Il cardinale Ratzinger porge la croce a Giovanni Paolo II durante la Liturgia della Passione nel Venerdì Santo del 2004 - Siciiani
Pubblichiamo parti dell’intervista, inedita in italiano, raccolta nel 1983 dal Passauer Bistumsblatt col cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, e dedicata all’Anno santo della Redenzione proclamato da Giovanni Paolo II per il 1950° della morte e resurrezione di Gesù. Il testo fa parte di In dialogo con il proprio tempo (Libreria Editrice Vaticana), il nuovo volume, suddiviso in tre tomi per un totale di 1.688 pagine, dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, in corso di pubblicazione per Lev. Il volume raccoglie tutti i libri-intervista firmati dal cardinale Ratzinger-Benedetto XVI, così come tutte le sue interviste ai più diversi mezzi di comunicazione, da quando era teologo e docente negli anni ’60 fino al papato, e sarà in libreria dal 25 novembre. Il volume, curato da Pietro Luca Azzaro e Lorenzo Cappelletti, verrà presentato domani alle 17 alla Lumsa di Roma (via di Porta Castello 44). Sono previsti i saluti di Francesco Bonini, rettore della Lumsa, di padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, e di Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale della Lev. Intervengono l’arcivescovo Georg Gänswein, nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia, già segretario particolare di Benedetto XVI, e Gian Guido Vecchi, vaticanista del Corriere della Sera. Modera Pietro Luca Azzaro, curatore dell’Opera Omnia.
Il senso e lo scopo dell’Anno santo non sono di fare notizia sui giornali. Sicuramente l’Anno santo non può essere celebrato nel modo in cui si manifesta la gioia – peraltro del tutto legittimamente – per una vittoria calcistica. L’Anno santo s’indirizza a dimensioni più nascoste dell’uomo e che tuttavia sono quelle centrali per la sua vita nel suo complesso. In ultima analisi si tratta della questione della redenzione, vale a dire della questione di ciò in cui consiste l’umano: come deve diventare la vita perché io possa essere felice di essa? La questione se sia poi un bene essere uomo s’impone sempre più, e proprio in un tempo in cui la paura per il futuro provoca la domanda se – anche solo fra trent’anni – si potrà ancora essere felici di essere uomini. In questo senso l’Anno santo tocca senz’altro, dunque, il nocciolo del sentimento dell’esistenza, della paura esistenziale e anche delle speranze di questo tempo. Si tratta in primo luogo di dire che la redenzione c’è; la prima parola dell’Anno santo – credo – è innanzitutto redenzione, e poi penitenza. E redenzione nel presente, non solo nel futuro. Sarebbe uno sbaglio se, al contrario, si trasponesse la redenzione nel passato e si dicesse che è accaduta 1950 anni fa. Bisogna invece dire che con quello che allora è accaduto è stato posto in essere un presente che permane e che continua a generare speranza. C’è una risposta al nostro domandare. Non siamo dimenticati. Un amore indistruttibile ci attende e ci dischiude futuro. Solo a partire da questa realtà, che ci chiama, può anche svilupparsi la risposta dell’uomo. Nell’ambito di questa risposta la penitenza rappresenta un momento importante: essa significa organizzare diversamente la propria vita, uscire dal tran tran quotidiano degli affari e andare incontro all’essenziale, alla speranza vera, e dunque significa essere anche capaci di ammettere la colpa. In tutta questa struttura della redenzione, della speranza, del Vangelo, il riconoscimento della colpa, il cambiare se stessi nella penitenza, ha un senso. A mio parere, la ricerca di come poter cambiare se stessi per cambiare il mondo è molto forte proprio nella generazione più giovane. La penitenza è dunque da riferire alla questione del trasformare il mondo e del trasformare se stessi, ed è un tema che sta perciò al centro del nostro presente.
«La redenzione? Con quello che è accaduto
Una delle caratteristiche dell’Anno santo sono le indulgenze. (...) Com’è possibile rendere più comprensibile il loro senso a cattolici e non cattolici?
(...) L’indulgenza rappresenta, per l’uomo peccatore e graziato, un invito ad approfondire il suo rapporto con Dio. Oggi è soprattutto un invito alla preghiera, ai sacramenti e alla comune testimonianza della fede, ad esempio nella forma di un pellegrinaggio. L’elemento più importante del superamento interiore della colpa, dunque, è, nella sua forma attuale, l’approfondimento e la vivificazione del rapporto con Dio. Vanno aggiunti altri due aspetti. Ci si può e ci si deve innanzitutto chiedere: in base a che cosa in fondo la Chiesa può ridurre questo dato del tutto personale, il superamento esistenziale della colpa? (...) La remissione in quanto tale – questo è chiaro – proviene da Cristo, dalla libertà della sua grazia, e da nient’altro. Ma qui non si tratta più di questo elemento propriamente teologico, la remissione, ma dell’elemento antropologico: come possa l’uomo, in quanto uomo, elaborare la colpa, viverla umanamente nello spazio della remissione. Non è forse questo qualcosa di talmente personale che non ci può essere l’intervento di alcuna potestà ecclesiastica? La risposta classica recita: la “copertura” per il condono sta nel “tesoro della Chiesa”, vale a dire in quel sovrappiù di bene che c’è nel mondo grazie al vivere e al patire dei santi con Cristo. L’idea dunque è questa: quando è in gioco l’acquisizione umana della grazia, gli uomini possono riconoscere che fra loro non c’è solo solidarietà del peccato, ma anche solidarietà della grazia. (...) Nel mondo non c’è solo una riserva di male, ma anche un sovrappiù di bene. Anche nelle cose più personali, quali il superamento interiore della colpa e la grazia, non siamo individui rigidamente separati gli uni dagli altri; anche in questo caso c’è solidarietà. Possiamo, per così dire, aggrapparci gli uni agli altri, prendere in prestito la libertà che l’altro ha già trovato per essere portati anche da essa. L’indulgenza mette semplicemente in pratica questi convincimenti. A questo si aggiunge un altro aspetto. (...) L’indulgenza esprime la certezza della fede che le porte tra la vita e la morte non sono completamente chiuse; che – nella corrente di bene, nella profonda comunione spirituale che unisce i credenti fra loro – è come se tendessimo le nostre mani verso i morti, potendo dar loro un segno di amore, anche senza sapere nello specifico che cosa avvenga. Per l’amore è data una permeabilità tra vita e morte, che è messa in pratica nell’indulgenza.
