età dei collaboratori domestici si scopre che quelli provenienti dall’Europa dell’Est presentano un’età media molto elevata: il 35,4% ha tra i 50 e 59 anni, il 28,3% più di 60 anni, per un totale del 63,7% con più di 50 anni. Tra le altre nazionalità l’età tende invece a essere più bassa, segno del ricambio in atto negli stessi bacini di reclutamento del lavoro domestico. Tra i collaboratori provenienti dai Paesi africani il 41,7% ha meno di 40 anni e la quota di over 60 è molto bassa (6,8%). Presentano un profilo giovane anche i lavoratori asiatici: il 33,7% ha meno di 40 anni, il 29,1% tra i 40 e 49 anni e il 37,2% più di 50 anni ma ed esclusione dei filippini, dove la quota di over 50 è più elevata, arrivando al 54,4%. «Il tema dell’innalzamento dell’età dei lavoratori domestici rappresenta oggi una delle maggiori criticità - dichiara Zini -. L’imminente uscita dal mercato del lavoro di molti collaboratori a fronte di un ricambio che resta limitato e non sufficiente a colmare il fabbisogno, è destinato ad accrescere le difficoltà che le famiglie già incontrano nel reclutamento del personale destinato all’assistenza in casa. Per questo motivo la programmazione dei flussi diventa uno strumento fondamentale a cui, però, servono dei correttivi. Non solo allargando le quote e ridefinendo il meccanismo della chiamata, ma anche nella messa a punto delle procedure, oggi troppo articolate per essere gestite dalle famiglie, come nel caso della verifica preventiva da presentare al Centro per l’impiego o nella richiesta dell’asseverazione». Nell’immaginario collettivo, il lavoro domestico è un settore costituito (dal lato della forza lavoro) quasi esclusivamente da lavoratori – anzi, prevalentemente lavoratrici – stranieri. In realtà, già da alcuni anni assistiamo a un aumento della componente italiana, soprattutto al Sud e soprattutto nelle mansioni di cura della casa. Vista questa tendenza, il Rapporto annuale Domina dedica una sezione specifica all’analisi dei lavoratori domestici di nazionalità italiana, che oggi rappresentano oltre il 30% del settore. L’Osservatorio Domina, a partire dai dati Inps relativi al 2022, analizza le caratteristiche dei 272.583 lavoratori domestici (regolari) di nazionalità Italiana. Nel 2013 i lavoratori domestici italiani erano pari al 21,2% del totale; negli ultimi dieci anni l’incidenza degli italiani nel settore domestico è cresciuta progressivamente in maniera quasi lineare, arrivando al 30,9% nel 2020. A quel punto la componente italiana subisce un lieve calo nel 2021 (30,1%), per poi crescere leggermente nel 2022 (30,5%). A seguito delle misure anti-Covid, i lavoratori stranieri aumentano notevolmente, con una positiva variazione percentuale 2019-2021 del +13,0%. È interessante notare che i lavoratori italiani, nonostante anche loro siano cresciuti del +13% in quel periodo, abbiano reagito in maniera più positiva rispetto ai colleghi stranieri nel periodo 2021-2022, i quali, secondo i dati, sono diminuiti di 1,8 punti percentuali in più rispetto agli italiani. L’età media dei lavoratori domestici di nazionalità italiana è 50,5 anni, leggermente più alta per le donne (50,8) che per gli uomini (47,9). Notevole è la percentuale dei lavoratori over 50, pari al 62,6% per le donne e pari al 52,6% per gli uomini. I lavoratori italiani con meno di 40 anni sono invece pari al 28,3% per gli uomini e al 15,5% per le donne. I dati variano in base al genere e alla tipologia di rapporto; in generale, importante è la differenza tra i due sessi in questo settore lavorativo. Per esempio, nel 2022 le badanti donne italiane sono 104.564 (38,4% sul totale dei lavori domestici italiani), mentre i badanti uomini italiani sono 12.745 (4,7%). Rilevante è l’aumento dei lavoratori in entrambi i generi e categorie nel periodo 2019-2021, che rimane coerente con il calo dei lavoratori nel periodo 2021-2022. La componente italiana è comunque la più numerosa tra i colf (33,4%), mentre tra i badanti è seconda (27,4%) dopo la componente dell’Est Europa. A livello regionale, il maggior numero di lavoratori domestici di nazionalità italiana si concentra in Sardegna (39.429), seguita da Lombardia (33.957) e Lazio (24.243). In Sardegna, ben l’82,2% dei lavoratori domestici ha cittadinanza italiana, mentre in Lombardia (19,4%) e Lazio (19,7%) la percentuale è molto minore. A livello nazionale i domestici italiani rappresentano il 30% del totale e, man mano che ci si sposta a Nord, l’incidenza è sempre meno intensa. A seguito della pandemia, in tutte le regioni si è registrato un aumento dei lavoratori domestici italiani, ma questa tendenza si ribalta tra il 2021 e il 2022 (-6,6%): infatti in tutte le regioni i lavoratori domestici italiani regolari diminuiscono (come gli stranieri). In questo periodo, è proprio la Sardegna ad avere una variazione minore, relativamente alle altre regioni, in quanto il fenomeno è molto diffuso. Secondo Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, «la componente italiana è sempre più rilevante nel lavoro domestico. Mediamente, si tratta di più del 30% dei lavoratori domestici, con picchi superiori al 50% in molte regioni del Sud. Le tematiche legate a colf e badanti, dunque, non riguardano solo lavoratori e lavoratrici di origine straniera, ma anche forza lavoro autoctona. Nei prossimi anni, inoltre, l’invecchiamento della popolazione porterà sempre più famiglie a aver bisogno di un aiuto: ecco che il lavoro domestico può rivelarsi anche un’opportunità di impiego per donne e uomini di nazionalità italiana».
