sabato 7 maggio 2022
Il pastore della diocesi piemontese: «Gli adulti sono chiamati a mostrare il fascino del cristianesimo». Il predecessore Nosiglia: stai vicino ai tuoi sacerdoti
L’ordinazione e l’ingresso dell’arcivescovo di Torino, Roberto Repole

L’ordinazione e l’ingresso dell’arcivescovo di Torino, Roberto Repole - Renzo Bussio

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«Sentinelle nelle cose di Dio, attendono il ritorno del Signore per aprirgli subito quando busserà». Citando san Bruno, fondatore della Grande Chartreuse, l’arcivescovo di Torino e Susa, Roberto Repole, ha iniziato il suo ministero centrando sul Signore ogni speranza e ogni significato dell’esistenza, e della Chiesa. Un richiamo forte, esplicito, ripetuto: perché è intorno a questo unico centro che si gioca tutto il resto. La Chiesa, ha detto Repole, è «il servizio della speranza. Non c’è proprio bisogno oggi di una Chiesa che sia il semplice prolungamento di questo nostro mondo. C’è invece ancora un bisogno immenso, dentro questo mondo, del servizio che possono rendere dei cristiani che continuano a rimanere in attesa della venuta ultima del Risorto».

L’ordinazione episcopale di Repole è stata una celebrazione gioiosa, con 33 vescovi, oltre 200 preti di Torino e di Susa, un “popolo di amici”: gente delle parrocchie torinesi dove don Roberto ha servito in questi primi 30 anni di sacerdozio, colleghi teologi, laici delle associazioni in cui era assistente.

Nel saluto finale il nuovo arcivescovo ha voluto proporre un lungo elenco di “grazie”: ai suoi genitori e ai familiari, ai preti che lo hanno accompagnato nel cammino di maturazione della sua vocazione - entrò nel Seminario minore di Giaveno a 11 anni. E poi papa Francesco e i suoi immediati predecessori: il cardinale Poletto (assente per le non buone condizioni di salute) e l’arcivescovo Nosiglia, consacrante principale assieme a Marco Arnolfo arcivescovo di Vercelli, e Alfonso Badini Confalonieri, emerito di Susa.

Repole ha ricordato anche i morti, e fra tutti don Sergio Boarino, rettore del Seminario maggiore («Un padre intelligente e buono, che sta continuando a vegliare su di me e su di noi da presso il Padre»).

Più di un secolo è passato da quanto un prete torinese è divenuto arcivescovo della sua città: prima di Repole toccò al cardinale Agostino Richelmy, dal 1897 al 1923. Repole inoltre è “giovane”: scegliendo un prete di 55 anni papa Francesco ha saltato una generazione: Pellegrino (nato nel 1903) venne eletto a 62 anni; Ballestrero (1913) a 64, Saldarini (1924) a 65, Poletto (1933) a 66 e ancora a 66 anni Nosiglia (nato nel 1944).

Un salto che sembra indicare una volontà di svecchiamento: l’arcivescovo Repole ha citato più volte i giovani come «motori di futuro», persone a cui gli adulti, e la Chiesa stessa, sono chiamati ad offrire un senso, a mostrare quel «fascino del cristianesimo» che per il nuovo arcivescovo è il centro fondante della vita.

Anche Nosiglia, nella sua ultima omelia da arcivescovo di Torino, ha ricordato i giovani come terreno della sfida che le comunità cristiane di Torino e di Susa devono sostenere. «Le associazioni laicali, le famiglie, i giovani, i malati e i poveri – ha detto Nosiglia rivolgendosi al nuovo arcivescovo – rappresentano una ricchezza grande da conoscere, ascoltare e poi guidare in questo tempo del Sinodo che si sta promuovendo con entusiasmo e impegno. Tu però sei agevolato dal fatto che conosci bene tutte queste realtà e le assemblee diocesane di cui sei stato parte viva. Sono certo che le Chiese di Torino e di Susa ti accoglieranno e seguiranno con la massima disponibilità quello che deciderai di proporre. Ma saranno soprattutto i presbiteri su cui potrai contare con spirito di fratellanza e di comunione in amicizia. Stai loro vicino e frequentali spesso perché sperimentino il tuo amore di padre».

La città è il terreno di questa sfida. Prima dell’inizio della Messa il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, ha rivolto gli auguri a Repole con grande calore e cordialità, con l’invito a continuare una collaborazione che è feconda: «Dobbiamo - tutti insieme - gettare nuove solide basi su cui costruire il futuro».

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