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Monsignor Antonio, per tutti “don Tonino” Bello è venerabile. Il 25 novembre 2021 infatti il Papa ha autorizzato la promulgazione del decreto che ne riconosce l’eroicità delle virtù cristiane. Nato ad Alessano, in provincia di Lecce, il 18 marzo 1935, Bello, fu ordinato sacerdote l’8 dicembre 1957. Prima insegnante e poi rettore del Seminario di Ugento, dal 1978 al 1982 fu parroco a Tricase. Il 10 agosto 1982 GIovanni Paolo II lo nominò vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi e il 30 agosto di Ruvo. Le quattro Chiese locali nel 1986 furono riunite nella nuova circoscrizione ecclesiastica di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi di cui fu il primo pastore. Nel 1986 la presidenza della Cei lo chiamò a succedere a monsignor Luigi Bettazzi alla guida dio Pax Christi. Già malato di cancro, il 7 dicembre 1992 partì insieme a 500 volontari da Ancona alla volta della Dalmazia da cui raggiunse a piedi Sarajevo da diversi mesi sotto assedio a causa della guerra seguita allo sfaldamento dell’ex Jugoslavia. Morì a Molfetta il 20 aprile 1993. Nel tracciarne il profilo biografico il Dicastero delle cause dei santi ne sottolinea l’intensità della preghiera evidenziando che «le numerose incombenze pratiche del ministero episcopale non scalfirono o attenuarono la sua passione da innamorato di Cristo». Infatti «esercitò la carità verso il prossimo in grado eroico. Si mostrò accogliente, amabile, premuroso, generoso e attento alle singole persone, volle farsi povero per essere vicino agli ultimi, sottoponendosi a rinunce e sacrifici». Dotato di una straordinaria vena poetica “don Tonino” fu anche autore di numerosi articoli e nel 1990, fondò la rivista mensile (tuttora pubblicata) “Mosaico di pace”, promossa da Pax Christi. (Red.Cath.)
Era il 7 dicembre del 1992 quando, ormai in fin di vita per un cancro allo stomaco già in metastasi (sarebbe morto il 20 aprile 1993), Tonino Bello, presidente nazionale di Pax Christi, decise di recarsi a Sarajevo. Un pesante maglione, un berretto di lana, una croce di legno sul petto: viso smagrito, occhi incavati, corpo consumato. Era consapevole che i suoi giorni stavano per finire ma lui volle sfidare anche la morte. «Andrò a Sarajevo anche con le flebo», diceva a noi tutti, convinto che bisognava iniettare nelle vene della storia nuova linfa, per un mondo di pace.
Era la prima guerra in Europa dal 1945 e don Tonino aveva intuito che quella guerra sarebbe stata matrigna, capace di generare altri conflitti ed insieme odi razziali e migrazioni di massa che non vedevamo dai tempi di Hitler e Stalin. Si riaffacciavano in quei giorni nella nostra europa i fantasmi del nazionalismo , della razza, del peso della storia, della pulizia etnica con i quali oggi stiamo facendo drammaticamente i conti e che invece credevamo aver sepolto per sempre. Di quel viaggio don Tonino ci ha lasciato un diario “All’inferno e ritorno”: morirà pochi mesi dopo, ma non scomparirà la sua profezia.
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Nel discorso pronunciato alla II Conferenza internazionale dell’Unesco, (siamo nel 1947) Jaques Maritain si domandava se fosse mai stato possibile garantire per sempre la pace per l’umanità. Secondo il filosofo tale possibilità era legata alla nascita di una comunità sovranazionale che superasse i nazionalismi diffusi con i pericoli connessi. E si augurava la «affermazione di una comunità sovranazionale , fondata sulla legge, e diretta (... ) da uomini rivestiti, a causa delle proprie funzioni, di una cittadinanza a sua volta sovranazionale «. Così Tonino Bello! Costante fu infatti, specie in occasione della guerra a Sarajevo, il richiamo alle responsabilità e al ruolo dell’Onu ( organismo sovranazionale per eccellenza ) sino quasi a proclamare la creazione dell’”Onu dei poveri e dei popoli” quando quello istituzionale “dei potenti”, non si dimostrò capace di garantire chiare iniziative di pace. »Uno sogno incredibile si è realizzato (....) quando le grandi istituzioni , come gli stati o l’Onu, sono lenti il popolo può rivendicare il diritto di intervento (...). Dobbiamo dirlo con chiarezza: la comunità europea e l’Onu hanno pressocchè trascurato le vicende tragiche della Bosnia e l’hanno abbandonata al suo destino. È allora intervenuta una Onu popolare della base , che è penetrata, con rischi inauditi, nel cuore della guerra, per portare un messaggio di solidarietà ai popoli martoriati». Partendo da questi insegnamenti dovremmo oggi promuovere nel mondo politiche nonviolente, capaci di prevenire i conflitti rifondando il diritto internazionale a garanzia della pace e dei diritti umani .
Il conflitto di Sarajevo ha avuto un significato di svolta nelle relazioni tra stati e nel terzo millennio e per i costruttori di morte è divenuto modello da esportare in tutto il globo terrestre . Sarajevo ha lasciato una eredità pesante e minacciosa. Questo il suo messaggio: sarà lo scontro della civiltà a determinare il nuovo ( dis ) ordine mondiale , visto che le ideologie non ci sono più e gli esseri umani dovranno definire la propria identità in base alla lingua , alla religione, alle tradizioni. Questa la logica di morte che è stata proposta. Per dire no a tutto questo don Tonino ha donato la sua vita . Si recò a Sarajevo per indicare una strada nuova: civiltà, culture e religioni devono stare insieme, conviviali nelle differenze, conviviali per la pace. Lì a Sarajevo annunciò che così la pace è possibile.
Presidente Fondazione don Tonino Bello - Alessano