La Chiesa cattolica ricerca l’unità, senza voler imporre nulla, sull’esempio dell’apostolo Andrea, di cui oggi il patriarcato celebra la festa. E’ stato il messaggio del Papa nel suo discorso durante la divina liturgia nella chiesa di San Giorgio al Phanar oggi, ultimo giorno della sua visita in Turchia. Francesco, rivolto al patriarca Bartolomeo, ha chiesto agli ortodossi di rispondere insieme, in unità, alle richieste di aiuto dei poveri, delle vittime della guerra, e dei giovani. E ha ricordato la tragedia degli attentati in Nigeria.
E’ un abbraccio prolungato quello che unisce Francesco a Bartolomeo, iniziato ieri al Phanar, alla preghiera ecumenica, proseguito oggi durante la divina liturgia, il Papa che ieri ha chinato il capo per ricevere la benedizione del Patriarca, e che oggi ha recitato ad alta voce in latino il Padre Nostro, ha definito “una grazia singolare” l’aver partecipato alla celebrazione a Istanbul:
"Incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee".
L’esempio dell’apostolo Andrea di cui oggi il Patriarcato celebra la festa, è illuminante e deve essere di riferimento: mostra la vita cristiana è un incontro trasformante con Cristo e che “l’annuncio cristiano si diffonde grazie a persone che, innamorate di Cristo, non possono non trasmettere la gioia di essere amate e salvate”. E’ quindi chiaro, dice Francesco, “che neanche il dialogo tra cristiani può sottrarsi a questa logica dell’incontro personale”. Il Papa ricorda due anniversari, entrambi a cinquant’anni di distanza: l’avvio del percorso di riconciliazione tra cattolici e ortodossi, segnato dall’abbraccio di Atenagora e Paolo VI, a Gerusalemme, la città santa che nel maggio scorso ha visto riaffermare il cammino di amicizia dall’incontro tra Francesco e Bartolomeo e poi promulgazione della Unitatis redintegratio, il decreto del Concilio Vaticano II “con il quale – ricorda - è stata aperta una nuova strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese e Comunità ecclesiali”. Un documento con il quale si afferma che per custodire fedelmente la pienezza della tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione dei cristiani d’oriente e d’occidente è di somma importanza conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio delle Chiese d’Oriente” sia per quanto riguarda le tradizioni liturgiche e spirituali sia per le discipline canoniche”:
"Ritengo importante ribadire il rispetto di questo principio come condizione essenziale e reciproca per il ristabilimento della piena comunione, che non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo".
E Francesco poi fuga qualsiasi possibile sospetto o timore che la Chiesa cattolica possa o voglia dettare condizioni per il raggiungimento dell’unità:
"Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse".
L’unità tra cristiani è sempre più fondamentale anche per rispondere a quelle voci “che domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore Gesù Cristo”. Prima fra tutte: la voce dei poveri:
"Nel mondo, ci sono troppe donne e troppi uomini che soffrono per grave malnutrizione, per la crescente disoccupazione, per l’alta percentuale di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale, che può indurre ad attività criminali e perfino al reclutamento di terroristi. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle voci di questi fratelli e sorelle".
I poveri chiedono sì i necessario aiuto materiale, ma che li si aiuti soprattutto a “difendere la loro dignità di persone umane”, per ritrovare le energie e “tornare ad essere protagonisti delle loro storie”. Il compito dei cristiani è quello di lottare contro quelle che sono “le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi”.
"Come cristiani siamo chiamati a sconfiggere insieme quella globalizzazione dell’indifferenza che oggi sembra avere la supremazia e a costruire una nuova civiltà dell’amore e della solidarietà".
A quella dei poveri si unisce la voce delle vittime dei conflitti, che gridano non lontano dalla Turchia, perché, ricorda Francesco, “alcune nazioni vicine sono segnate da una guerra atroce e disumana”.
"Penso con profondo dolore alle tante vittime del disumano e insensato attentato che in questi giorni ha colpito i fedeli musulmani che pregavano nella moschea di Kano, in Nigeria.Turbare la pace di un popolo, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, è un peccato gravissimo contro Dio, perché significa non rispettare l’immagine di Dio che è nell’uomo. La voce delle vittime dei conflitti ci spinge a procedere speditamente nel cammino di riconciliazione e di comunione tra cattolici ed ortodossi".
A interpellare le coscienze dei cristiani sono in ultimo i giovani, e tanti di loro oggi “vivono senza speranza, vinti dalla sfiducia e dalla rassegnazione”, e che influenzati dalla cultura dominante, “cercano la gioia soltanto nel possedere beni materiali e nel soddisfare le emozioni del momento”. “Le nuove generazioni, avverte il Papa, non potranno mai acquisire la vera saggezza e mantenere viva la speranza se noi non saremo capaci di valorizzare e trasmettere l’autentico umanesimo, che sgorga dal Vangelo e dall’esperienza millenaria della Chiesa”.
"Sono proprio i giovani – penso ad esempio alle moltitudini di giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si incontrano nei raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé – che oggi ci sollecitano a fare passi in avanti verso la piena comunione. E ciò non perché essi ignorino il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sanno vedere oltre, sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce".
Non dimentichiamoci mai di pregare gli uni per gli altri, è la richiesta del Papa, si è già “in cammino verso la piena comunione e già possiamo vivere segni eloquenti di un’unità reale, anche se ancora parziale. Questo ci conforta e ci sostiene nel proseguire questo cammino”.