martedì 27 agosto 2024
L’ultima frontiera dello smart working è un “lusso” riservato ai dipendenti delle grandi aziende. Ecco come funziona
Spopola la “workation”: si lavora, ma la scrivania è vista mare
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Si scrive “workation” ma si legge lavorare dal luogo di vacanza. Si tratta di un’evoluzione dello smart working: nata dall’unione delle parole “work” e “vacation”, è una tendenza sempre più diffusa che consiste nella possibilità di svolgere il proprio lavoro non solo da casa, ma anche da luoghi di villeggiatura. Qualsiasi posto diventa un potenziale ufficio, è sufficiente che ci sia una buona connessione a Internet. E poi, una volta spento il pc, la workation diventa solo vacation e ci si può dedicare a esplorare l’ambiente circostante.

Il fenomeno è in crescita e sempre più aziende prevedono la possibilità di assentarsi fisicamente per lunghi periodi. Da un recente report pubblicato dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, emerge che, nell’ultimo anno, accanto all’introduzione di nuove forme di flessibilità come settimana corta, ferie illimitate e eliminazione della timbratura, il 44% delle grandi aziende che hanno partecipato alla ricerca ha testato il “Temporary distant working”, la possibilità, cioè, di lavorare da remoto per settimane o mesi.

In Italia, il fenomeno della workation si è registrato per la prima volta nel 2020 e sembrava essere una soluzione transitoria per far fronte alle esigenze di distanziamento sociale imposte dalla pandemia. Fra i primi esempi ci sono stati il progetto fiorentino Be.Long, una piattaforma online che offriva ai suoi utenti appartamenti per brevi periodi, e alcuni agriturismi in Brianza, che proponevano pacchetti di soggiorno per lavorare all’insegna del relax. La tendenza, da allora, non si è mai arrestata e anzi è in continua crescita: dati Istat del 2022 hanno rilevato che quell’anno gli holiday workers erano il 9,7% del totale dei vacanzieri.

Tra le mete preferite di chi sceglie di trascorrere parte delle sue vacanze lavorando spiccano i luoghi ricchi di natura e rilassanti. Dalla pandemia in poi, è cambiato il paradigma lavorativo e la dimensione del benessere personale ha assunto un peso sempre più significativo. È cambiata la scala delle priorità che vedeva il reddito al primo posto: ora stare bene sul luogo di lavoro è una necessità sempre più condivisa e ogni soluzione che accresca il benessere personale è ben accetta. E c’è anche un aspetto ambientale che non lascia indifferenti: due giorni a settimana di lavoro da remoto evitano l’emissione di 480 kg di CO2 all’anno a persona grazie alla diminuzione degli spostamenti e il minor uso degli uffici.

Una ricerca di Movchan Agency svela però che non è tutto oro quel che luccica, nemmeno nel caso della workation. Il 34% degli intervistati afferma di lavorare in vacanza perché ama il proprio lavoro. Invece, il 26% lo fa perché il capo lo esige e il 29% perché teme di perdere il lavoro. Quando sono assenti, il 33% delle persone riceve regolarmente messaggi di testo dai colleghi che interrompono il loro relax, mentre il 29% riceve e-mail e il 7% è infastidito dai messaggi sui social media. Circa il 28% ammette perfino di aver litigato con il proprio partner a causa del lavoro in vacanza, mentre il 70% ha avuto problemi di salute mentale come burnout (uno stato di stress cronico lavoro-correlato caratterizzato dalla sensazione di completo esaurimento delle proprie energie fisiche e mentali) e depressione. Allo stesso modo, due terzi delle persone coinvolte hanno affermato di aver avuto problemi di salute fisica come mal di testa e dolore cronico.

I sostenitori della workation affermano invece che lavorare dal luogo di vacanza sia non solo più stimolante, ma anche più performante. La prospettiva di poter vivere in una città diversa, visitare un posto nuovo o anche solo riposarsi in una località diversa da quella dove si abita sarebbe un incentivo per svolgere al meglio e più velocemente il proprio lavoro. Non tutti i luoghi, tuttavia, sono adatti alla workation.

Sono diverse le classifiche stilate dai lavoratori. La Workation Index di Preply, piattaforma di apprendimento digitale, ha preso in considerazione vari parametri raggruppati in tre macroaree: clima e ambiente (giornate di sole, temperatura media, spazi verdi e inquinamento), costi e sicurezza (affitto medio e disponibilità abitazioni) e qualità della vita (conoscenza della lingua inglese e assistenza sanitaria). Al primo posto per questo indice si piazza Brisbane, in Australia, mentre l’Italia rimane esclusa dalla top ten, con Roma che arriva 43esima e Milano 50esima. Rientra invece, al decimo posto, per il barometro annuale Work from Anywhere di International Workplace Group, tra i più grandi operatori mondiali di spazi di lavoro flessibili e ibridi: questa classifica colloca Milano al decimo posto fra le migliori destinazioni al mondo per chi sceglie di prolungare le proprie vacanze combinando lavoro e tempo libero. Al primo posto si trova la capitale ungherese, Budapest. Altra graduatoria è quella stilata da Holidu, azienda leader in Europa nel settore delle case vacanza, che ha preso in considerazione numerosi parametri, fra cui la qualità della connessione wi-fi, il numero di spazi di co-working, il prezzo medio delle bevande, del cibo e di un caffè e il costo medio dei taxi. Al primo posto figura Bangkok; Roma è 57esima, Firenze 73esima e Napoli 84esima, mentre Milano scivola all’86esimo posto.

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