I numeri del pellegrinaggio diocesano parlano di 3mila ambrosiani questa mattina in piazza San Pietro, guidati dal cardinale Angelo Scola che di Montini è successore sulla cattedra milanese. E che in onore dell’arcivescovo alla guida della Chiesa di Ambrogio dal 1954 al ’63 ha disposto che suonino a distesa le campane delle oltre 1.100 parrocchie diocesane nel momento della proclamazione a beato.
Eminenza, l’evento di oggi a Roma rimette al centro dell’attenzione la figura di Paolo VI, che ancora riserva numerose sorprese. Cosa si sta scoprendo di Papa Montini grazie alla beatificazione?Incontrando regolarmente la gente, soprattutto durante le visite pastorali, e constatando l’interesse e la partecipazione di credenti e non credenti ai momenti di presentazione della sua figura, anche nelle sedi delle istituzioni cittadine, scopro sempre più quanto questo Papa sia ancora amato. Altro che Montini "freddo" e "distante"! Da dove arriva questo tenero affetto, se non dalla sua autentica umanità? Per quanto riservata e sofferta, ha lasciato un segno profondo. Penso che basti come esempio la sua partecipazione al dramma dell’amico Aldo Moro, una tragedia che ha fatto tremare il Paese. Il volto, le parole e i gesti del Papa in quei giorni resteranno per tutti indimenticabili. Negli anni terribili del terrorismo Paolo VI ha vissuto le angosce e lo smarrimento di tutti, illuminandoli con la luce della speranza di Cristo.
Cosa indica alla Chiesa di oggi il pontificato di Papa Montini?Paolo VI è stato il Papa della condivisione e della partecipazione intima e profonda al dramma della libertà di ogni uomo. Questo mi colpisce ancora oggi, rileggendo gli straordinari discorsi e omelie da lui pronunciati a Milano. Montini ha sempre avuto a cuore l’uomo concreto da lui scandagliato a partire dalla libertà fragile ma aperta all’infinito, capace di ospitare Dio che si dona. Limpido e fiducioso come un bambino davanti a chiunque, ma sempre fermo e deciso come un vero padre.
Sugli altari sale un pastore della Chiesa milanese: quali caratteri ambrosiani portò nel suo ministero petrino?Una molteplicità di temi che caratterizzano il pontificato di Paolo VI sono già presenti negli anni di Milano. Anzitutto l’indomabile ricerca del dialogo, da lui inteso sempre a partire dalla verità: «Il dialogo, metodo necessario all’apostolo, non deve terminare con una negazione, o un oblio della nostra verità» spiega nell’omelia dell’Epifania del 1960. L’attenzione ai sacerdoti: nel 1957 inaugura a Saronno l’Istituto per la formazione del giovane clero. La promozione del laicato: nel 1962 istituisce la consulta diocesana dell’apostolato dei laici, per la collaborazione tra le diverse associazioni presenti in diocesi. L’attenzione ai temi sociali, che vedremo poi in
Populorum progressio e
Octogesima adveniens inizia a Milano con la fondazione di un ufficio per la pastorale sociale, la costituzione dell’Opera diocesana assistenza, la speciale attenzione alle periferie con la costruzione di chiese e centri pastorali, la visita al campo rom di San Donato Milanese nel 1962, preludio ai tanti incontri con i nomadi poi da Pontefice. In questo capitolo rientra in modo speciale il tema del lavoro: tre giorni dopo l’ingresso in diocesi è a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, con gli operai, cui dedicherà da Papa numerosissimi interventi (memorabile la Messa di mezzanotte del Natale 1968 presso il centro siderurgico di Taranto). La passione per i giovani e, in particolare per gli studenti che, dagli anni giovanili del suo ministero tra gli universitari, non abbandonò mai. I suoi viaggi oltre Oceano e nei Paesi poveri anticipano le missioni papali. Penso all’apertura della missione milanese in Zambia. E, ancora, a Milano si fece protagonista di importanti scambi ecumenici. Investì sulla comunicazione, dialogò con il mondo della cultura...
