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Lavorare con intelligenza o con “l’intelligenza” (artificiale)? In un momento di grandi trasformazioni il dibattitto sull’impatto delle tecnologie che imitano i meccanismi della mente umana sul mondo del lavoro è diventato sempre più acceso e si è polarizzato tra apocalittici ed entusiasti. Governare il cambiamento, con un approccio guidato da valori etici, sembra essere l’unica via d’uscita per evitare pericolosi stravolgimenti. Il gruppo Inaz, specializzato in software per le Risorse umane, ha promosso la scorsa settimana un convegno dedicato al tema (“Lavorare con (l)’ intelligenza. Dal fattore umano all’IA, dalla crisi dei salari a quella demografica, quattro traiettorie per il futuro”) alla Fondazione Rovati di Milano.
Robot e super-computer, è l’indicazione arrivata dai relatori, possono promuovere la crescita delle retribuzioni e la riduzione delle disuguaglianze, affrontando anche le sfide demografiche. «Dobbiamo recuperare il tempo che la macchina libera per noi, senza perdere l’umanità. Dobbiamo usare questo tempo per riattivarci, essere creativi, fare cose nuove. Per crescere personalmente e spiritualmente. L’intelligenza artificiale può liberare l’uomo da compiti ripetitivi e monotoni, migliorando la qualità della vita lavorativa. E, se utilizzata correttamente, avere un impatto positivo significativo nell’ottimizzare i processi aziendali, riducendo errori e aumentando l’efficienza e fornendo analisi dati avanzate che aiutano i manager a prendere decisioni più informate» ha detto Linda Gilli, presidente di Inaz e Cavaliere del Lavoro. Essere protagonisti e padroni di ciò che succederà è la vera sfida. «Usare la nostra intelligenza per governare a nostro vantaggio ciò che intelligenza, forse non è, come è emerso dagli interventi dei nostri relatori» ha aggiunto Gilli.
Un appello all’utilizzo consapevole, “for good”, è arrivato da Antonella Marchetti, direttrice del dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica. «Tecnologia e umanesimo devono essere coniugati altrimenti si corre il rischio di creare una spaccatura tra gli “sdraiati” della tecnologia e i puristi che la demonizzano. Nei processi educativi così come in quelli amministrativi, nelle questioni giuridiche e mediche l’IA consente di valutare una mole di dati enorme, però poi le redini le detiene l’uomo che deve prendere le decisioni».
L’impatto dell’IA sul mercato del lavoro nel breve periodo sarà considerevole. Secondo uno studio dell’Osservatorio delle Competenze Digitali del Politecnico di Milano circa il 14% dei posti di lavoro potrebbe essere sostituito dall’automazione entro il 2030.
Ludovica Busnach direttore pianificazione strategica e sostenibilità di Inaz, ha parlato di un mismatch di 5,6 milioni di posizioni: 3,8 milioni verranno automatizzati mentre altri 1,8 milioni andranno incontro all’obsolescenza. «Si tratta della rivoluzione industriale più veloce di sempre che avrà un raggio d’azione di vent’anni secondo gli esperti. Cinque in realtà sono già passati». Fondamentale sarà colmare il digital divide che caratterizza il nostro Paese, in particolare la componente femminile, con una formazione che parta dalle prime classi di scuola. «L’IA sarà in grado di facilitare tutti i processi a partire dal recruiting, ad esempio facendo una valutazione dei curriculum oggettiva». Il professor Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat, in una videointervista ha sottolineato come, a fronte di un calo della popolazione in età da lavoro di 3 milioni nei prossimoi 20 anni e del suo progressivo invecchiamento, per i giovani trovare un’occupazione non sarà un problema come in passato. Della stessa opinione Daniele La Rocca consulente del lavoro, che ha spiegato che l’Italia si trova in una situazione singolare. «La crisi demografica comporterà una mancanza di lavoratori ai quali si potrà sopperire in due modi: con un aumento dei flussi migratori o con l’automatizzazione di alcuni processi».
In molti ambiti a livello mondiale questo passaggio è già realtà: ad esempio per l’industria del cinema con doppiatori e sceneggiatori sostituiti dall’Ai (e il conseguente sciopero di sei mesi a Hollywood), ma anche nel settore delle traduzioni e dell’editoria come ha spiegato Sofia Bordone, ad dell’editoriale Domus.
Marco Biasi, professore di Diritto del Lavoro all’Università di Milano ha messo infine l’accento sulla riduzione delle diseguaglianze. «Mentre la digitalizzazione tra creato una polarizzazione tra lavoratori qualificati, che usano il computer e fanno smartworking, e gli altri che svolgono mansioni fisiche, l’introduzione dell’Intelligenza artificiale sarà più democratica perché riguarderà tutti gli ambiti». Una speranza che potrà trasformarsi in realtà solo se i cambiamenti verranno guidati e monitorati dalle parti sociali.