Il briefing del SInodo: suor Roselei Bertoldo, mons. Ricardo Ernesto Centellas Guzmàn e don Zenildo Lima da Silva (Vatican News)
«Noi siamo Chiesa e facciamo Chiesa. In questo processo sinodale siamo state chiamate in tante ad avere voce e parte attiva, e credo che questo sia un segno molto importante. Stiamo aprendo un cammino e l’aspetto positivo riguarda soprattutto le donne indigene che stanno partecipando al sinodo. Questo vuol dire che consegneremo questo cammino alla storia, che il nostro progressivo riconoscimento nella Chiesa è frutto del nostro impegno quotidiano nel portare avanti l’evangelizzazione». Suor Roselei Bertoldo è tra le 35 donne che partecipano ai lavori sinodali, impegnata in prima linea nella lotta al traffico delle persone attraverso la rete Um grito pela vida (Un grido per la Vita) in Brasile, una delle 44 realtà del network internazionale Talitha Kum.
Ed è stata suor Roseley ad avere per prima la parola in Sala stampa vaticana nel corso del consueto briefing sul Sinodo per l’Amazzonia nel quale si è parlato ampiamente del ruolo e della testimonianza ecclesiale delle donne. «Il loro ruolo attivo nella vita della Chiesa non è certo proibito e dobbiamo cambiare mentalità», ha ripreso don Zenildo Lima da Silva, rettore del seminario São José di Manaus e vice presidente dell’Organizzazione dei seminari e istituti del Brasile: «Come vediamo il processo sinodale non è solo camminare insieme, ma camminare insieme e decidere insieme e se perciò non vogliamo zoppicare bisogna riconoscere alle donne anche un ruolo decisionale». «Le nostre strutture sono fatte in tal modo che solo certe persone hanno un potere decisionale, ed è questo che dobbiamo cambiare. Il Consiglio pastorale in parrocchia, ad esempio, ha un potere solo consultivo, ma niente e nessuno impedisce che diventi deliberativo».
«Tutti noi abbiamo bisogno di cambiare la nostra mentalità per far sì che la partecipazione della donna sia sul piano di uguaglianza», ha specificato il vescovo Ricardo Ernesto Centellas Guzman, presidente della Conferenza episcopale della Bolivia: «La presenza della donna nella Chiesa è una maggioranza, ma la sua partecipazione nell’organizzazione a livello decisionale è molto scarsa, quasi invisibile, e quindi se non cambiamo le nostre strutture e il nostro modo di organizzarci la situazione non cambierà. Bisogna iniziare dalle cose più piccole: non c’è bisogno che la Santa Sede ci dia indicazioni al riguardo, è a livello di parrocchie che dobbiamo coinvolgere sempre più le donne nei processi decisionali». Il vescovo boliviano ha fatto l’esempio della sua diocesi, dove, ha detto, «ho una vicaria pastorale e il modo in cui chiama a percorrere il cammino pastorale è diverso rispetto al modo in cui potrebbe farlo un uomo: non cerca di imporsi, convoca le persone per ricevere suggerimenti e questo permette alla comunità di essere soggetto sinodale e decisionale. Il modo di percepire la vita, di affrontare i problemi, di far sì che la Chiesa possa camminare in comunità è un approccio completamente diverso». L’autorità di governo nella Chiesa è principalmente maschile, ma l’azione pastorale della Chiesa è marcatamente femminile, ha detto ancora il vescovo: «Tutta la sensibilità nei confronti dei drammi umani, tutta la partecipazione della Chiesa deriva dall’intuito femminile più che dall’autorità di governo».
«Il diritto canonico e la teologia possono fare molto di più per promuovere il ruolo delle donne nella Chiesa», ha fatto osservare da parte sua il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay – che rispondendo alle domande dei giornalisti durante il briefing, ha ricordato come «il diritto canonico, per le donne, prevede tutto, tranne che ascoltare la confessione e celebrare la messa». «Quindi – ha affermato – ci sono tante cose in più che si possono fare per le donne, e dobbiamo farlo».