giovedì 14 gennaio 2021
La più grande società di investimento al mondo si è impegnata ad abbandonare gli investimenti sul carbone. Ma con le regole che si è data ci investe ancora 84 miliardi di dollari
Un mezzo al lavoro in una miniera di carbone in Siberia

Un mezzo al lavoro in una miniera di carbone in Siberia - CC Pixy

COMMENTA E CONDIVIDI

Fra qualche giorno, come sempre all’inizio di ogni anno, BlackRock e il suo presidente Larry Fink scriveranno ai clienti e ai manager per aggiornarli sui principi che guidano le loro scelte nel gestire i quasi 8mila miliardi di dollari che gli sono stati affidati. Al centro della strategia di quella che è la più grande società di investimento del mondo c’è, ormai da qualche anno, la sostenibilità e, in particolare, la lotta al cambiamento climatico. Non è esagerato dire che la spinta impressa da Fink e BlackRock è stata decisiva nel permettere l’incredibile accelerazione vissuta negli ultimi anni dalla finanza gestita secondo criteri ESG, cioè ambientali, sociali e di governance.

Non sempre però gli ambiziosi piani per dare un contributo allo sviluppo positivo della società e al miglioramento dell’ambiente producono risultati concreti all’altezza delle promesse. Sembra essere questo il caso dell’abbandono degli investimenti sul carbone, la più inquinante tra le fonti fossili per la produzione di energia che viene ancora utilizzata in tutto il mondo. Nella lettera inviata ai clienti lo scorso anno BlackRock annunciava la decisione di non investire più sulle aziende che producono carbone termico, quello destinato alle centrali elettriche. «Con l’accelerazione della transizione energetica globale, non crediamo che la logica economica o di investimento a lungo termine giustifichi continui investimenti in questo settore » spiegava l’azienda, rafforzando con argomentazioni economiche questa scelta di sostenibilità finanziaria.

Concretamente, BlackRock ha spiegato che avrebbe tolto entro la metà del 2020 dai suoi portafogli di investimento attivo le obbligazioni e le azioni di società che ottengono almeno il 25% del loro fatturato dalla produzione di carbone. Le stesse aziende non avrebbero ottenuto ulteriori investimenti dalla divisione “alternative business” della società, che inoltre avrebbe approfondito la situazione di altre imprese fortementi dipendenti dall’energia prodotta dal carbone per decidere come comportarsi.

Forse queste regole erano concepite male (o forse maliziosamente bene): sta di fatto che a un anno da quell’annuncio la società non profit francese Reclaim Finance è andata ad analizzare gli investimenti di BlackRock e ha scoperto che c’è ancora un sacco di carbone. Precisamente 85 miliardi di dollari sono investiti su società protagoniste del settore del carbone termico: dentro ci sono 6 miliardi per la società mineraria anglo-australiana Bhp Group, 2,5 per la tedesca Rwe, quasi un miliardo su Glencore, che è il più grande produttore di carbone al mondo. Di quegli 85 miliardi, 24 sono investiti su società che non solo lavorano con il carbone, ma hanno progetti per espandere queste loro attività

Il punto è che il criterio del 25% del fatturato, secondo l’analisi di Reclaim Finance, consente di investire su 333 aziende quotate che fanno circa l’80% del giro d’affari internazionale della filiera del carbone, che non comprende solo le miniere ma anche le infrastrutture e le centrali elettriche.

C’è poi un secondo fattore: la forza di BlackRock sta negli investimenti “passivi”, cioè nei fondi che replicano l’andamento di un mercato e di una Borsa comprando un proporzionale portafoglio di azioni. E questo tipo di attività, che rappresenta circa due terzi dei ricavi della società, è esclusa dal piano di uscita dal carbone. Con il risultato, nota Reclaim, che «concretamente BlackRock può continuare a investire in ogni singola azienda del carbone attraverso i fondi indicizzati ».

Correggere i criteri così da ridurre davvero gli investimenti sul carbone non è tecnicamente complicato: BlackRock potrebbe ad esempio escludere ogni società che ha piani di espansione sul settore e chi produce più di 10 milioni di tonnellate di carbone all’anno, applicando l’esclusione anche sui suoi fondi passivi. Il sospetto di '"greenwashing" (cioè di ambientalismo solo a parole) sulla più grande società di investimento del pianeta è un’ombra che pesa sulla grande espansione della finanza sostenibile.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI