mercoledì 6 novembre 2024
Secondo ExportUsa, il programma di Trump potrebbe provocare un incremento dei tassi di interesse. Assolatte spera non vengano riproposte nuove barriere doganali
A rischio anche le esportazioni di formaggio

A rischio anche le esportazioni di formaggio - Archivio

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In un contesto globale caratterizzato da incertezze economiche e fluttuazioni di mercato, l'export e l'internazionalizzazione delle imprese italiane ed europee negli Stati Uniti sono a rischio. È stato proprio Trump a scatenare una guerra di dazi. «L'Unione Europea è una mini-Cina», ha dichiarato di recente non lasciando presagire nulla di buono. Nel mirino potrebbe esserci lo squilibrio della bilancia commerciale - Germania e Italia sarebbero tra le più colpite - come mostrato nel corso del suo primo mandato, con i balzelli imposti non solo a Pechino, ma anche agli alleati europei (sull'acciaio e l'alluminio, per esempio). Dazi che non sono scomparsi del tutto nemmeno con Joe Biden, cambiando semmai natura (il sistema delle quote). Nella disputa tra Boeing e Airbus si è arrivati poi a una tregua di cinque anni sui dazi incrociati Usa-Ue, ma sul futuro non v'è certezza. Il nodo cruciale, dunque, è che - al di là di Trump - l'Ue sta realizzando come all'orizzonte ci siano anni turbolenti e che deve darsi una mossa per essere più indipendente nel mondo di oggi.

«Proporrò un'offerta di cooperazione, compreso un rinnovato Consiglio per il commercio e la tecnologia Ue-Usa, e allo stesso tempo sarò pronto a difendere i nostri interessi in caso di uno scenario dirompente», sottolinea il commissario europeo designato per il Commercio internazionale e la Sicurezza economica Maroš Šefčovič, durante l'audizione di conferma alle commissioni del Parlamento europeo. La Commissione, d'altra parte, non è rimasta con le mani in mano. Gli ambasciatori - a quanto si apprende - alcune settimane fa sono stati raccolti in piccolo gruppi e gli sono stati presentati vari scenari.

Lucio Miranda, presidente di ExportUsa, società di consulenza che aiuta le imprese italiane a insediarsi o a esportare nel mercato americano, prova ad analizzare i possibili scenari. «La prospettiva di espansione Oltreoceano - spiega - rimane salda e promettente perché i programmi di investimento avviati dall'amministrazione Biden continueranno per diversi anni, sostenendo così la domanda aggregata negli Stati Uniti. Siamo fiduciosi che la Federal Reserve saprà gestire al meglio le dinamiche macroeconomiche: in questo momento i mercati stanno metabolizzando e costruendo i due scenari». Secondo ExportUsa, il programma di Trump, che include misure come l'aumento dei dazi, il controllo severo dell'immigrazione e il taglio delle tasse, potrebbe provocare un incremento dei tassi di interesse poiché si tratta di azioni interpretate come altamente inflattive. «Bisogna però vedere - precisa Miranda - con che grado di estensione verrebbero implementate. Consigliamo alle imprese italiane di identificare il loro vero interlocutore: gli Stati, le Contee e le Organizzazioni per lo sviluppo economico. Queste entità sono, da sempre, in competizione tra loro per attrarre nuovi investimenti e offrire opportunità vantaggiose per stabilire nuove attività economiche (siano esse di natura produttiva o commerciale) e creare nuovi posti di lavoro all'interno del proprio territorio. Crediti per la ricerca e l'innovazione, abbattimento della sales tax, abbattimento dei contributi previdenziali, crediti d'imposta, eliminazione della property tax, cash grant e land grant sono solo alcune delle agevolazioni previste e variano da Stato a Stato».

«La speranza è che non vengano riproposti nuovi dazi e barriere doganali», afferma il presidente di Assolatte Paolo Zanetti. «Ci auguriamo - afferma Zanetti - che il dialogo tra Usa e Ue possa continuare nel solco dell'amicizia e della condivisione dei valori culturali ed economici che da sempre caratterizza i rapporti tra questi protagonisti dell'economia globale». Ma la preoccupazione è tanta per le decisioni che l'amministrazione Usa potrebbe prendere nel prossimo futuro. I superdazi fissati a fine del 2019, aggiuntivi del 25% ad valorem su alcuni dei formaggi italiani più esportati, avevano colpito duramente le imprese casearie; nel 2020 l'export lasciò sul terreno oltre 6mila tonnellate, per un valore di 65 milioni di euro, cui si sommarono altri 40 milioni di costi aggiuntivi. Recuperare le quote perse è costato molto lavoro e ingenti investimenti e ora l'Italia è il primo esportatore mondiale di formaggi verso il mercato statunitense; con 37mila tonnellate e un controvalore che supera i 440 milioni di euro, copre il 20% delle importazioni casearie americane complessive. La domanda di made in Italy negli Usa è sostenuta soprattutto da Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Pecorino; tre formaggi che rappresentano da soli l'80% dell'export italiano negli Stati Uniti.

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