sabato 3 febbraio 2024
L’indice Fao dei beni alimentari è sceso a gennaio dell’1%, ai minimi da tre anni. Per gli analisti gli effetti del Niño, i limiti all’export e l’escalation in Medio Oriente possono aggravare la fame
La raccolta di grano del 2023 è stata positiva

La raccolta di grano del 2023 è stata positiva - EPA/LESZEK SZYMANSKI STF

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In un mondo alle prese con escalation di conflitti e conseguenze del cambiamento climatico, che mettono a rischio la sicurezza alimentare di oltre 735 milioni di persone, i prezzi del cibo sono segnalati in calo e ai minimi da tre anni, febbraio 2021. Una notizia positiva, dopo l’impennata dei prezzi del 2022 dovuta anche all’aumento dell’energia, anche se già altri fattori minano l’approvvigionamento alimentare di intere comunità. Secondo il report mensile della Fao, dopo il calo del 13,7% registrato nel 2023, i prezzi degli alimentari sono ulteriormente diminuiti dell’1% a livello internazionale anche a gennaio, trainati dalla flessione dei prezzi dei cereali (-2,2% a gennaio) e della carne. Su base annua, l’indice è in calo del 10,4%.

A pesare sul calo è stato soprattutto il frumento, mentre i prezzi dei cereali panificabili sono scesi sotto l’effetto della forte concorrenza tra i Paesi esportatori e dell’arrivo del raccolto nell’emisfero sud. Anche i prezzi del mais sono scesi con l’inizio del raccolto in Argentina e scorte maggiori del previsto negli Usa. I prezzi del riso, alimento base in moltissimi Paesi, sono invece aumentati dell’1,2%, «riflettendo la forte domanda di riso di tipo indica di alta qualità da Thailandia e Pakistan e ulteriori acquisti dall’Indonesia», sottolinea l’agenzia dell’Onu. L’indice dei prezzi degli oli vegetali è salito dello 0,1%, mentre quello dei latticini si è stabilizzato e la carne è scesa per il settimo mese consecutivo, dell’1,4%. «L’abbondanza dell’offerta da parte dei principali Paesi esportatori ha ridotto i prezzi internazionali della carne di pollame, bovini e suini», aggiunge la Fao. Infine, l’indice dei prezzi dello zucchero è cresciuto dello 0,8%, spinto dalle «preoccupazioni per il probabile impatto delle piogge inferiori alla media sui raccolti di canna da zucchero brasiliani, pronti a partire da aprile, nonché dalle prospettive di produzione sfavorevoli sia in Thailandia che in India».

L’ultimo rapporto su “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo”, diffuso dall’Onu lo scorso luglio e relativo ai dati del 2022, ha rivelato che la fame colpisce una media di 735 milioni di persone nel mondo, con un incremento di 122 milioni di persone rispetto al 2019, l’anno precedente lo scoppio della pandemia Covid-19. Il dato non tiene ancora conto delle conseguenze dei conflitti scoppiati successivamente e dei disastri climatici dell’ultimo biennio, rischiando quindi di essere sottostimato. «Molte regioni del pianeta sono oggi alle prese con una recrudescenza delle crisi alimentari – sottolineava l’Onu –. Nonostante i progressi compiuti nella lotta alla fame in Asia e in America latina, nel 2022, il fenomeno appariva ancora in crescita nell’Asia occidentale, nei Caraibi e in tutte le sottoregioni del continente africano. Con una persona su cinque afflitta dalla fame, ossia più del doppio della media globale, l’Africa rimane la regione maggiormente colpita».

Non mancano motivi di preoccupazione anche per il 2024, a partire dall’escalation del conflitto in Medio Oriente, che potrebbe spingere al rialzo i prezzi degli alimentari a causa dell’incremento dei costi di produzione e trasporto. Non solo: il fenomeno meteorologico del Niño, che durerà almeno fino ad aprile, potrebbe aggravare siccità ed inondazioni in regioni come il Nordafrica, l’Asia meridionale, l’America centrale e l’Australia. Altri fattori di rischio riguardano le restrizioni alle esportazioni, come quelle decise dall’India, che ha vietato l’export del riso basmati come mossa preventiva per contrastare la sua possibile scarsità sui mercati per effetto del Niño. E poi, ancora, le condizioni macroeconomiche globali, come l’impennata dei tassi di interesse delle banche centrali e l’aumento dei costi di finanziamento che incidono su prestiti e investimenti nel settore agricolo e nelle esportazioni. Il trend positivo della riduzione dei prezzi degli alimentari si contrappone dunque a una serie di rischi che non garantiscono né il proseguimento di questa traiettoria né una parallela diminuzione dell’indice della fame globale, anche se certo si tratta di un primo passo nella direzione giusta.

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