Il Covid ha fatto da catalizzatore, spingendo ad un cambiamento profondo del modo di lavorare. E non si tratta solo di smartworking ma più in generale della ricerca di un benessere che coinvolga allo stesso modo la sfera professionale, dal rapporto con i colleghi alla soddisfazione personale, e quella privata consentendo di avere più tempo per coltivare rapporti umani e interessi. Pietro Bussotti, membro dello staff di presidenza per la psicologia del lavoro del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, è convinto che negli ultimi quattro anni siano cambiate le priorità degli italiani e delle aziende.
«Da un’indagine OSH Pulse (Occupational safety and health in post-pandemic workplaces) dell’Agenzia europea per la salute e sicurezza negli ambienti di lavoro pubblicata nel 2024 che ha coinvolto oltre 27000 persone - sottolinea Bussotti - emerge che il 44% di lavoratori ha avuto un aumento dello stress durante la pandemia, il 46% riferisce pressione temporale e sovraccarico di lavoro, un altro 26% lamenta scarsa comunicazione e cooperazione. Una quota del 16% ha subito episodi di violenza o abusi verbali da parte di clienti, colleghi e alunni, utenti, ecc… e un 7-10% si considera vittima di mobbing. Sono dati preoccupanti ai quali si aggiunge un 27% di lavoratori che soffrono stanchezza generale e depressione. Un’altra ricerca recente svolta da Gallup, istituto di ricerca americano con quasi un secolo di storia alle spalle, mette a confronto lavoratori europei ed italiani. Il nostro è un mercato poco dinamico. Colpisce un dato in particolare: il 25% dei dipendenti in Italia soffre di disaffezione nei confronti dell’azienda in cui lavora, di fatto “rema” contro (la media europea è il 16%) e si sente in trappola perché ha la percezione di non riuscire a trovare un altro lavoro. Sei lavoratori su dieci si sentono sotto stress e affaticati». .
Il mercato del lavoro dopo la pandemia, secondo Bussotti, ha sviluppato fenomeni psicosociali molto rilevanti come il fenomeno del great resignation: molte persone hanno messo in discussione l’ideale tradizionale del lavoro come elemento fondamentale della vita, si sono dimesse per cercare lavori più flessibili e con un elevato livello di conciliazione. «Il Covid ha velocizzato in una maniera straordinaria una serie di fenomeni latenti che senza sarebbero avvenuti in maniera più lenta, consentendo una maggiore facilità di adattamento - spiega ancora lo psicologo -. Il disagio psicologico è emerso in maniera diffusa soprattutto tra i giovani, che soffrono meno dello stigma sociale e si sentono più liberi di manifestarlo e di parlarne. Il Covid ha “slatentizzato” queste situazioni di disagio ed ha facilitato l’andare dallo psicologo. Le aziende lo hanno capito e quelle che sono motivate a rimanere produttive hanno intrapreso dei percorsi su misura. Oggi le nuove tecnologie dei large language model, vale a dire l’intelligenza artificiale generativa, stanno creano tanta paura e potrebbero rivoluzionare il mondo dei servizi da quello del giornalismo, in proposito abbiamo realizzato un’indagine con Casagit molto ampia, a quello della psicologia. Stiamo osservando una polarizzazione: da un lato una popolazione di persone specializzate e competenti che le aziende non vogliono perdere dall’altra platea di lavoratori non specializzati o poco occupabili. Si spiega così la scelta delle aziende di trattenere i lavoratori considerati preziosi non solo tramite la componente economica, che oggi è meno importante rispetto al passato, ma con un’attenzione al benessere e al work life balance».
Al momento, su questo tema, il principale obbligo per le aziende è quello di valutare, ai sensi della legge sulla sicurezza sul lavoro, tutti i rischi, in particolare quelli legati allo stress lavoro correlato, ma anche a molestie ed aggressioni. Aprire un servizio di accoglienza, spazi di ascolto in generale, è solo una delle azioni possibili. In Italia non mancano gli strumenti: nella pubblica amministrazione, ad esempio, è prevista la figura del Consigliere di Fiducia e quella dei Cug (Comitati Unici di Garanzia) per le pari opportunità.
Si sta verificando un interesse verso l’offerta di servizi psicologici in vari ambiti, dalle scuole allo come psicologo di base (che non deve essere necessariamente psicoterapeuta). Il supporto psicologico è un elemento che molte aziende stanno introducendo con uno specialista in sede ma soprattutto con convenzioni con centri di psicoterapia, spesso online. Si tratta di un benefit molto utile secondo l’Ordine degli psicologi ma che ha il limite di agire “a valle” quando cioè si manifesta un problema che può essere personale o inerente all’ambiente di lavoro. «Risponde all’esigenza del lavoratore di non sentirsi un numero ma considerato come persona dall’azienda - aggiunge Bussotti -. In linea di massima le donne sono le più interessate a fare questo percorso. In questo quadro io vedo un unico problema: la mancanza di un lavoro a monte, che deve prevenga il disagio con interventi virtuosi a livello organizzativo. Dovremmo spostare il focus cercando di pensare un contesto lavorativo dove vengono valorizzate l’organizzazione, le buone relazioni, lo spirito di gruppo. Il primo passo per la prevenzione parte dalla selezione del personale ad esempio nella pubblica amministrazione osserviamo ancora selezioni basate su elementi esclusivamente nozionistici ed alquanto scollati dalla realtà del lavoro che si andrà poi a svolgere».
La diffusione delle piattaforme che offrono sedute online secondo Bussotti è una normale evoluzione del sistema, un “efficientamento” come quello che è avvenuto nel commercio. Un cambiamento che porterà delle conseguenze in termini di possibilità, ma è anche vero che la qualità del coinvolgimento nella psicoterapia online è inferiore. Come Ordine siamo impegnati a monitorare questa evoluzione dal punto di vista deontologico, semmai il problema è il proliferare di figure che non hanno fatto un percorso di studi adeguato e che si stanno diffondendo, come varie e fantasiose tipologie di coach e consulenti».