
Restano le difficoltà dei giovani a trovare lavoro - Open Jam
Un Bonus a misura di giovani. Dopo che la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone, di concerto con il ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, ha firmato il decreto attuativo dell'esonero contributivo per assunzioni di persone sotto i 35 anni mai occupate a tempo indeterminato, previsto dal decreto Coesione del 2024, si possono aprire con più facilità le porte dell'inserimento lavorativo. Il Bonus riconosce ai datori di lavoro privati che assumono personale non dirigenziale a tempo indeterminato o trasformano il contratto a tempo determinato in un contratto stabile, fino a 24 mesi di esonero dal versamento dei contributi previdenziali per un massimo di 500 euro al mese per ciascun lavoratore. Questo tetto massimo viene incrementato a 650 euro al mese nel caso in cui l'assunzione sia effettuata presso una sede o unità produttiva nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. L'esonero spetta ai datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l'assunzione, non hanno proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi. Il Bonus non è cumulabile con altri esoneri contributivi, ma è compatibile, senza riduzioni, con la maxi-deduzione per nuove assunzioni introdotta dalla riforma dell'Irpef e prorogata fino al 2027. Stanziati 1,429 miliardi di euro a valere sul Programma nazionale giovani, donne e lavoro 2021-2027. L'efficacia delle misure era subordinata all'autorizzazione della Commissione Europea, via libera che è stato comunicato lo scorso 31 gennaio. «Potremo dare nuovi strumenti ai giovani e alle donne per entrare nel mondo del lavoro e dalla combinazione delle varie misure contiamo di creare fino a 180mila nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato - spiega Calderone -. Come abbiamo detto in occasione dei numeri record sull’occupazione in Italia, raggiunti in questi due anni di governo, c’è ancora tanto da fare e proprio giovani e donne sono i veri valori aggiunti che possono dare un’ulteriore spinta alla partecipazione di sempre più italiani al nostro mondo del lavoro, rafforzando così il nostro tessuto produttivo».
Ottimisti, felici, ma soli nelle scelte di futuro
Ottimisti, felici e poco stressati, sono i giovani adolescenti immortalati nell’istantanea scattata dall'indagine voluta da Fondazione Engim e svolta da Community Research&Analysis presso un ampio numero di giovani allievi che ancora devono entrare nel mondo del lavoro, frequentanti i corsi IeFP di Engim (oltre 4mila, pari al 71% degli iscritti), oltre a un campione di controllo di coetanei di istituti superiori (circa 400).
La ricerca diretta dal prof. Daniele Marini, i cui dati sono stati elaborati insieme a Irene Lovato Menin nel rapporto finale Giovani in formazione: diverse somiglianze, risponde alla volontà di Fondazione Engim di comprendere come le nuove generazioni intendono il lavoro, quali sono le loro aspettative, qual è il peso attribuito a questa dimensione in prospettiva futura. Grazie al coinvolgimento del campione di controllo, possiamo affermare che il percorso scolastico non differenzia la visione di futuro o l’adesione ai valori degli allievi IeFP rispetto ai loro coetanei liceali: la ricerca ha quindi una valenza più ampia, che esce dai confini della formazione professionale.
Sono emersi alcuni aspetti, per certi versi inaspettati. Innanzitutto, la ricerca sfata lo stereotipo tutto italiano di allievi IeFP provenienti esclusivamente da classi sociali marginali: la provenienza socioculturale dei genitori vede per il 66,7% famiglie di classi medio-alte, mentre l’altro terzo (33,3%) da classi basse. Quote leggermente diverse per gli allievi delle altre scuole, ma non tali da ipotizzare una radicale differenziazione della composizione sociale degli studenti così come l’immaginario collettivo fa pensare.
In secondo luogo, è evidente un approccio al lavoro diverso dalle precedenti generazioni. Questo approccio si inserisce nella percezione dell’insieme dei valori che, mediamente, si vedono attribuire una rilevanza inferiore rispetto alle generazioni precedenti. Allo stesso tempo, però, il lavoro ha un’importanza più elevata fra gli studenti IeFP (71,8%), rispetto ai coetanei (59,8%) e ai giovani adulti (68,6%). Dunque, nella maggiore «leggerezza» che caratterizza l’universo dei valori, il lavoro rappresenta un ancoraggio ancora importante, e più importante per i giovani della formazione professionale rispetto agli altri. I giovani intervistati considerano il lavoro in misura maggiore come un «percorso», una sorta di «navigazione» sul mercato e, proporzionalmente, in modo più elevato fra gli studenti di Engim (64,4%) rispetto agli altri (57,2%). Ciò significa che la dimensione «soggettiva» risulta centrale ed è caratterizzata da una attenzione agli aspetti «espressivi» (37,0%) del lavoro, più che a quelli «strumentali» (31,0%).
