Lo spaccio di droga resta una delle attività illegali più redditizie - Ansa
Contrabbando, furti, frodi, truffe, pubblicità ingannevole, concussione, commercio di droghe, tratta di esseri umani, evasione fiscale... Accanto all’economia civile c’è un altro mondo nascosto, opaco, proteiforme: quello delle attività illecite. La brama di denaro spinge molti a fare di tutto per impossessarsene a prescindere dai mezzi utilizzati per raggiungere lo scopo. «Basta ossevare le statistiche – nota Isabella Merzagora, presidente della Società Italiana di Criminologia – si vede subito che i furti costituiscono la maggior parte delle attività criminali denunciate. Poi ci sono quelle più elusive: quando mai si sente di una rapina che abbia fruttato un milione di dollari? Eppure appropriazioni indebite di quell’entità sono bazzeccole tra i colletti bianchi».
Senza le loro malversazioni, grandi crisi come quella finanziaria del 2008 forse potevano essere evitate: essi si muovono nelle aree grigie tra lecito e illecito, e con la loro opera favoriscono anche il riciclaggio del denaro sporco. Una questione non piccola. Tanto che nel maggio 1998 l’allora Presidente statunitense Bill Clinton sosteneva che a livello globale «fino a 500 miliardi di dollari ricavati da attività criminali sono riciclati ogni anno» (per paragone il Pil attuale del Belgio è di 533 miliardi di dollari circa). Nel 2010 il progetto Organised Crime Portfolio di Transcrime, il Centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale, stimava che in Europa il totale dei ricavi da mercati illeciti (droghe psicotrope, contrabbando di tabacco, contraffazione, frodi intracomunitarie, ecc.) ammontasse ad almeno 110 miliardi di euro, circa lo 0,9% del Pil del continente in quell’anno. «In realtà oggi – riferisce Ernesto Savona, direttore di Transcrime – nessuno più a livello ufficiale azzarda stime sull’entità dei traffici illeciti. La loro stessa natura li rende non realisticamente quantificabili». Ma il loro ordine di grandezza è enorme. Il grande balzo in avanti è avvenuto tra gli anni 1960 e ’70, quando i mercati delle droghe acquisirono dimensioni di massa. I profitti da loro generati sono enormi: secondo dati diffusi dalla fondazione WGBH di Boston, se la cocaina si vende in Colombia per 1.500 dollari al chilo, negli USA ne vale circa 66.000; se l’eroina in Pakistan costa 2.600 dollari al chilo negli USA è smerciata a 130.000 dollari. Sono profitti che vanno dal 4.400 percento al 12.000 percento, ovviamente da distribuirsi lungo le catene di intermediazione, ben attive e oliate da deceni. Se un tempo la mafia e l’eroina la facevano da padrone, col tempo sono cresciute altre reti e oggi si nota la supremazia della cocaina, manovrata soprattutto dalla ’ndrangheta. Ma organizzazioni simili sono attive in ogni Paese del mondo. Il commercio di droghe nasce globlizzato: all’inizio le produzione di oppiacei era in Asia, poi si è sviluppata anche in America Latina; la cocaina rimane in prevalenza prodotta in Colombia e Perù, i mercati di consumo principali sono in Europa e Nordamerica. Spostare queste merci illecite in quantità notevoli richiede capacità logistiche e strutture finanziarie per riciclare i profitti. Questi, se sono tanto ingenti e da tanti decenni si accumulano, evidentemente costituiscono una parte sostanziale dell’economia criminale che a sua volta si mescola con quella legale, ingenerandovi distorsioni. Come spiega il colonnello Tommaso Solazzo della Guardia di Finanza, esperto di antiriciclaggio, in un’intervista pubblicata da L’Eurispes (15 gennaio 2021) «la disponibilità di capitali illeciti agisce come una potente forza idraulica che esercita una straordinaria pressione sull’economia reale al fine di penetrarla proprio laddove questa è più vulnerabile».
Sono usati i normali canali bancari ma, nella misura in cui questi sono soggetti alle normative antiriciclaggio, le mafie diversificano, per esempio nelle vie di trasferimento di denaro nate per consentire le rimesse degli immigrati, mentre da qualche anno cresce il sospetto che usino le tante criptovalute i cui punti forti sono l’anonimato, la delocalizzazione e l’assenza di controlli. Dal 2010 al 2019 i delitti informatici sono aumentati del 122,4 percento. E anche questi attivano cospicui ricicli di denaro e non sono facilmente geolocalizzabili: nel web si può agire all’istante da qualsiasi parte del mondo. Realizzando ogni sorta di operazione: tra queste per esempio la compravendita di opere d’arte che sono una delle tante vie per riciclare denaro di provenienza illecita, insieme con gli immobili e i prodotti di lusso. È del marzo scorso l’apertura del processo a Messina a carico di 111 presunti esponenti di famiglie mafiose accusati di truffe agricole milionarie compiute grazie all’abilità dei colletti bianchi. Avviene anche il contrario: che le attività illecite attirino capitali puliti; un rapporto Eurispes del gennaio 2015 parlava di 'money dirtying', perché nell’economia legittima le possibilità di ricavare profitti ingenti e rapidi non sono molte, ma se ne trovano nell’ambito delle attività illecite.
Nel 2015 scoppiò lo scandalo dei Panama Papers: 11,5 milioni di documenti redatti a partire dagli anni ’70 relativi a trasferimenti sui mercati offshore, cioè non regolamentati, di capitali provenienti da diversi Paesi: quanti di questi capitali nascosti al fisco provenivano da attività lecite, quanti da attività illecite? Il fatto è che sono tutti confluiti nell’illecito dell’evasione fiscale. L’economia sommersa, gigantesca e capace di influire sulle economie legittime ovunque nel mondo, sa eludere la sorveglianza di singoli Stati o di gruppi di Stati poiché opera sempre su un livello sovrannazionale. Continuerà a esistere sinché non vi sarà la possibilità di perseguirla con strumenti giuridici dotati della stessa agilità internazionale di cui essa gode. O finché non prevarrà ovunque il senso della responsabilità di ciascuno di fronte alla collettività: perché l’economia è civile solo se sono civili coloro che la gestiscono.