I datori di lavoro domestico
Secondo l’Osservatorio Domina, i datori di lavoro nel 2022 sono 977.929. Si registra una prevalenza di datori di lavoro di genere femminile (56,7%), mentre la componente straniera è al 6% (2% Ue e 4% non Ue). In otto regioni risiedono oltre il 77% dei datori di lavoro domestico: la Lombardia è la regione con la maggiore presenza (19%), subito seguita dal Lazio (16,3%). Nella maggior parte dei casi hanno più di 60 anni ed è elevata la percentuale di chi supera gli 80 anni d’età (36%). Osservando i dati dei datori di lavoro per fascia d’età, tra gli uomini si ha una concentrazione maggiore nella fascia fino a 59 anni (36,2%), mentre tra le donne la fascia più rappresentata è quella con almeno 80 anni (41,7%). In linea generale si può ipotizzare che la fascia meno anziana sia caratterizzata prevalentemente da rapporti di colf o baby sitter, mentre la più anziana da rapporti di badante, anche se – è bene ricordarlo – non sempre il datore di lavoro coincide con il beneficiario della prestazione (è possibile, per esempio, che il datore di lavoro di una badante sia il figlio di una persona anziana). Dai dati Inps è possibile, inoltre, approfondire alcune caratteristiche specifiche dei datori di lavoro. Per esempio, tra i datori di lavoro figurano oltre 100mila grandi invalidi (10,3% del totale) e 3.417 sacerdoti (0,3%). I grandi invalidi sono sostanzialmente invariati rispetto al 2021 (-0,6%), mentre i sacerdoti registrano un calo più intenso (-4,4%). Vi sono poi 674 i casi in cui datore e lavoratore sono coniugati (nel 79,5% dei casi il lavoratore è donna) e oltre 19mila rapporti di lavoro in cui esiste un legame di parentela (fino al terzo grado), anche in questo caso con una prevalenza di donne tra i lavoratori (77,3%). Ancora più frequente la situazione di convivenza tra lavoratori e datori di lavoro domestico. Si tratta infatti di oltre 228 mila rapporti di lavoro, pari a quasi un quarto del totale (23,4%). In termini assoluti, le regioni con più rapporti di lavoro in convivenza sono Lombardia, Emilia Romagna e Toscana mentre, per quanto riguarda l’incidenza sul totale datori, i valori massimi si registrano in Friuli Venezia Giulia (48,7%) e Trentino Alto Adige (48,5%), mentre i minimi in Sicilia (6,7%) e Sardegna (7,7%). Infine, vi sono 1.700 persone giuridiche che figurano come datori di lavoro domestico, in lieve calo rispetto al 2020 (-3,0%). Di questi, il 40% si trova nel Centro; il Nord rappresenta il 34,4% e il Sud e Isole il 25,6%. Anche l'impatto fiscale del lavoro domestico ha una certa rilevanza. Per ogni classe viene individuato il reddito medio in relazione al quale vengono calcolate l’Irpef e le relative addizionali. Il valore medio è poi moltiplicato per la numerosità di lavoratori di ogni classe, ottenendo il gettito Irpef e le addizionali totali pari a 4,2 milioni di euro. A queste entrate vanno aggiunte quelle derivanti dai contributi assistenziali e previdenziali, calcolati in base ai dati Inps sui contributi versati per il lavoro domestico. Arrivando così a stimare 15,9 milioni di contributi assistenziali e previdenziali. Sommando gettito Irpef ed entrate contributive, si può stimare un gettito complessivo per le casse dello Stato pari a 20,1 milioni di euro. A questo importo vanno però sottratti gli effetti indiretti legati alla componente deducibile Irpef del datore di lavoro e al trattamento integrativo per il lavoratore domestico, per cui lo Stato dovrebbe “restituire” circa 3,9 milioni, riducendo il saldo delle entrate fiscali totali ad 16,2 milioni di euro. Per Gasparrini, «le famiglie italiane giocano un ruolo sempre più importante non solo come beneficiarie dei servizi di assistenza, ma anche come datori di lavoro domestico. Nel modello attuale di welfare, le famiglie si trovano a gestire servizi fondamentali quali la cura degli anziani e dei disabili o l’assistenza ai minori, senza considerare l’aiuto essenziale nella gestione della casa. Considerando solo la componente regolarmente censita dall’Inps, le famiglie datori di lavoro sono quasi un milione. La pandemia ha evidenziato le difficoltà del sistema sanitario nazionale che, senza l’impegno delle famiglie, sarebbe ulteriormente sotto pressione. È importante, quindi, dare riconoscimento e sostegno a questo impegno, mettendo le famiglie nelle condizioni di operare in sicurezza e fiducia».