Nell’istantanea che ne risulta, quindi, si vedono ben nitidi la fiducia nel futuro e, in particolare, l’ottimismo nel futuro lavorativo, mentre sono un po’ sfocati i valori di riferimento: la maggior parte dei giovani intervistati non è né “tradizionalista” (che fa riferimento ai valori della famiglia, del lavoro e della fede), né “impegnata” (culturalmente o politicamente) e nemmeno “ludica” (orientata al tempo libero e agli amici). I giovani d’oggi sono soprattutto “relativisti” per cui tutto è relativamente importante e diventa una guida a seconda della situazione specifica in cui si è inseriti in quel determinato momento, in una logica di adattamento.
È rilevante scoprire che ben due terzi degli allievi Engim dichiari che la IeFP è stata la prima scelta dopo la terza media, anche se sicuramente una parte proporzionalmente maggiore rispetto ai coetanei degli istituti superiori arriva alla IeFP con alle spalle la ferita di una bocciatura. Il che rende l’approccio alla formazione più complicato e sfidante, per loro e per gli insegnanti. Ma questo conferma il ruolo degli enti di formazione professionale: dare dignità e cittadinanza a quelle persone che rischierebbero di rimanere ai margini del lavoro e della società.
Gli allievi IeFP guardano al futuro con una speranza più elevata rispetto ai coetanei frequentanti gli altri istituti scolastici: è plausibile ipotizzare che, da un lato, vi sia un elemento di riscatto, la possibilità di dimostrare di valere; dall’altro, è la prossimità al lavoro, l’apprendimento in contesto lavorativo che rende il percorso formativo più appetibile e meno stressanti le ore trascorse a scuola.
Le difficoltà della transizione verso il mondo professionale non sono poche e spesso si trovano da soli ad affrontarle. Secondo l’indagine, il 30% dei giovani non chiede consiglio a nessuno quando si tratta di prendere decisioni sul proprio futuro. Subito dopo, al 25-27%, compare la figura materna come principale punto di riferimento, mentre pochissimi fanno riferimento al padre o agli insegnanti. Un dato che evidenzia una tendenza all’autonomia forzata, spesso accompagnata da incertezze e dubbi non facili da affrontare.
Ne deriva una nuova consapevolezza per gli enti di formazione, e per il mondo degli adulti in generale: le giovani generazioni vanno accompagnate nella transizione lavorativa non solo dal punto di vista professionale, ma anche nel preservare la dimensione ideale del lavoro e del suo valore, favorendo l’abbandono dell’approccio “relativista” che caratterizza i giovani d’oggi.
Cercano benessere e indipendenza economica
È un ritratto di una gioventù molto equilibrata e determinata quello che emerge dal sondaggio condotto in occasione della terza edizione di Open Jam, il più grande festival sulle prospettive del lavoro per gli under 30. L’evento promosso da Teha Group, con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, del Comune di Rimini e del Cng-Consiglio nazionale giovani è un laboratorio dedicato a ripensare il significato del lavoro, alle sfide aziendali del nostro tempo e alle loro possibili soluzioni.
Dalla survey emerge che le giovani e i giovani che hanno fatto il loro ingresso nel mondo del lavoro abbiano trovato un equilibrio tra - da un lato - il comfort della sicurezza offerta da un posto fisso con un buon salario, e dall’altro la volontà di affermarsi, veder riconosciuto il proprio valore, tutelare il proprio benessere psicofisico. Il 55% degli intervistati si ritiene “molto soddisfatto” del proprio lavoro, un quarto del campione esaminato addirittura “completamente soddisfatto”. Il 55% valuta che la propria retribuzione sia soddisfacente (tra “molto” e "completamente" tale) e il 93% afferma che quello salariale sia un parametro da “molto” a “estremamente importante” nella considerazione di un’offerta di lavoro. Emerge inoltre grande attenzione per la salute mentale: per il 36% è più importante dell’indipendenza economica e della soddisfazione professionale. Inoltre, il 99% degli intervistati ritiene che il riconoscimento del merito abbia un impatto “alto” o “molto alto” sul benessere individuale nel luogo di lavoro.
I giovani guardano con serenità al proprio lavoro: il 79% del campione analizzato si dichiara “completamente” (24%) o “molto soddisfatto” (55%), il 17% sostiene di esserlo “moderatamente” e solo il 4% “poco” o “per niente”. Si presenta uno scenario simile quando si chiede del compenso: il 17% sostiene di essere “moderatamente” soddisfatto, ma ben il 45% si dichiara “molto” soddisfatto e il 10% persino “completamente”. Solo il 17% ritiene di non ricevere un compenso adeguato (13% “poco soddisfatto”, 4% “per niente soddisfatto”). Compenso che per il 57% degli intervistati è “molto importante” quando si valuta una posizione lavorativa.
