Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino, davanti alla Sindone nel 1978 - Arcidiocesi di Torino
«Plasmò tutta la sua esistenza sul Vangelo. Ebbe una capacità di lettura appassionata e intelligente della realtà in cui era chiamato a vivere: ma aveva capito bene che c’è un centro della storia, che è Gesù Cristo e per questo è stato un pastore capace di vedere sempre la presenza di Dio nella storia come nella vita delle persone». L’arcivescovo di Torino, Roberto Repole, quarto successore di Anastasio Alberto Ballestrero sulla cattedra di san Massimo ha presieduto ieri in Cattedrale la Messa per la chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione del cardinale carmelitano, morto esattamente 25 anni fa (il 21 giugno 1998) a Bocca di Magra, nella casa carmelitana dove si era ritirato una volta lasciato Torino nel 1989, dopo aver guidato la diocesi per 12 anni. Prima Paolo VI lo aveva inviato a Bari come arcivescovo (1973-1977) e sempre, durante la sua vita religiosa, Ballestrero fu maestro di predicazione nei conventi, carmelitani e non solo. Come preposito generale dell’Ordine fu anche il primo a visitare tutte le case carmelitane, maschili e femminili, del mondo. Padre conciliare, fu tra i collaboratori più ascoltati di papa Montini: nel 1970 Paolo VI proclamò santa Teresa d’Avila, riformatrice carmelitana, dottore della Chiesa insieme con Caterina da Siena. Ed era stato anche presidente della Cei e fu creato cardinale da Giovanni Paolo II nel giugno 1979.
Alla celebrazione di ieri hanno preso parte numerosi vescovi del Piemonte, insieme con il preposito generale dei carmelitani scalzi Miguel Màrquez Calle (anch’egli successore di padre Anastasio che fu a capo dell’Ordine dal 1955 al 1967). Presenti anche numerosi frati della Provincia Ligure, di cui oggi fa parte anche il Piemonte (a Torino i carmelitani animano la chiesa di Santa Teresa, nel centro storico: papa Bergoglio venne a visitarla nel giugno 2021, perché era la parrocchia dei suoi antenati torinesi). Al termine della Messa gli atti solenni di chiusura del processo diocesano, coordinati da padre Marco Chiesa, postulatore generale dei carmelitani scalzi. La causa avrebbe dovuto essere avviata nella diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato dove il morì: ma ci si accordò per istruire il processo a Torino, dove Ballestrero era rimasto più a lungo come vescovo e dove erano più numerose e vive le testimonianze e le memorie. Nel 2014 l’arcivescovo Cesare Nosiglia (ieri presente a fianco di Repole) avviò l’istruttoria che ieri si è conclusa. Sono stati esaminati tutti gli scritti e consultati 30 archivi: delle voluminose scatole della documentazione, debitamente sigillate, una rimarrà a Torino, una alla sede centrale dell’Ordine a Roma e la terza sempre a Roma, ma al Dicastero delle cause dei santi per le nuova fase del processo.
Il ricordo del porporato è ancora vivissimo a Torino, per la profonda umanità che seppe condividere nella Chiesa e nella intera comunità civile. Qui Ballestrero affrontò gli anni difficili del terrorismo. Intorno a una parola, «riconciliazione», incentrò il suo servizio di presidente della Cei, preparando e guidando il Convegno ecclesiale nazionale di Loreto nel 1985. Sempre come presidente della Cei dal 1979 al 1985 collaborò a lungo con Giovanni Paolo II, che ne apprezzava la schiettezza e il coraggio nell’affrontare anche le situazioni più problematiche. Il 14 aprile 1980, negli «anni di piombo», il Papa polacco venne a Torino, accolto da Ballestrero, per una giornata memorabile di abbraccio con la città intera. Quel suo grido d’augurio – «Torino vivi in pace! » – rimase nei cuori molto più di tanti discorsi.
La Sindone fu il cuore e la croce del suo episcopato torinese. Entrato in diocesi il 25 settembre 1977, a gennaio ’78 lanciò l’idea di un’ostensione pubblica, la prima dopo 45 anni. Dal 26 agosto all’8 ottobre 1978 giunsero a Torino tre milioni di pellegrini e l’immagine del Telo divenne «virale». Dieci anni dopo toccò sempre a lui annunciare i risultati dell’esame al Carbonio 14: ma sottolineò chiaramente che le conclusioni della scienza non erano quelle della fede. A un suo prete, perplesso e addolorato per la «datazione medievale», il cardinale diceva: «Non temere, scienza genera scienza. Quello di oggi è un capitolo doloroso, ma vedrai che si tornerà a studiare e ad approfondire. Intanto guardiamola ancora. Ci dice tutto, proprio tutto, capisci? Sulla Passione di Gesù. È questo che conta».