Sant'Ireneo - .
Vescovo, martire, riconosciuto santo sia dai cattolici sia dagli ortodossi. E, dal 2022, dottore della Chiesa per volere di papa Francesco. Si può condensare in questo denso ritratto la figura di Ireneo di Lione di cui oggi si celebra la memoria liturgica. Vissuto tra il 130 e il 202-203, risulta ancora attuale. Un pensatore famoso e ancora attuale soprattutto alla luce del suo capolavoro Adversus Haereses («Contro le eresie») dove traspare il grande apologista ma anche il buon pastore sempre preoccupato del gregge a lui affidato, soprattutto alla guida della diocesi di Lione dal 177 fino alla sua morte.
Il 21 gennaio 2022 con un decreto papa Bergoglio ha conferito al santo, originario di Smirne in Asia Minore (oggi Turchia), e discepolo di san Policarpo il titolo di «dottore dell’unità». E motivava così il senso di questo riconoscimento: «Sant’Ireneo di Lione, venuto dall’Oriente, ha esercitato il suo ministero episcopale in Occidente: egli è stato un ponte spirituale e teologico tra cristiani orientali e occidentali».
Chi intravede nel gesto significativo del Pontefice di assegnare a Ireneo il titolo di «dottore dell’unità» è il gesuita e patrologo Enrico Cattaneo. Che sottolinea: «Giustamente papa Francesco ha dichiarato Ireneo dottore della Chiesa con il titolo di “Doctor unitatis”, “maestro di unità”, di un’unità pensata all’interno della Chiesa e dunque anche maestro per il nostro tempo di divisioni interne».
Padre Cattaneo, classe 1943, ha insegnato patrologia presso la Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale sezione San Luigi di Napoli e presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Si è occupato soprattutto dei Padri greci: da Clemente Romano a Ignazio di Antiochia, da Ireneo Basilio di Cesarea. Lo studioso che è anche un autorevole collaboratore della rivista della Compagnia di Gesù “La Civiltà Cattolica” si sofferma sull’unicità del pensiero di questo autore: tra l’altro Ireneo è il primo martire nella storia della Chiesa a ricevere il titolo di dottore. E annota un altro aspetto singolare di questo personaggio il suo essere uno strenuo difensore della fede. «Non bisogna dimenticare che per Ireneo la fede non è qualcosa di disincarnato.
Pur essendo animata dalle altre virtù teologali della speranza e della carità, - è la riflessione - senza le quali è morta, essa ha un aspetto istituzionale e visibile, rappresentato dalle Scritture canoniche, dai Sacramenti (Battesimo ed Eucaristia) e dalla successione episcopale, che mantiene viva la Tradizione apostolica». Il patrologo accenna a un altro dettaglio importante di questa complessa personalità quella di essere stato, in un certo senso, il primo espositore della “dogmatica cattolica” basata sulla Bibbia. «L’opera di Ireneo è tutta imbevuta di Sacra Scrittura. Nonostante che allora circolassero molti scritti apocrifi, come “Il Vangelo di Tommaso”, “Il Vangelo di verità”, Ireneo sa distinguere questi scritti da quelli canonici, sebbene un canone della Bibbia non fosse stato ancora fissato. In definitiva, la Bibbia, che Ireneo leggeva nella traduzione greca detta dei Settanta, è sostanzialmente ancora la nostra Bibbia. Egli argomenta sempre a partire dalla Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, e per questo fa una teologia biblica, alla luce però della tradizione apostolica. Anche gli gnostici avevano una loro teologia biblica, magari più elaborata di quella di Ireneo, ma fuori della Tradizione apostolica». Tornano a questo proposito in mente le memorabili parole pronunciate da Benedetto XVI durante un’udienza del Mercoledì del 2007: «Per Ireneo la “Regola della fede” coincide in pratica con il Credo degli Apostoli, e ci dà la chiave per interpretare il Vangelo».
L’attualità di questo grande padre della Chiesa, a giudizio di Cattaneo, affonda le sue radici soprattutto nella sua lotta contro la «falsa gnosi». Nella sua opera magistrale Adversus Haereses egli affermava infatti questa piccola ma importante lezione, valida oggi come ieri: «Non si possono curare i malati se non si conosce la malattia». E osserva il gesuita a questo proposito: «Questi “malati” non erano i pagani, come saremmo tentati di pensare, ma i cristiani del suo tempo. L’opera di Ireneo non è dunque uno scritto di evangelizzazione indirizzato ai non cristiani, ma è per quei cristiani che sono tentati di aderire alla “falsa gnosi”, cioè a una corrente che, esternamente, si presenta come cristiana, ma in realtà è un tradimento del cristianesimo».
E aggiunge ancora un dettaglio: «Ireneo infatti non aveva a che fare con degli atei, che nel mondo antico erano un’esigua minoranza, bensì con dei sedicenti teologi, pienamente teisti, quali erano appunto gli gnostici. Ireneo si atteneva alla metafisica biblica della Creazione, con la distinzione ontologica tra Creatore e creatura. Gli gnostici invece professavano una metafisica dualistica, dove il mondo sensibile e materiale non era un atto di libera e amorosa creazione da parte di Dio, ma una specie di spazzatura cosmica, incapace di partecipare alla salvezza e destinata a scomparire. La cosa singolare è che gli gnostici esternamente mantenevano l’impalcatura della fede e delle Scritture, ma la svuotavano dal di dentro, proponendo un cristianesimo “due punto zero”, cioè un nuovo cristianesimo, così come fanno oggi i post-teisti. Questo secondo esito, pan-enteistico è ancora più pericoloso dell’ateismo o del panteismo: sì, dicono costoro, Dio esiste e ha un Figlio, ma questo figlio siamo tutti noi».
Qual è l’aspetto che l’affascina di più di questo pensatore? «La sua cattolicità. Mi spiego. Alla fine dell’800, sotto il pontificato di Pio IX, circolava una specie di caricatura del cattolicesimo come la religione dei “tre candori” o delle “tre bianchezze”: la Vergine Maria, l’Eucaristia e il Papa. Ora sono andato a verificare le tre più significative figure del II secolo, che sono Ignazio di Antiochia, Giustino e Ireneo di Lione. Tutti e tre hanno le caratteristiche tipiche del cattolico. Ignazio parla della maternità verginale di Maria, esalta mirabilmente l’Eucaristia e magnifica il primato della Chiesa di Roma. Giustino abbozza una prima teologia mariana, ci ha lasciato la prima mirabile descrizione della celebrazione eucaristica e, scrivendo da Roma, nomina implicitamente il vescovo di quella città come “colui che presiede” nell’unica assemblea, fa l’insegnamento, ha a disposizione dei diaconi e possiede una cassa comune per aiutare i bisognosi. Quanto a Ireneo, su questi tre temi li batte tutti. È questo che io ammiro in lui».