Per quanto riguarda le aspirazioni dei giovani professionisti, l’impiego stabile rimane di interesse: per il 66% del campione trovare un posto di lavoro in cui potersi esprimere e crescere è un obiettivo. Significativo il dato che pone la salute mentale e il benessere psicofisico tra le priorità dei giovani (con il 36% delle risposte), rispetto anche alla costruzione di una rete di affetti (22%), all’indipendenza economica (21%) e alla soddisfazione derivata dal lavoro (20%).
Il dato più rilevante, però, è forse quello che riguarda il riconoscimento del merito: il 99% del campione reputa che questo abbia un “impatto alto” (16%) o “molto alto” (83%) sul proprio benessere lavorativo. A seguire il salario: 97% tra “impatto alto” (42%) e “molto alto” (55%), mentre per il 12% degli intervistati i benefit economici rivestono un interesse moderato, per il 53% “alto” e per il 34% “molto alto”.
Significativi i dati sulla flessibilità oraria, che ha un impatto maggiore (36% “alto”, 58% “molto alto”) dello smart-working, che comunque rimane un paramento importante: 42% “impatto alto”, 44% “molto alto”, anche se per il 14% del campione ha un impatto che va da “nullo” (4%) a “minimo” (3%) o “moderato” (7%).
Un altro tema centrale sarà quello della gestione dei conflitti. Supportare i team attraverso nuovi modelli di leadership basata sull’ascolto offrirà una risposta ai giovani professionisti che chiedono sostegno psicologico sul lavoro: il 69% del campione intervistato giudica questo come un parametro dall’impatto “alto” (45%) o “molto alto” (24%), mentre per il restante 22% è un tema dall’impatto “moderato”, e solo per il 10% “minimo” (6%), o nullo (4%) per il benessere individuale nel luogo di lavoro.
Gli ostacoli alla ricerca del lavoro
Hanno studiato, si sono diplomati o laureati, hanno investito anni nel proprio futuro. Eppure, quasi otto giovani su dieci si sentono soli nella ricerca del lavoro. Ansia e paura di fallire rendendo le candidature un salto nel vuoto. L’Osservatorio Jobiri 2025 In cerca di futuro: cosa blocca i giovani nella ricerca di lavoro, condotto su 1.156 giovani tra i 18 e i 29 anni, svela una realtà allarmante: 68% dei giovani vive la ricerca di lavoro con ansia e frustrazione; 89% non sa come valorizzare le proprie esperienze nei cv e nei colloqui; 77% dice di non aver ricevuto un supporto adeguato per affrontare la ricerca lavoro; 72% ha profili LinkedIn poco curati, limitando le opportunità di trovare lavoro.
Il cv è la prima occasione per emergere, ma spesso è scritto male, generico e senza impatto. Quasi nove giovani su dieci (89%) non sanno valorizzare le proprie esperienze e vengono scartati in pochi secondi. Altri errori comuni: l'84% non usa parole chiave per superare i filtri dei software di selezione; il 58% ha un formato poco leggibile o troppo prolisso; il 6% commette errori grammaticali o di battitura; il 73% dei profili è incompleto o poco curato e questo riduce drasticamente la visibilità dei giovani ai recruiter. Altre criticità emerse: il 64% non costruisce attivamente la propria rete professionale; il 57% invia richieste di collegamento senza personalizzazione, risultando poco efficace.
Arrivare impreparati al colloquio significa giocarsi l’opportunità in pochi minuti. Dati chiave: l'80% non raccoglie dati sull’azienda e il 77% non si esercita su domande chiave; il 59% non interagisce attivamente col recruiter; il 44% non presta attenzione all’abbigliamento e alla comunicazione non verbale.
Oltre alle difficoltà personali dei giovani, c’è un problema strutturale nelle istituzioni. Servizi di orientamento inadeguati: il 77% dice di non aver ricevuto supporto concreto. Mancanza di personale: tempi di attesa lunghi e assistenza limitata. Strumenti obsoleti: il 65% ritiene che i sistemi digitali offerti siano poco utili.
«I numeri parlano chiaro: i giovani non solo faticano a trovare lavoro, ma si sentono soli e impreparati – concludono Claudio e Roberto Sponchioni, fondatori di Jobiri -. Non possiamo più ignorare questa realtà. Dobbiamo costruire strumenti migliori, dare risposte concrete e smettere di lasciare i giovani soli. Il momento di agire è ora. Insieme. Alcune istituzioni pubbliche e private hanno già adottato modelli innovativi, con risultati concreti. Ma serve un’estensione su larga scala per sostenere un nuovo modello di orientamento e accompagnamento al lavoro che finalmente garantisce: accesso a risorse h24, per offrire supporto quando serve davvero; intelligenza artificiale per semplificare la vita degli operatori e dei giovani; supporto personalizzato per migliorare cv, LinkedIn e preparazione ai colloqui; coinvolgimento/formazione degli orientatori, per rendere i servizi ancora più efficaci».