Il ministro Le Maire con il presidente Macron - Ansa
Lasceranno la casa Francia in ordine, in particolare sul piano finanziario? Dopo i fasti delle Olimpiadi in mondovisione e la «tregua politica» chiesta dal presidente francese Emmanuel Macron, è l’interrogativo che tutti gli osservatori esprimono nuovamente indicando i membri del governo dimissionario del premier Gabriel Attal. In effetti, l’attesa della composizione di un nuovo esecutivo potrebbe prolungarsi, proprio mentre la situazione del debito pubblico continua ad essere considerata pericolosa da buona parte degli analisti indipendenti. Per Bruno Le Maire, il ministro dell’Economia già candidato all’Eliseo, proveniente dai ranghi del centrodestra e da sempre sensibile al tema del rigore dei conti pubblici, si tratta ormai di una questione di principio. Tanto che l’ultima misura ordinata prima di dimettersi ha riguardato proprio un piano di 10 miliardi di economie e di entrate eccezionali destinato a contenere il deficit pubblico per l’anno in corso al 5,1%, dopo la voragine che si era aperta l’anno scorso, quando la Francia aveva chiuso l’esercizio con un 5,5% capace di allarmare le agenzie di rating e tutto il mondo finanziario. Da tempo, il debito pubblico francese ha superato le soglie simboliche del 110% del Pil e dei 3mila miliardi. Un dato, quest’ultimo, superiore dunque a quello dell’Italia.
Dopo 7 anni d’esercizio al ministero situato sul quai de Bercy, Le Maire rischia in effetti di lasciare l’esecutivo con una reputazione decisamente opposta rispetto a quella della sobrietà finanziaria. Insomma, come il simbolo di un’era Macron che ha registrato un’accelerazione decisamente imprevista dell’indebitamento francese, giustificata in passato dall’Eliseo citando le due situazioni «eccezionali», nell’ordine, della crisi interna dei “gilet gialli” - i contestatori di provincia contro il carovita - e di quella internazionale della pandemia.
Proprio come un affittuario in partenza obbligato a far trovare ai successori un alloggio senza crepe, Le Maire, che non nasconde di pensare ancora all’Eliseo, ha cercato di rassicurare i mercati con delle “pulizie” eccezionali in extremis. Ai colleghi ministri, ha inviato una lettera per notificare il congelamento di ben 5 miliardi di spese ministeriali. Per gli enti locali, il taglio eccezionale è stato invece di 2 miliardi. Il ministro ha pure previsto una tassa speciale per le compagnie del comparto energetico, in modo da recuperare altri 3 miliardi, anche se in questo caso occorrerà prima un voto in Parlamento.
Al di là della reputazione e delle ambizioni politiche del diretto interessato, è di fatto in gioco la credibilità di un intero Paese finito ormai nella cerchia dei “pessimi allievi” del rigore finanziario all’interno dell’Unione Europea. Per uno Stato in piena crisi politica e sprovvisto di un governo davvero attivo, si tratta di un’operazione dal sapore inedito. Tanto più se si considera l’annosa abitudine di Parigi di formulare giudizi, spesso ben poco graditi, verso altre cancellerie considerate non in linea con le regole europee.
Il temuto «atterraggio» senza ammortizzatori di settembre, dopo le settimane estive incantate segnate dalle Olimpiadi, potrebbe innescare un micidiale concatenamento di effetti non desiderati: una crescente tensione politica, un ulteriore indebolimento di Macron, oltre a nuovi possibili verdetti negativi da parte delle tanto temute agenzie di rating, con il rischio connesso dell’innesco di una crisi del debito finora mai conosciuta in Francia. In proposito, la nota per il Paese è già stata abbassata di recente da Fitch (aprile 2023) e da Standard & Poor’s, lo scorso 31 maggio.
Con toni mai tanto seri, Le Maire ha convocato persino una riunione eccezionale dei vertici ministeriali per lanciare un messaggio d’allarme proiettato al futuro: «È lo Stato a tenere il Paese, dunque i francesi contano su di voi».
Inoltre, lo stesso Le Maire ha ammesso di temere un rallentamento dell’attività economica legata al nuovo tallone d’Achille del Paese: l’estrema incertezza politica, dopo le elezioni legislative d’inizio luglio che hanno di fatto consegnato l’Assemblea Nazionale a tre forze fra loro quasi equivalenti (sinistra, macroniani, ultradestra), trasformando la realizzazione di una maggioranza in un rompicapo mai visto prima sotto la Quinta Repubblica. Del resto, scalpitano pure gli imprenditori, come quelli affiliati alla Cpme (piccole imprese) che denunciano già «3 mesi perduti di crescita».
© riproduzione riservata