Nella bolla d’indizione del Giubileo il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) esprime un desiderio, esortando tutti quelli che credono in Cristo a incontrarsi. In questo modo il Papa si è rivolto anche ai cristiani evangelici, agli ortodossi e agli anglicani. Quali possibilità di un cammino comune può offrire l’Anno santo? (...)
Noi non abbiamo solo un comune pensiero di fondo, viviamo di una comune realtà. Cristo è morto e risorto e ha mandato lo Spirito. (...) L’Anno santo ruota tutto attorno al centro del messaggio cristiano delle origini. Esso vuole raccogliere la Chiesa cattolica attorno a questo centro. Con ciò esso è anche un invito a tutti gli altri a cercare in quest’Anno santo di fare memoria del centro comune, che costituisce la nostra unità. Proprio le Chiese scaturite dalla Riforma sono molto impregnate dall’idea della penitenza, dall’idea che l’intera vita cristiana sia penitenza, dalla teologia della croce. Per converso, la Chiesa ortodossa è segnata dalla gioia della risurrezione e dalla forza già presente dello Spirito Santo. Si possono così sviluppare diverse espressioni, che provengono dalla medesima chiamata, di ciò che l’Anno santo intende essere. In questo senso l’Anno santo potrebbe diventare anche un Anno dell’unità dei cristiani. (...)
«Fra gli uomini non c’è solo
La preghiera (recitata da Giovanni Paolo II all’apertura dell’Anno santo, ndr) culminava con queste parole: «Aiutaci a cambiare la direzione delle crescenti minacce e sventure nel mondo contemporaneo! Risolleva l’uomo! Proteggi le nazioni e i popoli! Non permettere l’opera di distruzione che minaccia l’umanità contemporanea!». L’Anno santo può effettivamente fornire un contributo alla soluzione dei problemi che oggi gravano sull’umanità?
Dall’Anno santo sicuramente non ci si devono attendere soluzioni immediate a problemi di tipo politico o economico, ma la predisposizione di quelle premesse di tipo etico senza le quali le questioni mondiali di tipo economico o politico divengono sempre più irrisolvibili. (...) Se l’Anno santo ruota attorno al tema della “redenzione”, la questione è: come si può giungere a un modo giusto di essere uomini? Come può l’umanità trovare la via del futuro? La questione della redenzione è una questione classica di tutte le religioni. Per le religioni asiatiche, per il buddhismo come per l’induismo, il motivo dominante è cercare di sfuggire a ciò che è insopportabile nella nostra esistenza empirica. Le tre grandi religioni teistiche – ebraismo, cristianesimo, islam – hanno la loro radice comune nella promessa abramitica e, di conseguenza, nella speranza della terra in cui si possa vivere, nella speranza della restaurazione del paradiso terrestre. Ma anche nel più forte movimento antireligioso del nostro tempo, il marxismo, è questa eredità abramitica a rappresentare il vero impulso originario e al contempo la promessa che lo rende affascinante. Anche qui il punto di partenza è la ricerca della redenzione, la ricerca di un umano non più alienato ma che ha ritrovato se stesso. Così quest’Anno santo è anche un richiamo perché riconosciamo personalmente di nuovo ciò che è originariamente umano e non puramente cattolico in senso particolare della nostra fede. Quanto più in noi stessi ciò ridiventa esperienza e riconoscimento, tanto più possiamo immetterlo nella situazione generale degli uomini. La radice più profonda di tutti i grandi problemi politici ed economici che ci opprimono, infatti, sta nel declino delle basi spirituali dell’uomo. Il fatto che movimenti come il marxismo siano tanto forti non deriva innanzitutto dal fatto che abbiano avuto a loro disposizione una forza politica, quanto dal fatto che un’ideologia si è imposta come risposta all’uomo che non riusciva più a trovare queste risposte nella tradizione cristiana. Ora che è seguita la rassegnazione ed emerge l’incapacità di risposta di questi tentativi, si presenta una possibilità del tutto nuova di reimparare a testimoniare il realismo del fatto cristiano e a immettere nel dibattito del nostro tempo ciò che di integralmente umano in esso si esprime.
© LIBRERIA EDITRICE VATICANA «Fra gli uomini non c’è solo solidarietà del peccato, ma anche solidarietà della grazia. L’indulgenza mette in pratica questi convincimenti» Il cardinale Ratzinger porge la croce a Giovanni Paolo II durante la Liturgia della Passione nel Venerdì Santo del 2004 / Siciliani