sabato 6 luglio 2024
Il ceo di Engineering è ottimista sugli sviluppi della tecnologia, ma invita a mettere sempre al centro l'uomo. Tra i rischi la nascita di nuovi bisogni non necessari: «Rischia chi resta passivo»
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Uno strumento “affascinante e tremendo”, come l’ha definito papa Francesco, che va gestito nel modo giusto, mettendo al centro l’uomo. Per Maximo Ibarra, ceo di Engineering e docente della Luiss di Roma, sull’Intelligenza artificiale occorre avere chiara la destinazione finale: contrastare la povertà, favorire l’accesso a cure sanitarie e istruzione per tutti, arginare la crisi climatica, ridurre le diseguaglianze. Per farlo serve un approccio articolato – come evidenziato dal rapporto al quale Ibarra ha collaborato che è stato consegnato ai grandi del G7 – che includa tre elementi: regolamentazione, collaborazione e formazione.

L’Ia è una rivoluzione tecnologica che fa paura, come si fa a starle dietro senza essere travolti?

Il tema della velocità è essenziale. Siamo al cospetto di una tecnologia che ha dei tassi di sviluppo molto rapidi, con una crescita esponenziale. Non siamo nelle condizioni di poter fare una previsione dettagliata di quello che succederà né di quali saranno le opportunità. Per questo è necessaria una regolamentazione continua che non sarà mai in tempo reale ma deve essere altrettanto rapida. Serve una forte collaborazione tra governi, istituzioni, enti ed aziende per un aggiornamento costante.

A livello di regolamentazione l’Europa si è data delle linee guida, saranno una barriera efficace?

Si tratta di un fatto estremamente positivo. L’Europea è partita con il piede giusto. L’Ai Act è stato un atto molto coraggioso fatto nei tempi e nei modi giusti. Speriamo che altre aree geografiche facciano lo stesso, altrimenti si rischiano delle asimmetrie rilevanti. Se gli Usa e l’Asia non adottano regole simili, questo percorso virtuoso avviato dalla Ue sarà inutile.

I benefici delle nuove tecnologie saranno accessibili a tutti o c’è il rischio che vengano riservati a pochi eletti?

Ci deve essere un utilizzo responsabile, si devono creare le condizioni di una democratizzazione dell’Ia, in modo da renderla accessibile a tutte le persone. Dobbiamo rispondere alla domanda principale che è “a che cosa serve l’Ia? Qual è il suo valore aggiunto”? Ha un immenso potenziale e può migliorare le vite di tutti. Dobbiamo focalizzarci sulle priorità, sulle emergenze, lavorando sull’inclusività sociale e colmando le sperequazioni. L’Ia può essere uno strumento molto efficace per contrastare gli effetti del cambiamento climatico, in Italia ad esempio il 98% del territorio è a rischio di dissesto idrogeologico, per una corretta gestione della transizione energetica ma anche per far sì che le catene di approvvigionamento siano resilienti.

Una delle preoccupazioni da lei espresse nel corso della conferenza sull’Ia della Fondazione Centesimus Annus pro-Pontefice è legata alla creazione di bisogni non necessari, che cosa sono?

L’uomo non essere a traino della tecnologia, ma deve stabilire come utilizzarla, deve essere meno passivo e più proattivo. Ha il compito di fare le cose, mettendoci la testa, studiando e facendo le attività creative. Nel momento in cui lo schermo ci dice quello che dobbiamo fare o comprare allora siamo vittime, ci esponiamo a questi bisogni non necessari. Anche nel lavoro se diventiamo passivi veniamo sostituiti dalle macchine. Serve una dimensione antropocentrica che abbia come obiettivo la produzione di benefici tangibili per tutta l’umanità.

L’impatto sul mondo del lavoro sarà consistente?

Questo è un dato su cui sembra che tutti siano d’accordo. Il World Economic Forum prevede che il 60% delle assunzioni nei prossimi tre-quattro anni saranno in ruoli che oggi ancora non esistono. Il 40% di tutte le ore lavorative nel mondo saranno supportate o migliorate da algoritmi in grado di elaborare grandi quantità di testi e di dati. Siamo di fronte ad un enorme mismatch nel mercato del lavoro per il quale si rende necessaria un’operazione di reskilling e upskilling dei lavoratori. L’Ia può renderci più efficienti e servire come co-pilota che semplifica le nostre vite liberandosi da compiti ripetitivi o faticosi.

In quali ambiti l’applicazione dell’Ia è già una realtà che possiamo toccare con mano?

Se guardiamo quali sono i vantaggi concreti di cui tutti oggi possono usufruire direi che sono: fare un riassunto, tradurre, trascrivere. Si tratta di un primissimo gradino al quale si sta aggiungendo la creazione di contenuti e di immagini. La fase successiva avverrà quando l’applicazione sbarcherà su tutti gli smartphone e diventerà un’applicazione di massa. La terza quando consentirà di fare delle cose al nostro posto come prendere un appuntamento dal medico, fare una prenotazione al ristorante.

Guardano al futuro quali saranno i settori in cui verrà utilizzata a livello mondiale?

Possiamo fare tre esempi concreti. Nel mondo sanitario le applicazioni dal Covid in poi, quando è stato trovato un vaccino nel minor tempo possibile, sono molte. Nei prossimi anni l’Ia consentirà di applicare su ampia scala medicina di precisione, si potranno avere diagnosi in pochissimi secondi e dare delle terapie che siano legate alla specifica persona e non a tutti. Si tratta di un cambiamento epocale. Per quanto riguarda la transizione energetica servirà a gestire la produzione, l’approvvigionamento e l’erogazione dell’energia prodotta ad esempio dai pannelli fotovoltaici. Molti progetti ci consentono di combattere la crisi idrica aiutando i gestori ad individuare le perdite lungo gli acquedotti.

Non c’è il rischio che le nuove tecnologie creino un aumento delle disparità tra chi le sa utilizzare e gli altri?

Io credo al contrario che potranno aiutare chi è più povero. Sarà una rivoluzione come quella di internet che oggi è accessibile a 5 miliardi di persone tramite smartphone. La telemedicina usando la fotocamera consentirà la democraticizzazione della salute in Paesi in cui non è accessibile a tutti. Ci sarà una maggiore inclusività sul fronte della formazione con corsi in tutte le lingue del mondo che si potranno seguire da ogni parte del Pianeta. Io guardo questo sviluppo come un valore aggiunto nel ridurre il gap di conoscenza che oggi di fatto determina chi è più povero. Non esistono strumenti a così basso costo, si parla di 120-150 euro nel giro di pochi anni, in grado di fare qualcosa di così straordinario. Amplificherà la nostra capacità di conoscenza a 360 gradi. È indispensabile che il Sud del mondo, in particolare l’Africa, benefici pienamente della trasformazione digitale Certo poi dobbiamo metterci del nostro: perché l’intelligenza sarà anche tecnologica ma non ci sarà mai la saggezza artificiale.

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