Qual è l’impronta che ha lasciato Montini nella Chiesa di Milano?Appena giunto in città come arcivescovo nel 1955 Montini si accorse che l’euforia per il "boom economico", seguito alla fase post-bellica, stava causando anche tra il popolo cristiano l’involontario oblìo di Cristo. Un popolo che non cessava di essere cattolico ma i cui comportamenti divenivano sempre più frammentati, come tessere di un puzzle che non riescono più a comporre un disegno unitario. Da questa constatazione nacque l’idea della missione per Milano del 1957, da vivere non solo in parrocchia ma come incontro con tutti gli ambienti di vita: le fabbriche, le scuole, i luoghi dell’economia e della finanza, dello sport. Una tensione che notiamo anche nel cosiddetto "Piano Montini" per la costruzione di chiese e centri pastorali della periferia milanese. La preoccupazione del pastore di garantire il luogo di culto nasce dall’amore all’uomo integrale, perciò diventa prezioso fattore di edificazione della società civile. Il carattere autenticamente popolare della fede ambrosiana e il gusto per la presenza dei cristiani nella vita sociale e civile sono eredità anche del ministero ambrosiano di Montini. Un compito che anche per noi oggi, forse ancora più che allora, è urgente e decisivo.
Montini oggi cosa direbbe (e cosa dice) a Milano e ai milanesi?Già nel 1934 scriveva che Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in gran parte della cultura contemporanea. Nel giovane Montini era ben chiara una convinzione: un cristianesimo che non investa tutte le forme di vita quotidiana degli uomini, cioè che non diventi cultura, non è più in grado di essere comunicato. Da qui il processo che avrebbe portato inesorabilmente alla separazione tra la fede e la vita, cui il magistero di Paolo VI fece spesso riferimento, e inesorabilmente al massiccio abbandono della pratica cristiana con grave detrimento per la vita personale e comunitaria della Chiesa e della società civile. Oggi le donne e gli uomini del nostro tempo sembrano sopraffatti dal "mestiere di vivere". Normalmente non sono contrari al senso cristiano dell’esistenza, ma non riescono a vederne la convenienza per la vita quotidiana loro e dei loro cari. Come comunità cristiane, abbiamo anche noi le nostre responsabilità: a volte siamo stati più preoccupati di moltiplicare iniziative piuttosto che di mostrare questa convenienza, nei rapporti e nelle circostanze che condividiamo con tutti i nostri fratelli uomini.
L’intuizione di Milano come terra di missione, che lei ha ripreso nel piano pastorale «Il campo è il mondo», precorre quella Chiesa "in stato di missione" di cui parla Papa Francesco, aperta all’incontro e all’ascolto, restando se stessa. Come va intesa oggi la missionarietà della Chiesa, alla scuola di Montini? Paolo VI disse che l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. Per il testimone in primo piano non c’è quello che possiede, le sue doti e le sue capacità, ma quello che ha ricevuto. Per questo è un uomo libero, che è capace di comportarsi con tutti senza farsi ricattare dall’esito della propria azione perché sa di essere servo inutile del Signore della storia. Montini intendeva invitare il testimone a esporre se stesso, senza pretesa di egemonia. Con la lettera pastorale
Il campo è il mondo abbiamo ripreso da Montini un’idea adeguata di missione. La spiega Papa Francesco, ricordando Paolo VI nel discorso alla diocesi di Brescia nel giugno 2013: «Siamo veramente Chiesa unita a Cristo, per uscire e annunciarlo a tutti, anche e soprattutto a quelle che io chiamo le "periferie esistenziali", o siamo chiusi in noi stessi, nei nostri gruppi, nelle nostre piccole chiesuole? O amiamo la Chiesa grande, la Chiesa madre, la Chiesa che ci invia in missione e ci fa uscire da noi stessi?».
Papa Francesco ha voluto collocare l’evento di oggi proprio a conclusione del Sinodo straordinario sulla famiglia. Cosa legge in questa scelta?Basti notare che la beatificazione avviene a poco meno di cinquant’anni dall’istituzione stessa del Sinodo dei Vescovi, creato proprio da Papa Paolo VI il 15 settembre del 1965. L’impronta di Paolo VI è marcata in questo Sinodo. Egli fu il Papa del dialogo, alla ricerca di un umanesimo moderno, come lo chiamava lui.
A proposito di Sinodo, qual è a suo avviso il principale frutto delle due settimane di lavori appena concluse, alle quali anche lei ha preso parte?Sottolineo due aspetti. La meraviglia che sempre suscita la cattolicità, l’universalità della Chiesa. Da Laos e Vietnam a Nairobi e Lesotho, a Parigi, Londra, New York, nei 260 interventi il tutto della Chiesa brilla in ogni frammento. È una proposta di metodo anche per la ricerca di un nuovo ordine mondiale. In secondo luogo colpisce il prevalere della comunione tra i padri, al di là della diversità di opinioni. Un altro segno che lo Spirito guida la sua Chiesa.