Il cardinale segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin - Ansa / Vatican Media
Innanzitutto l’attenzione alle vittime e la preghiera. E poi il dialogo, unito al lento, complesso lavorìo mirato a disarmare i cuori. L’impegno della Chiesa per fermare la guerra si gioca dentro questo perimetro di impegno, che papa Francesco alimenta quotidianamente con i suoi appelli alla pace, con le sue parole ogni volta più dolenti di fronte all’orrore del conflitto.
Fino al vero e proprio grido di mercoledì scorso di fronte al crescendo di violenze documentate in Ucraina. «Le recenti notizie sulla guerra – ha sottolineato Francesco all’udienza generale – attestano nuove atrocità, come il massacro di Bucha: crudeltà sempre più orrende, compiute anche contro civili, donne e bambini inermi. Sono vittime il cui sangue innocente grida fino al cielo e implora: si metta fine a questa guerra!». Poi l’abbraccio ai bambini profughi, la preghiera per loro, il bacio alla bandiera gialla e azzurra proveniente da quella terra martoriata e la nuova invocazione: «si facciano tacere le armi! Si smetta di seminare morte e distruzione!».
Perché quelle immagini arrivate da Bucha, di corpi abbandonati per strada, quei racconti di soprusi inenarrabili, non possono lasciare indifferenti. Sono l’apice della violenza di cui è capace l’uomo, sono la definizione stessa del raccapriccio.
«Il modo con cui ci si è accaniti contro la popolazione civile è inspiegabile – ha denunciato ieri il cardinale Pietro Parolin a margine di un incontro sull’autismo –. Credo davvero, come è stato rilevato da più parti, che questi episodi segnino un punto di svolta – ha aggiunto il segretario di Stato vaticano – e spero facciano riflettere tutti sulla necessità di mettere fine a questa guerra».
Si tratta di capire la maniera per arrivarci, occorre ragionare su quali strategie possa far leva la diplomazia e fino a dove sia lecito spingere il sostegno all’aggredito contro l’aggressore. «Io credo che ci sia il diritto alla difesa, alla legittima difesa. È quello fondamentalmente il principio in base al quale anche l’Ucraina sta resistendo alla Russia – ha spiegato Parolin in un’intervista al portale Aci Stampa – . La comunità internazionale vuole evitare una’escalation, e quindi finora nessuno è intervenuto personalmente, ma vedo che ci sono molti che inviano armi. Questo è terribile da pensare».
E «la risposta armata in maniera sempre proporzionale all’aggressione, come ci insegna il Catechismo della Chiesa cattolica – ha continuato ieri Parolin – può portare ad un allargamento del conflitto che può avere conseguenze disastrose e micidiali».
Inutile dire che si tratta di espressioni che riprendono il magistero di Francesco contro la politica degli armamenti e l’aumento delle spese militari, ipotesi bocciata come «pazzia» dal Pontefice il 24 marzo scorso. Fondamentale invece continuare ad alimentare il ruolo della diplomazia. «Anche prima della guerra – ha detto Parolin –, abbiamo dato la nostra disponibilità a mediare, soprattutto dopo che il presidente Zelensky aveva indicato il Vaticano come possibile terreno per l’incontro al vertice tra Russia e Ucraina».
Un ruolo di negoziazione riconosciuto dal nuovo ambasciatore ucraino presso la Santa Sede. Ricevuto ieri dal Papa per la presentazione delle Lettere credenziali, Andrii Yurash, 53 anni, sposato e padre di tre figli, ha ribadito che «la Santa Sede è un sincero partner nel fare tutto il possibile per fermare la guerra».
Impegno che potrebbe comprendere anche un viaggio del Papa a Kiev (dove a breve dovrebbe recarsi il segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Gallagher). «Si tratta di valutare – ha spiegato Parolin – se possa contribuire alla fine della guerra». In ogni caso il Pontefice, come sempre, «non andrebbe per prendere posizioni né per l’uno né per l’altro».
Sul fronte più spirituale, invece, si lavora all’incontro tra papa Francesco e il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill. Un appuntamento già in preparazione prima del conflitto e per il quale al momento la ricerca riguarda l’individuazione di un «luogo neutro». Magari in Medio Oriente, come ipotizzato domenica dal Papa di ritorno da Malta.