Due borracce azzurre, con tanto di logo papale, sono spuntate sul tavolo della Sala stampa vaticana. Anche all’appuntamento di informazione quotidiana con i giornalisti – che scandisce il corso dell’Assemblea – la plastica è stata bandita. Un primo, piccolo frutto, del Sinodo. Quello vero non «il Sinodo parallelo» a cui ha alluso il prefetto della Comunicazione, Paolo Ruffini e che esiste solo nelle elucubrazioni di un certo tam tam mediatico.
«Il Papa ha sottolineato la necessità di proteggere questo spazio di discernimento ecclesiale. Cercheremo di fare tutto perché si racconti il Sinodo nel modo più aperto e non un “Sinodo parallelo” », ha affermato il prefetto. Gli ha fatto eco padre Giacomo Costa, segretario della commissione per l’informazione: «Il Sinodo è un cammino di ascolto profondo che richiede tempo. Sappiamo che è difficile comunicarlo perché c’è necessità, ogni giorno, di dare notizie».
E, a proposito della grande ossessione mediatica per i viri probati, lo stesso Ruffini, nel rispondere a una domanda, ha sottolineato: «Non è detto che la soluzione sia questa ma non ascoltare sarebbe sbagliato» poiché il tema nasce da un’esigenza dei popoli amazzonici, per quanto «non sia l’unica possibilità».
Non è un mistero che la vastità della regione amazzonica renda difficile per i pochi sacerdoti presenti amministrare i sacramenti nelle tantissime comunità sparse su un territorio di 7,8 milioni di chilometri quadrati. Questo spiega lo straordinario protagonismo assunto dalle religiose e missionarie che danno un contributo eroico all’evangelizzazione. Esse non solo si occupano della catechesi, dell’istruzione, del- la cura dei malati, della celebrazione domenicale della Parola.
«Amministriamo i Battesimi. Se qualcuno si vuole sposare, siamo testimoni della sua promessa d'amore. Se una persona viene in chiesa e chiede di confessarsi, noi l’ascoltiamo con umiltà anche se non possiamo chiaramente dare l’assoluzione», ha raccontato suor Alba Teresa Cediel Castillo, religiosa delle suore missionarie di Maria Immacolata e di Santa Caterina da Siena, congregazione meglio nota con il nome di “lauritas”, dal nome della fondatrice, la santa colombiana Laura Montoya, pioniera della causa amazzonica.
Suor Alba Teresa, che si è presentata come “voce” delle donne indigene, afro-discendenti e contadine, non ha esitato quando le è stato chiesto un commento sull’impossibilità delle religiose di votare il documento finale del Sinodo: «Le donne dovrebbero avere un maggiore riconoscimento, a tutti i livelli. Ma non si può premere o forzare. È un cammino. Ci arriveremo». Poi, ha aggiunto, in italiano: «Piano, piano, poco a poco ».
Le singole questioni, di certo importanti, non devono, però, fagocitare l’essenza del Sinodo, che è la voce dell’Amazzonia e delle sue genti. «Quei popoli, a partire dagli indigeni, hanno qualcosa da dire al mondo», ha detto monsignor David Martínez de Aguirre, vescovo di Puerto Maldonado, città peruviana che ha ospitato il viaggio di papa Francesco e la prima apertura del Sinodo, il 19 gennaio 2018. Missionario domenicano da tempo in Amazzonia, monsignor Martínez ha sottolineato come «per anni abbia faticato a trovare ascolto nel Nord del mondo quando raccontavo le sfide dell’Amazzonia. E ora essa è al centro dell’attenzione della Chiesa universale». «Le genti dell’Amazzonia hanno grandi attese da quest’Assemblea – ha concluso monsignor Emmanuel Lafont, vescovo di Cayenne, nella Guyana francese –. Troppo a lungo sono stati invisibili. Abbiamo il dovere ora di ascoltarli».