Nella Basilica anche i giovani giunti da Vittorio Veneto, la prima diocesi guidata da Luciani. Le testimonianze di padre Dabusti, suor Marin e la nipote Lina Petri - Siciliani
Chissà se quel sabato di 44 anni fa, con gli occhi alle navate e agli alti soffitti di San Giovanni in Laterano, Albino Luciani ripensò per un attimo alle montagne di casa sua. Chissà se mentre entrava in processione in Basilica il 23 settembre 1978, per la presa di possesso della Cathedra del Vescovo di Roma, ricordò i tetti spioventi di Canale d’Agordo. Magari senza malinconia, piuttosto come un uomo innamorato della Provvidenza. Che oggi diventerà beato.
Sabato, tra le centinaia di fedeli arrivati nella Cattedrale romana da tutta Italia, per la veglia in preparazione alla beatificazione di Giovanni Paolo I, anche tanti giovani. Come i ragazzi di Vittorio Veneto, in città da giovedì scorso insieme a don Luca, per un campo sulle orme di papa Luciani. Lui che per più di dieci anni fu pastore della diocesi veneta. Accanto alle sedie del gruppo, seduto ai primi posti, sono poggiati gli zaini per il cammino. Quando inizia la preghiera, gli sguardi si fanno più attenti, fissi sulla lampada accesa che entra in processione lungo la navata, simbolo della Parola che si fa strada verso il centro.
«Lo vogliamo ricordare con affetto e devozione filiale, come nostro vescovo di Roma», ha detto il cardinale vicario Angelo De Donatis, che ha presieduto il momento di preghiera, alla vigilia della Messa di domenica in piazza San Pietro, a cui parteciperà anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quando papa Luciani fu incardinato «ero un giovane seminarista – ha raccontato il cardinale vicario De Donatis –, ma ho un ricordo vivo della gioia dell’assemblea diocesana festante riunita in questa Cattedrale, e del dolore che colpì tutti, pochi giorni dopo, in occasione della celebrazione del suo funerale». Al cuore della veglia di ieri, una meditazione costruita sulle stesse letture scelte per la Messa di insediamento del Papa beato. Ai testi biblici seguono passi dall’omelia di Giovanni Paolo I, proclamata dalla voce stessa del Pontefice, e le testimonianze di chi lo ha conosciuto. Sono tre le “carezze” dai contorni profetici che il nuovo Vescovo di Roma rivolse allora ai cristiani di Roma riuniti in Basilica. La prima, a commento della lettura dal libro di Isaia, metteva in risalto la responsabilità della comunità dei credenti. Il cenno all’obbedienza in uno stralcio dalla Lettera agli Ebrei, fu l’occasione per ribadire la necessità di mettere in pratica gli indirizzi del Concilio Vaticano II, in particolare nella promozione del laicato. Con il terzo augurio, dal commento al capitolo 28 del Vangelo di Matteo, Giovanni Paolo I rinnovava il patto con il popolo di Dio, prendendo su di sé i doveri del pastore: «ammaestrare», «battezzare» e «insegnare ad osservare».
Tra i testimoni presenti alla veglia, padre Juan José Dabusti, sacerdote dell’arcidiocesi di Buenos Aires che ha impetrato il miracolo per l’intercessione del beato a favore di Candela Giarda. «Ho pregato il Papa, – ha detto padre Dabusti, – perché sin da subito ha avuto a che fare con la mia vocazione». Da suor Margherita Marin, delle suore di Maria Bambina, il racconto degli ultimi attimi di vita di papa Luciani: «Eravamo nel salottino con la porta aperta, e lui, dopo averci già salutato, si è girato ancora una volta e ci ha salutato di nuovo, con un gesto della mano, sorridendo...». Poi Lina Petri, nipote del Pontefice veneto, ha messo in luce la grande sobrietà, ed estrema semplicità di suo zio.
Non è un caso che per motto episcopale papa Luciani avesse scelto la schiettezza della parola “Humilitas”, così legata alla terra e al prostrarsi. «Umiltà! Egli nella sua vita ha saputo vivere autenticamente la virtù dell’umiltà, come dono dello Spirito, che gli ha permesso di fare spazio a Dio», ha aggiunto De Donatis. Uno spazio che ha donato senza riserve, per il tempo del suo brevissimo pontificato, alla sua diocesi di Roma.