Mezzo secolo e oltre dedicato alla riflessione sulla vita, sull’amore coniugale, sulla famiglia bastano per esprimere un parere non casuale a proposito delle prospettive del Sinodo che si apre tra quattro giorni? La risposta sembrerebbe inutile. Eppure il cardinale Elio Sgreccia, 87 anni, presidente emerito della Pontificia Accademia per la vita, considerato tra i massimi studiosi mondiali di temi legati alla bioetica, quando gli chiediamo di rispondere a qualche domanda, all’indomani della decisione del Papa di inserirlo tra i padri sinodali di sua nomina, esordisce con una lezione di spontanea modestia: «Va bene, ma non so se il mio pensiero potrà risultare interessante per i lettori...». Non rimane che verificare...
Eminenza, se dovesse indicare due concetti chiave da sottoporre alla prossima assemblea dei vescovi sulla famiglia, quali sceglierebbe? Il primato della misericordia e il primato della pastorale. Basterebbe comprendere meglio la profondità dei significati connessi a questi due punti, per agevolare la soluzione di tante questioni che tra pochi giorni saranno discusse al Sinodo.
Proviamo ad entrare nel dettaglio... In questa fase intersinodale ho pensato molto a questi punti e mi sembra che misericordia e pastorale debbano essere collegate. Tento di spiegarmi. La misericordia è un concetto spirituale ma che influisce anche sulla concretezza. Parlando di misericordia, abbracciamo un significato molto ampio. È misericordia anche il prevenire il peccato, anche il dono dell’Immacolata Concezione è segno di misericordia da parte di Dio. Anche spiegare ai giovani il significato della castità prima di arrivare al matrimonio. Anzi, questa è misericordia primaria.
E accogliere le famiglie ferite?Giusto chinarsi laddove il peccato ha continuato a lavorare, dove c’è divisione, ma tutto questo non deve farci dimenticare che la misericordia più grande mira a un ideale, punta al meglio, alla vittoria totale. Nel caso dei giovani che si preparano al matrimonio, noi non possiamo che presentare loro le nozze come Cristo le ha concepite. Dobbiamo mirare alla misura alta della santità. Tanto più si punta in alto, tanto più si previene la divisione e tanto più si ha la possibilità di recuperare le situazioni più critiche. L’
opus misericordiae va presentata nella sua globalità.
Quindi misericordia come base della pastorale?Sì, ma dobbiamo intenderci. Ho letto con attenzione l’
Instrumentum laboris e devo dire che di pastorale si parla un po’ ovunque ma, a mio parere, troppo poco. Eppure la pastorale è l’unico strumento che abbiamo. Attraverso la pastorale è Cristo stesso che agisce nella Chiesa, è l’opera di Cristo risorto. Una pastorale in senso forte è comunicare Cristo vivo, profetico, sacerdotale e regale, secondo quanto ci ha detto il Concilio. In particolare la pastorale della famiglia, che incarna il senso profondo dell’amore e apre alla vita.
Ma oggi, soprattutto in Italia, non si fa abbastanza sul fronte della pastorale familiare?Ogni vescovo dovrebbe far innamorare i suoi sacerdoti di un progetto di pastorale ricca, piena, secondo il disegno di Dio. Oggi la pastorale sembra una materia secondaria rispetto alla teologia. E questo non va. La pastorale è la sintesi di tutto ciò che c’è nella Sacra Scrittura. Questo è il nostro tesoro e dobbiamo farlo sentire alla gente in modo vitale, decisivo. La pastorale abbraccia tutta la vita. Si dovrebbe chiamare appunto pastorale della vita, perché la persona dovrebbe essere accompagnata in ogni momento, dall’inizio alla fine naturale.
Ma nella vita familiare ci sono anche errori e debolezze, si creano situazioni che sembrano deviare dall’insegnamento del magistero. Che fare?Credo che abbiamo avuto poca fiducia nel presentare il mistero dell’amore in tutta la sua verità e pienezza. Anch’io vedo spesso situazioni familiari disastrose. Ma se queste persone devono contare solo sulle proprie forze, non ce la faranno mai, l’impresa è insostenibile. Dobbiamo dire loro di guardare a Cristo, di non perdere di vista la vetta della montagna, di non abbassare lo sguardo. Sono contento che durante il Sinodo sia stata programmata la canonizzazione dei genitori di santa Teresa di Lisieux. Giusto proporre la santità a tutti come ci ha insegnato la
Lumen gentium, non accontentiamoci di volare troppo basso
In questa prospettiva come valutare le indicazioni dell’Instrumentum laboris che suggerisce di guardare con simpatia e senso d’accoglienza i conviventi?Mi è capitato tante volte di incontrare persone conviventi e ho sempre cercato di far capire che la loro situazione poteva e doveva essere recuperata, passando dall’amore umano a quello divino, cercando nuova armonia tra eros e agape. È giusto dirlo, non dobbiamo accontentarci di strappare un consenso minimo. Non si tratta di mettere un coperchio a situazioni che comunque vivono l’amore in modo parziale.
Come si pone nel «dibattito» tra misericordia e verità che lascerebbe quasi intendere due concezione quasi opposte?La misericordia è verità vissuta, non c’è separazione. Non si può dividere in Cristo la presenza della verità e quella dell’amore. Si tratta di una falsa opposizione.
Divorziati risposati, giusto proporre loro un percorso di riconciliazione in una logica penitenziale?Il problema, ancora una volta, riguarda la pastoralità e non deve riguardare la dottrina dell’indissolubilità. Non possiamo ledere l’orizzonte tracciato dal magistero e fondato sulla Scrittura. E quindi quello che rimane da fare è sul piano della pastoralità, che vuol dire anche prevenzione, vicinanza, comprensione. Nella
Familiaris consortio c’è già tanta comprensione per le coppie divorziate e risposate che non possono più tornare indietro. L’indicazione di vivere come fratello e sorella è corretta, perché non intacca il principio dell’indissolubilità.
Che dire delle proposte avanzate recentemente da un gruppo di teologi nell’ambito di due convegni organizzati dal Pontificio Consiglio per la famiglia, riguardo alla possibilità di superare la connessione tra fecondità, amore coniugale e contraccezione?Non vorrei che dietro queste formule vaghe ci fosse l’obiettivo di far saltare i cardini dell’
Humanae vitae. I metodi naturali sono una ricchezza. Conoscere i ritmi della fertilità della donna è una catechesi che non toglie niente alla responsabilità. Anzi, quanto più conosco ciò che sto facendo, tanto più sono responsabile. L’astinenza periodica per distanziare le nascite è una scelta umanamente concepibile e accettabile. Rimettere in discussione l’
Humanae vitae rientra in una logica individualista alla quale non dobbiamo cedere. I metodi naturali sono scelta di responsabilità e d’amore. Non dobbiamo stancarci di spiegarlo a tutte le coppie.