Inida, Brasile, Indonesia i Paesi dove si hanno più malati - Aifo
L’errore più grande sarebbe considerarla vinta, debellata. Perché, invece, di lebbra ci si continua ad ammalare, e insieme prosegue lo “stigma”, il rifiuto sociale di chi ne è colpito. Non di rado bambini. Secondo i dati pubblicati dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) lo scorso settembre, nel 2022 i casi accertati sono stati 174.087 con un aumento del 23,8% rispetto al 2021 (140.594 persone). Al primo posto l’India con 103.819 casi, seguita dal Brasile (19.635 persone) e dall’Indonesia (12.441 persone), tre Paesi che insieme contano il 78,1% del totale dei malati diagnosticati. Tra i nuovi casi il 5,1% è rappresentato da bambini, una percentuale ancora alta che dimostra come la catena di trasmissione resti attiva e precoce, con un aumento del 14,6% rispetto all’anno precedente. In crescita anche il numero delle persone che presentano gravi disabilità al momento della diagnosi (9.554 nel 2022, con un aumento del 12,8% rispetto all’anno precedente in cui se ne contarono 8.469). Numeri che rendono più che mai attuale la Giornata mondiale dei malati di lebbra, siamo alla 71ª edizione, l’appuntamento che si celebra ogni ultima domenica di gennaio, quest’anno oggi, in prossimità dell’anniversario della morte di Gandhi (30 gennaio 1948), che a queste persone sfortunate dedicò tanta attenzione. Tuttavia, l’evento, quasi inutile sottolinearlo, è legato indissolubilmente alla figura di Raoul Follereau e all’Aifo (Associazione italiana amici di Raoul Follerau) che ne porta avanti i valori. Un impegno che concretamente si traduce nella promozione di azioni di educazione sanitaria sui sintomi della malattia per favorirne la diagnosi precoce. Nei progetti che gestisce, l’Aifo segue la Road map 2021-2030 dell’Oms per il controllo delle Malattie tropicali neglette (o dimenticate), a sua volta in linea con la strategia globale per l’eliminazione della lebbra (Towards zero leprosy, 2021-2030). L’esito auspicato si chiama obiettivo “tre zeri”: zero trasmissione, zero disabilità e zero discriminazione. Cui va aggiunta l’importanza della ricerca scientifica, fondamentale per superare le lacune ancora presenti. Un progetto complessivo, se così si può dire, che coglie in pieno la filosofia di Follereau, giornalista francese (1903-1977) il cui scopo era costruire la «Civiltà dell’amore», profezia, potremmo definirla così, che parte dagli ultimi, dai dimenticati, dagli “scartati” per usare il vocabolario di papa Francesco. Non a caso l’impegno di Follereau iniziò in Costa D’Avorio tra i lebbrosi, malati che per le loro mutilazioni vengono emarginati e rifiutati (si pensi alle pagine del Vangelo), per dare a ogni persona dignità, diritti, giustizia, libertà e inclusione sociale.
Raoul Follereau in India - Aifo
Detto in altro modo Follereau lottò contro «tutte le lebbre»: l’egoismo, l’indifferenza, l’invidia, il fanatismo, la finanza predatrice, la fame e la miseria, le armi e le guerre. Ed è una battaglia, lo riscontriamo ogni giorno, tutt’altro che vinta. «Il cammino verso un mondo senza lebbra è lungo e presuppone un lavoro costante e collettivo – spiega Giovanni Gazzoli, medico Aifo specializzato in malattie tropicali –. Sicuramente è necessario interrompere la catena di trasmissione della malattia, ma le conseguenze fisiche e sociali devono essere considerate nei programmi di controllo, che non possono avere una dimensione esclusivamente dettata da parametri sanitari, ma devono diventare espressione di un lavoro che intende rivitalizzare la dignità della persona».
Si tratta insomma di promuovere non solo la cura del malato ma la promozione dell’uomo, della donna nella sua totalità. Ovunque viva. «Concedici la grazia Signore – scriveva Follereau in una della sue più note preghiere – di capire che in ogni istante, mentre noi viviamo una vita troppo felice e protetta da te, ci sono milioni di essere umani, che pure sono tuoi figli e nostri fratelli, che muoiono di fame senza aver meritato di morire di fame, che muoiono di freddo senza avere meritato di morire di freddo». La Giornata mondiale dei malati di lebbra si orienta proprio in questo senso, va cioè nella direzione di informare sull’impegno, anche cristiano di aiutare l’altro, sul bisogno di vincere l’indifferenza. Per riuscirci vengono promosse iniziative di sostegno dell’Aifo in tante piazze e parrocchie, a cominciare dai banchetti in cui il 28 gennaio viene venduto il “Miele della solidarietà”.
I casi di lebbra sono in aumento - Aifo
Un modo per aiutare chi ha avuto la vita stravolta dalla malattia a realizzarsi, a cercare una via di riscatto. Come Omero, che nella realtà poverissima della Guinea Bissau, ha subito, a causa della lebbra, l’amputazione di un piede e oggi ha trovato una sua realizzazione lavorando nel mercato della frutta, da cui trae succhi e marmellate. Come Virgilio che in Mozambico promuove l’integrazione di quanti sono stati colpiti dalla sua stessa malattia. Non numeri ma persone. Come ogni dimenticato e scartato, come ogni ultimo del mondo, da aiutare a scoprire in sé stesso la forza per diventare costruttore e poi cittadino della “civiltà dell’amore” sognata da Follereau.