I lavoratori dipendenti italiani potenzialmente occupabili in smart working (manager e quadri, professionisti, tecnici e impiegati d'ufficio) sono otto milioni 359mila. Se a un terzo di questi fosse concessa la possibilità di lavorare saltuariamente o stabilmente in modalità "agile", si raggiungerebbero i due milioni 758mila. È la stima dei consulenti del lavoro. Questa modalità di lavoro, portata al centro dell'attenzione dall'emergenza Coronavirus con il decreto emanato ieri, è largamente diffusa in Europa, ma ancora molto poco in Italia. Secondo i dati Eurostat nel 2018 l'11,6% dei lavoratori europei alle dipendenze di imprese o organizzazioni pubbliche praticava smart working, lavorando da casa saltuariamente (8,7%) o stabilmente (2,9%), grazie alle opportunità messe a disposizione delle nuove tecnologie. In Italia la percentuale si ferma al 2% (solo 354 mila lavoratori dipendenti), risultando non solo la più bassa d'Europa (poco sopra Cipro e Montenegro), ma anche la più distante da Paesi come Regno Unito (20,2%), Francia (16,6%) o Germania (8,6%). Per non parlare di quelli del Nord Europa, dove la quota di lavoratori che possono lavorare da casa anche con flessibilità oraria sale al 31% in Svezia e Olanda, 27% circa in Islanda e Lussemburgo, 25% in Danimarca e Finlandia.
Nel nostro Paese, nonostante la legge sul lavoro agile (81/2017) abbia introdotto elementi di flessibilità organizzativa nel mercato del lavoro italiano che, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologiche, consentono di coniugare gli obiettivi di efficienza e produttività aziendale con il benessere del lavoratore, il numero dei dipendenti coinvolti è ancora estremamente basso. «Il lavoro agile - dice il presidente
della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca - rappresenta un vero e proprio modello organizzativo per le aziende e necessita di un approccio e di strumenti gestionali diversi da quelli ordinari o emergenziali. L'adozione di questo modello implica da parte delle aziende uno sforzo organizzativo rilevante in termini di investimento tecnologico; revisione dei processi di lavoro, formazione e valutazione dei dipendenti e soprattutto il superamento delle naturali diffidenze che possono sussistere da parte del management e degli stessi lavoratori». Organizzare il lavoro "smart", quindi, è una rivoluzione culturale per le imprese, che comporta un modello di lavoro basato sul risultato ma anche grandi opportunità di crescita. «Ben vengano, dunque, in questo frangente, sottolinea, provvedimenti d'urgenza volti a favorire il lavoro agile, ma è assolutamente necessario implementare questa modalità lavorativa con interventi più strutturali e mirati, volti ad incentivarne l'utilizzo e a risolvere anche alcune ambiguità normative, come quelle legate al tema della sicurezza, che ancora ne ostacolano la diffusione».