I dazi di Donald Trump potrebbero paradossalmente aiutare le esportazioni italiane. Già scorrendo la lista di merci europee da colpire pubblicata da Washington dopo la vittoria all’Organizzazione mondiale del commercio ( Wto) contro gli aiuti pubblici ad Airbus si era capito che alcuni prodotti italiani potevano essere avvantaggiati. Le nuove tasse del 25%, in vigore dal 18 ottobre, sono sui vini francesi e spagnoli con una gradazione superiore ai 14 gradi (champagne escluso), ma non su quelli italiani. I dazi colpiscono poi l’olio di oliva spagnolo e non il nostro. L’export di vino italiano negli Stati Uniti vale 1,5 miliardi di euro l’anno, quello di olio 450 milioni. Per entrambi si aprono grandi spazi di crescita in America. Forse abbastanza grandi da compensare i danni che i dazi faranno ai nostri formaggi (l’export di Parmigiano Reggiano e Grana Padano negli Usa vale circa 210 milioni di euro) e ai nostri liquori (75 milioni di euro di esportazioni annue).
ExportUsa, società di consulenza commerciale che ha aiutato ad entrare nel mercato americano diverse aziende italiane, compresi nomi noti come La Perla o Seletti, ha fatto i primi calcoli ed è arrivata alla conclusione che, nel complesso, il Made in Italy ci guadagna. Secondo le stime della società di consulenza, l’export di formaggi e liquori italiani dovrebbe diminuire di 150 milioni di euro complessivi, ma quello di olio e di vino dovrebbe aumentare di 320 milioni, con un saldo positivo di 170 milioni.
La stima si basa sul principio che il cliente americano non abbandonerà completamente i formaggi italiani a causa del rincaro, ma magari ridurrà i consumi del 50%, mentre si sposteranno su vino e olio italiani circa il 20% degli acquisti dei prodotti rivali di Francia e Spagna. Si capirà nei prossimi mesi se le stime di ExportUsa sono corrette.
I dati ufficiali dell’Istat, intanto, mostrano che è soprattutto grazie alle vendite negli Stati Uniti che il 2019 è stato un altro anno positivo per il Made in Italy. Nei primi nove mesi dell’anno, le vendite nei mercati extra-europei sono cresciute del 4%, raggiungendo i 153,3 miliardi di euro, mentre le importazioni sono aumentate dell’1,6%, a 131,5 miliardi. Negli Stati Uniti, che con con una quota del 9,2% sono il nostro primo mercato extra-europeo, le vendite sono salite del 9,3% rispetto allo stesso periodo del 2018.
Se si guarda solo ai dati di settembre, nota l’Istat, il 90% della crescita mensile (+2,5%) è stato ottenuto dalle esportazioni in soli tre mercati: Stati Uniti, Svizzera e Giappone. La Cina, nonostante a marzo il governo abbia firmato l’ingresso dell’Italia nella Nuova via della Seta, nei primi nove mesi del 2019 ha ridotto del 2,4% le sue importazioni dall’Italia (va in Cina il 2,8% del nostro export) mentre ha aumentato le esportazioni verso il nostro Paese del 5,5%. Se la bilancia commerciale italiana con il resto del mondo, Europa esclusa, è positiva per 21,7 miliardi nei primi nove mesi del 2019, è soprattutto grazie ai 20,3 miliardi di attivo commerciale con gli Stati Uniti. La Cina, con un passivo di 14,8 miliardi, si è confermata il nostro partner commerciale più "gravoso".