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La canonizzazione del vescovo Giovanni Battista Scalabrini, che sarà presieduta stamattina da papa Francesco in Piazza San Pietro, «è un invito alla Chiesa, alla società e alla comunità internazionale a ricordare la corresponsabilità che abbiamo nell’accoglienza e nella protezione delle persone migranti e rifugiate, oltre all’impegno di promuovere il diritto allo sviluppo e alla pace per evitare le migrazioni forzate. Papa Francesco ci invita a seguire l’esempio del nostro fondatore».
Ne è convinto il brasiliano padre Leonir Chiarello, superiore generale dei missionari scalabriniani, intervenuto giovedì scorso alla conferenza stampa promossa a Roma insieme alle missionarie scalabriniane e all’Istituto delle missionarie secolari scalabriniane, nato nel 1961 e ispirato dal carisma del presule di Piacenza, fondatore delle Congregazioni maschile e femminile. Una vita molto intensa, quella del nuovo santo: venuto alla luce a Fino Mornasco (Como) l’8 luglio 1839, sacerdote a neppure 24 anni compiuti e presule a 36, il 28 novembre 1887 fondò i missionari e il 25 ottobre 1895 le missionarie. Con l’associazione laicale “San Raffaele”, li voleva sulle navi, nei porti e nei Paesi di approdo a servizio degli emigrati italiani e di tutti i migranti che gli avevano toccato il cuore, perché costretti a lasciare l’Italia alla ricerca di un futuro migliore per le loro famiglie. Prima della morte a Piacenza a 65 anni, visitò le missioni sorte negli Stati Uniti e in Brasile.
Beatificato il 9 novembre 1997 da Giovanni Paolo II, a quasi 25 anni da quell’evento Bergoglio ha voluto santo scalabrini pur in assenza di un secondo miracolo. «Lo avevamo chiesto al Santo Padre: era favorevole, ma voleva andare avanti con un processo ordinario sostenuto dalla Chiesa, verificando che la devozione nei suoi confronti fosse diffusa e riconosciuta», ha spiegato il postulatore padre Graziano Battistella, curatore della biografia Scalabrini. Il santo dei migranti appena pubblicata dalle Edizioni San Paolo, che «offre l’opportunità di acquisire una conoscenza sufficientemente completa di chi fosse come vescovo, fondatore e santo, soprattutto come padre dei migranti». Per appoggiare la canonizzazione, ha precisato, «sono arrivate in Vaticano oltre 60 lettere postulatorie di cardinali e vescovi di tutto il mondo che attestavano la devozione diffusa e abbiamo preparato una positio in cui si presentava la santità del nostro fondatore e la sua attualità sul tema delle migrazioni. I primi responsabili della pastorale dei migranti sono i vescovi, quindi lui ha dato i fondamenti della pastorale migratoria oggi. Il Papa vuole indicare un modello da seguire per i vescovi e per la Chiesa: sentiti i cardinali nel Concistoro del 27 agosto, dove tutti i porporati hanno risposto in modo positivo, ha comunicato la data della canonizzazione».
Il vescovo di Piacenza «è stato un profeta antesignano: non voleva far mancare ai migranti la vicinanza spirituale e materiale e non voleva abbandonarli nella fede. Credeva che dove vi è il popolo, lì deve esserci anche la Chiesa», ha ricordato monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Cei Migrantes, sottolineando che «questo impegno verso le persone in mobilità continua con le sue missionarie e missionari, con tutta la Chiesa. La grande stima, l’aiuto e anche lo scambio di consigli rendono intenso il rapporto fra Cei e famiglia scalabriniana non solo nei progetti sostenuti, ma in tutto il cammino di accoglienza per migranti, rifugiati e sfollati, perché il Regno di Dio si realizza con loro». Il santo, infatti, resta «fonte d’ispirazione non solo per gli istituti da lui fondati e ispirati, ma anche per le comunità cristiane e in campo internazionale», ha rimarcato padre Chiarello.
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Concorde suor Neusa de Fatima Mariano, anche lei brasiliana e superiora delle missionarie scalabriniane: «Le sue risposte socio-pastorali hanno intercettato i tempi attuali. Uomo moderno e contemporaneo, ci ha lasciato in eredità un carisma per i tempi di oggi con il binomio a lui caro: fede e cultura. E lo spirito che anima la congregazione è quello di riconoscere e amare Cristo nella persona del migrante». Lo fanno anche le missionarie secolari scalabriniane, come la romana Giulia Civitelli: «Nelle nostre piccole comunità apriamo le porte a giovani dei Paesi ospitanti e migranti accolti, per far capire che nell’incontro fecondo è possibile intessere relazioni nuove, scoprendo la ricchezza fra le diversità e che è possibile vivere la comunione nella grande famiglia umana, proprio come voleva Scalabrini».