No, non esistono più. Forse. Oppure sì, esistono ancora. Anche se magari si chiamano in altro modo. Hanno comunque segnato un’epoca, fatto la storia, contribuito (senza saperlo) alla rinascita dell’economia italiana. Casalinghe di Voghera – con questo nome le ha battezzate negli anni Sessanta Alberto Arbasino -, donne operose e concrete anche se poste ai margini della società, escluse, messe da parte, bistrattate, in fondo alla lista delle persone in grado di comprendere i nuovi vocaboli della lingua italiana. Eppure figure importanti. Fondamentali. Motori dell’economia, non solo domestica. Un po’ stereotipi un po’ categorie sociologiche. Anche sulle Casalinghe di Voghera si è costruito il boom dell’Italia, non un miracolo (come spesso sbagliando s’è detto), ma qualcosa dalle radici ben profonde nel Paese, qualcosa che, appunto, di miracoloso non ha avuto proprio nulla mentre di concretezza, lavoro e fatica ha avuto tutto.
Ed è attorno a questa figura che domani, a Voghera naturalmente, andrà in scena “Ma ci sarà ancora la casalinga di Voghera?”, opera un po’ seria e un po’ no con un sottotitolo che spiega tutto: “Riflessione semiseria dal boom economico ai nuovi consumi”. Opera che, in realtà, è un dibattito organizzato al Teatro Sociale da Assolombarda nell’ambito delle manifestazioni per “Pavia capitale della cultura d’impresa”. Perché la figura della casalinga di Voghera non è solo un’immagine giornalistica, ma un vissuto di esperienze di vita e di lavoro, di fatiche e di sofferenze, di speranze taciute eppure fortemente sentite. E di futuro. Perchè, lo si è detto sopra, anche sulle casalinghe di Voghera, sulle donne che hanno lavorato pragmaticamente per decenni, s’è fatto lo sviluppo economico (e sociale) dell’Italia. Donne forti, con i piedi per terra e, in fondo, un’idea di futuro in testa.
Già, il futuro. Una prospettiva da conquistare ai tempi delle casalinghe di Voghera, un’incertezza da indagare oggi, al tempo in cui la società diventa digitale e virtuale lasciando però che i problemi sociali ed economici continuino a mordere con assoluta concretezza. Così, se quelle donne ai margini delle vetrine luminose del progresso probabilmente non esistono più, altre donne oggi sono poste ai confini della società, sempre minacciate, ancora bistrattate, sottovalutate quando non violentate. Eredi di quelle casalinghe di provincia, oggi queste donne aggiungono però altro alla concretezza delle loro progenitrici: la volontà di farsi protagoniste e di conquistare il centro del palcoscenico del progresso. Trascinandosi magari altre donne, che nemmeno sanno dov’è Voghera, che sono nate in altri Paesi, che hanno la pelle di un colore diverso, che hanno tentato la fortuna su un barchino caracollante sul mare.
A Voghera domani – e speriamo in altri teatri successivamente -, si ragionerà di tutto questo tra giornalisti, storici, studiosi e osservatori della realtà. Presenti, tra gli altri, Nando Pagnoncelli (sondaggista), Andrée Ruth Shammah(direttrice Teatro Franco Parenti), Maria Latella (giornalista) ed Emanuela Scarpellini (storica). Dice Antonio Calabrò presidente di Fondazione Assolombarda e animatore dell’evento: “E’ sbagliato lasciarsi andare alla nostalgia di queste figure di donne tutte prese da un mondo che non esiste più; è giusto, invece, valorizzare quelle donne che oggi in qualche modo ne raccolgono l’eredità mettendoci tensioni e aspettative importanti, ma anche capacità professionali e voglia di rivendicare diritti e doveri con grande concretezza e caparbietà. Conquiste che valgono per tutte le donne e, in fin dei conti, anche per gli uomini”.
Al Teatro Sociale di Voghera Assolombarda organizza l'opera “Ma ci sarà ancora la casalinga di Voghera?” che è in realtà una riflessione semiseria su questa figura: dal boom economico ai nuovi consumi
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