Basta un rating Esg per definire se e quanto una società è sostenibile? E su quale rating possiamo davvero fare oggi affidamento, considerando che non esistono ancora metriche condivise e, su molti parametri, valutazioni univoche? La “sostenibilità” muove oggi masse di decine di miliardi di investimenti a livello globale, per questo il tema, al tempo della grande transizione ecologica, energetica e sociale, è tutt’altro che secondario. Scarsa trasparenza, modelli di business differenziati, utilizzo di metodologie diverse e mancanza di adeguati processi di certificazione sono tra le principali criticità attribuite alle agenzie specializzate nella produzione per imprese e società quotate di indici Esg, acronimo di Environmental (ambiente), Social (sociale) e Governance. Una divergenza nell’adozione degli strumenti di valutazione che finisce per tradursi in una bassa comparabilità tra i punteggi e i giudizi emessi dai provider, alimentando così maggiore confusione in merito alla sostenibilità più che contribuire all’efficienza del mercato.
A esaminare l’operato delle agenzie di rating Esg, peraltro non nuove a queste critiche, è lo studio “I rating ESG: un confronto internazionale” elaborato dai docenti Alfonso Del Giudice, Università Cattolica, Carmel Gallucci, Università di Salerno, e Rosalia Santulli, Università di Genova, per Fin-Gov, il Centro di ricerche finanziarie sulla corporate governance dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, diretto dal professor Massimo Belcredi. Basata sui rating elaborati nell’anno 2021 dalle agenzie Refinitiv, Moody’s e Bloomberg per 1.766 imprese – di cui 985 quotate in Europa (61 in Italia), 767 negli Stati Uniti e le rimanenti 14 società in altri continenti – l’analisi empirica, presentata ieri all’Università Cattolica di Milano, rileva in linea con gli studi precedenti una correlazione in media bassa tra i giudizi delle diverse agenzie, dello 0,42. La correlazione si dimostra un po’ più alta per la “E” (0,50 per l’ambiente), più bassa per la S (0,38 per il sociale) e decisamente più bassa per la G (0,28 per la governance). La componente ambientale rappresenta dunque elementi di variabilità inferiore rispetto alle altre proprio perché meno legata a criteri soggettivi di giudizio.
Il pilastro meno convergente di tutti è invece la governance, nonostante sia il tema più “vecchio” dei tre: gli elementi, su questo versante, sono più soggettivi. In generale, tra gli indicatori meno correlati si trova quello del “Community engagement” (0,15), il coinvolgimento della comunità: vuol dire che il tema della divergenza dei rating in questo campo è molto alto. Il tema Board è quello meno correlato in assoluto (0,10) e questo è il tema che pesa di più nel pilastro governance. Dallo studio risulta inoltre che i giudizi sulle società quotate in Europa sono maggiormente correlati rispetto a quelli delle quotate in Nord America. In particolare, i rating sulle società operanti nei settori “Oil & Gas” e “Utilities” sono più convergenti rispetto alla media degli altri settori; i punteggi con le più alte divergenze riguardano i tre temi rilevanti nella governance: oltre a “Board”, anche “Audit & Controls” e “Shareholders”. Anche gli indicatori per le componenti Esg più comunemente utilizzati nella definizione dei pacchetti di remunerazione del management sono i meno correlati.
Se dunque i rating Esg sono sempre più considerati una nuova fondamentale informazione nelle strategie di investimento e le agenzie specializzate in rating di sostenibilità impattano sempre più sul mercato, ancora troppo elevata appare la variabilità di giudizi. L’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) ha censito 59 agenzie di rating Esg, di cui 30 nell’Ue, un dato che “certifica” quanto sia frammentato il quadro. Il tutto in un momento in cui la gli investitori si impegnano sempre più a investire secondo criteri Esg e la stessa domanda di dati sul rating Esg ha superato quella del credito. Il mercato ha quindi fame di questa nuova informazione, che può modificare l’informazione rischio/rendimento dell’emittente, ma proprio per questo il tema dell’affidabilità dei dati diventa centrale.
Chiare le indicazioni che arrivano dagli autori dello studio. Al regolatore si chiede di mirare all’aumento della qualità dei dati grezzi e alla trasparenza nei processi di aggregazione, evitando di conferire ai rating una valenza certificatoria che potrebbe avere effetti distorsi sul mercato. Le agenzie, al contempo, dovrebbero dotarsi di un sistema di autoregolamentazione per definire almeno le principali metriche di valutazione e temperare le divergenze metodologiche. Per le imprese emittenti è necessaria una continua interlocuzione con i rating provider ed è opportuno che si muovano con cautela nell’uso di questi indicatori, in particolare sui temi di remunerazione, perché possono dar luogo a distorsioni. Alle società di investimento, infine, viene suggerito di non considerare il rating Esg da solo come uno strumento di selezione degli asset in grado di definire in modo univoco e inequivocabile cosa sia “sostenibile”.