Aperto anche a Pasqua l'outlet di Serravalle
Una piccola oasi di giorni di chiusura quasi obbligatori nel mare magnum delle liberalizzazioni. Archiviata la Pasqua con la due giorni di scioperi e mobilitazioni indette dai sindacati del settore del commercio per denunciare gli effetti delle aperture non stop sulla qualità delle vita dei lavoratori - meno tempo per la famiglia a fronte di retribuzioni non sempre commisurate all’impegno - si torna a parlare di una lista di giornate, diciamo "super-festive", da mettere al riparo una volta per tutte. Con regole chiare e condivise. La liberalizzazione, partita dal decreto Bersani e diventata completa con il "salta Italia" di Monti è operativa dal 2012. Ma di fatto, complice anche la lotta ad armi impari che il commercio tradizionale si trova a combattere con i colossi dell’e-commerce, è diventata evidente anche nei giorni più "rossi" del calendario negli ultimi due anni. Con aperture prima impensabili anche a Natale e a Pasqua. Il tema torna ad essere di attualità politica visto che la proposta di legge (arenata da anni al Senato dopo un primo via libera alla Camera) che prevedeva l’istituzione di 12 giornate festive "libere" dal lavoro è firmata dal M5S. Resterà da vedere se un eventuale governo grillino manterrà la promessa di fissare dei paletti. La proposta di Michele dell’Orco risale al 2014 e prevede che su dodici giorni festivi all’anno (Capodanno, l’Epifania, il 25 aprile, e poi Pasqua, Pasquetta, il Primo maggio, il 2 giugno, il 15 agosto, il primo novembre, l’8 dicembre, Natale e Santo Stefano) sei debbano essere di chiusura. Le date dovrebbero venire contrattate fra associazioni e Comuni garantendo l’apertura del 25% degli esercizi commerciali a rotazione.
Ipotesi che piace ai sindacati freschi di mobilitazione in Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Veneto. L’intenzione di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs è quella di sollevare il problema e chiedere che ci sia per i lavoratori da una parte il criterio della volontarietà dall’altra una maggiore retribuzione rispetto alle "semplici" domeniche. Ma anche l’introduzione appunto di una lista di "super-festivi" che consenta ai lavoratori di conciliare lavoro e famiglia. La Fisascat chiede che venga ripristinata la concertazione a livello di enti locali, che spetti quindi (come avveniva prima) a Regioni e Comuni stabilire il calendario. Un altro punto cruciale è che il rilancio dei consumi parta da interventi concreti sul reddito delle famiglie «Se non crescerà il reddito non cresceranno le vendite, mentre si assiste ad una estremizzazione dei sistemi di vendita come quello del lavoro domenicale» sottolinea il segretario generale della Fisascat Pierangelo Raineri che parla di «un’involuzione del settore» legata del commercio elettronico che nei prossimi anni assorbirà il 40% delle vendite. Secondo i dati di Federdistribuzione, la distribuzione organizzata ha deciso di aprire anche a Pasqua: a conti fatti saracinesche alzate per il 19% degli aderenti. In particolare il 25% dei negozi di alimentari e il 7% dei non alimentari. Per Pasquetta le aperture complessive sono state il 60% (il 68% per il settore alimentare e il 44% per l’abbigliamento). L’idea di alcune giornate di chiusura è una misura percorribile per Federdistribuzione che però pone due condizioni: regole nazionali e non regionali (visto che il commercio è ormai "globalizzato") e libertà di scelta in base alla tipologia di articoli. Per Confesercenti, che nel 2012 era stata promotrice della campagna «Liberaladomenica» la deregulation del commercio è stata un disastro perché ha portato dalla chiusura di 90mila negozi. Confimprese, l’associazione che riunisce oltre 300 marchi nel settore del commercio retail, si schiera contro le chiusure. «Abbiamo uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alto d’Europa: siamo così ricchi da buttare via l’opportunità di dare lavoro a chi non ne ha?» si chiede il presidente Mario Resca sottolineando che nelle imprese aderenti lavorando molti studenti e mamme con contratti part-time di 20 ore. «Chiudere sarebbe un danno enorme - continua Resta - per un duplice motivo. Il nostro è un paese che sta vivendo una stagione molto positiva per il turismo, e quindi deve garantire servizi adeguati. Ma soprattutto tenere i negozi chiusi la domenica sarebbe solo un enorme regalo ad Amazon».