Un diamante sintetico, secondo chi li produce, è identico in tutto e per tutto a una pietra grezza che la Terra ha impiegato fino a tre miliardi di anni per dare alla luce. Sarebbe infatti impossibile distinguerli a occhio nudo e persino al microscopio - IMAGOECONOMICA
Se un diamante è per sempre, come recita l’indimenticabile slogan, per crearne uno in laboratorio potrebbero bastare quindici minuti. La nuova tecnica è stata scoperta da un gruppo di ricercatori della Corea del Sud e potrebbe dare ulteriore impulso a un’industria, quella dei diamanti sintetici, che nell’ultimo decennio ha visto un vero e proprio boom. A spingere il settore una combinazione di fattori fra cui la crisi economica, la domanda di gioielli “puliti” ed ecosostenibili, e la geopolitica con le sanzioni alla Russia che è il primo produttore mondiale di diamanti.
Si spiega così il successo di società come la danese Pandora, quotata a Copenaghen e fra i titoli europei più gettonati del settore. Nel 2021 Pandora, il più grande produttore di gioielli al mondo in termini di volumi, ha annunciato l’abbandono dei diamanti estratti a favore delle pietre coltivate in laboratorio. Nel primo trimestre di quest’anno ricavi e profitti hanno battuto ampiamente le previsioni, grazie alla conquista di nuove quote di mercato negli Stati Uniti, che è già il primo mercato per l’azienda danese, consentendo di alzare le stime sull’intero anno. Da parte sua la celeberrima gioielleria Tiffany, oggi controllata dal colosso francese Lvmh, ha iniziato da qualche tempo a proporre collezioni di pietre sintetiche per testare la reazione dei propri clienti. Qualche problema invece per lo storico produttore De Beers, messo sul mercato all’inizio di maggio dalla casa madre Anglo American, il colosso delle miniere sudafricane, seppure con una valutazione di tutto rispetto che viene stimata intorno a 40 miliardi.
Il settore delle gemme alternative guadagna comunque terreno. Un diamante sintetico, secondo chi li produce, è identico in tutto e per tutto a una pietra grezza che la Terra ha impiegato fino a tre miliardi di anni per dare alla luce. Sarebbe infatti impossibile distinguerli a occhio nudo e persino al microscopio, poiché i diamanti creati in laboratorio mirano a replicare le proprietà fisiche, chimiche e ottiche dei diamanti naturali; e solo la perizia di un esperto sarebbe in grado di smascherare, per così dire, l’inganno. Tutto ciò grazie alla ricerca in un settore che ha mosso i primi passi negli anni Cinquanta del secolo scorso, e che recentemente ha ritrovato slancio per venire incontro ai gusti di fidanzati a corto di liquidità e consumatori sempre più attenti all’aspetto etico di un mercato a rischio di impatto ambientale e sociale (si pensi al caso dei diamanti “insanguinati”).
Quanto ai tempi per generare le pietre in laboratorio, con le tecniche comunemente in uso bastano solo otto settimane per creare un diamante sintetico. Non sorprende quindi che quest’ultimo costi molto meno: il prezzo varia da un decimo a metà di quello di un diamante naturale. Negli Stati Uniti metà delle pietre vendute sono ora coltivate in laboratorio e quasi il 40% degli anelli di fidanzamento ha un diamante industriale. Inizialmente snobbata dai professionisti e dagli appassionati, la gemma artificiale ed ecosostenibile si è fatta strada però anche fra il pubblico più esigente.
Se dieci anni fa rappresentavano meno dell’1% del mercato mondiale, oggi le pietre sintetiche puntano a una quota del 20%. E con la loro ultima scoperta i ricercatori dell’Istituto coreano per le Scienze di base puntano a dare il proprio contributo. Gli scienziati di Seul hanno dimostrato in particolare che una lega metallica liquida composta da gallio, ferro, nichel e silicio può far crescere diamanti in un’atmosfera di idrogeno e metano. Il metano fornisce il carbonio affinché il diamante possa crescere. Il processo richiede appunto solo 10-15 minuti per iniziare la loro formazione e termina dopo 150 minuti. I ricercatori sperano di estendere quest’ultimo numero per ottenere gemme più grandi. Non è un caso che la scoperta sia avvenuta in Corea del Sud, un mercato sempre più importante per la gioielleria, anche se per le esportazioni la concorrenza da battere resta quella dell’India, dove ancora vengono tagliate e lucidate il 90% delle pietre vendute nel mondo, comprese quelle sintetiche.