Un momento dell'incontro organizzato da Sinagi - Archivio
Negli ultimi cinque anni in Italia sono state 3.339 le edicole costrette a chiudere, con un calo dei punti vendita dedicati prevalentemente a quotidiani e riviste del 22%. Nel solo 2022 hanno chiuso 992 edicole, di cui 53 nella città di Roma e 34 a Milano. Quest'anno hanno abbassato in maniera definitiva le saracinesche in più di 500. Tanto che oggi 5.895 comuni italiani (il 25% del totale) non hanno punti vendita di quotidiani e riviste e 2.438 comuni hanno un solo punto vendita. Una emorragia continua: da 40mila a 20mila negli ultimi 20 anni. Per questo gli esercenti chiedono «una nuova rottamazione delle licenze con accompagnamento alla pensione degli edicolanti, sul modello dell'anticipo di pensione ottenuto dalle aziende editoriali, anch'esso finanziato dal Fondo per l'editoria». Servono poi norme che consentano alle amministrazioni comunali «di concedere il cambio della destinazione d'uso dei chioschi affinché le attuali edicole possano lavorare con migliori prospettive per le famiglie impegnate in questo tipo di attività». Il Sinagi-Sindacato nazionale giornalai d'Italia chiede inoltre «alla filiera editoriale dieci centesimi per ogni pubblicazione consegnata in edicola, la definizione di regole e modalità di garanzie che i distributori locali richiedono, la definizione delle modalità di consegne e resa delle pubblicazioni». Bonus e sgravi fiscali sono necessari per sostenere un settore che durante il Covid, specialmente nei piccoli centri abitati, è stato l'unico punto di riferimento quando era vietato uscire, spostarsi in un altro comune o vedere parenti e amici. Ma le leggi non bastano, è necessario «assicurare un ricambio generazionale nei lettori, stimolando, avvicinando, soprattutto i più giovani, alla lettura dei giornali, abituandoli ad andare in edicola dove possono trovare una proposta di pubblicazioni molto ampia in grado di soddisfare ogni loro interesse», spiega Giuseppe Marchica, segretario generale di Sinagi. «Non sappiamo come saranno le città del futuro, di certo se non verranno presi provvedimenti adeguati le edicole non esisteranno più - aggiunge nel corso dell'incontro organizzato questa mattina a Roma -. Quei presidi culturali che fungono da punti di aggregazione e controllo del territorio si perderanno e per la gente del quartiere, per i signori che alla mattina si alzano per andare a prendere il giornale, per i bambini che sognano i fumetti dei loro eroi, per gli amanti delle collane che dal giornalaio hanno completato collezioni di minerali, insetti, automobiline, dischi di musica, dvd, statuette, libri di cucina, storia, arte, letteratura, la vita sarà un po' più egoista e un po' più sola». Marchica, inoltre, chiede che «il credito d'imposta riconosciuto a fronte di spese sostenute per l'attività diventi strutturale, come pure il bonus per il sostegno della diffusione capillare della carta stampata su tutto il territorio nazionale finanziato dal Fondo per l'editoria con una dotazione di almeno 25 milioni di euro». Il sindacato ricorda anche che il contratto con la Fieg-Federazione italiana editori giornali è scaduto da 14 anni e infine avanza la proposta che sia «riconosciuto lo status di lavoro usurante per chi opera in edicola»: chi si alza molto presto lo sa bene, le edicole aprono all'alba e spesso, per adattarsi alle esigenze dei clienti, restano aperte fino alle 20, non fanno pausa pranzo se non nel loro chiosco, non conoscono sabati né domeniche. Eppure, nonostante gli straordinari, i giornalai spesso non riescono ad arrivare a fine mese perché i guadagni non sono sufficienti e le vendite in continuo calo. Le edicole restano tuttavia un presidio del territorio. In particolare nei paesi e nei quartieri decentrati. Tanto da essere pronte a offrire servizi utili ai cittadini per conto di Comuni, Asl, Regioni, biblioteche.