
Pierbattista Pizzaballa - Agenzia Romano Siciliani
«Le icone parlano, non sono solo delle immagini; introducono ad una realtà di mistero che la comprensione umana non può racchiudere. La Sindone è un segno importante, potente. Perché la Risurrezione umanamente non si comprende, nei Vangeli non c’è la descrizione della Risurrezione, c’è l’incontro con il Risorto e con i segni della risurrezione: il sepolcro vuoto e i teli». È un passo dell’intervista al cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, raccolta in vista del progetto “Avvolti” che dal 28 aprile al 5 maggio prossimi, nell’ambito del Giubileo 2025, vedrà allestita in piazza Castello, nel cuore di Torino, una grande tenda nella quale sarà ospitata una riproduzione digitale della Sindone. Questa intervista – pubblicata anche sul settimanale diocesano torinese “La voce e il tempo”, mentre il video integrale è visibile sul sito www.avvolti.org – nasce da un incontro e da una visita. Nella festa liturgica della Sindone del 2024 l’arcivescovo di Torino, Roberto Repole, custode pontificio del Sacro Telo, aveva infatti invitato Pizzaballa nel capoluogo piemontese. In quell’occasione si celebrava anche il centenario dell’Opera diocesana pellegrinaggi, che del viaggio in Terra Santa ha sempre fatto il principale obiettivo del proprio servizio.
Giovanni Paolo II ha definito questa immagine misteriosa «sfida dell’intelligenza e specchio del Vangelo». Per lei che cosa significa?
«Per me è un’icona ma anche un segno. Le icone introducono ad una realtà di mistero che la comprensione umana non può racchiudere. La Risurrezione umanamente non si comprende, nei Vangeli non c’è la descrizione della Risurrezione. Quando c’è stata la risurrezione di Lazzaro, Lazzaro è uscito dalla tomba ma era ancora legato dai teli perché era ancora sotto il potere della morte. I teli del Santo Sepolcro erano ripiegati vicino alla tomba, lontani da un corpo che non era più lì. Dunque sono segni che nello Spirito Santo Dio ha sconfitto la morte. Abbiamo bisogno di quei segni? Ecco il telo, la Sindone; ecco il segno».
Quell’immagine, come tutte le immagini, rende presente l’assente. Cioè: il Cristo è presente, ma non nei termini che noi possiamo percepire coi sensi.
«Noi siamo fatti di carne e di ossa, abbiamo bisogno di fare esperienza, di toccare, di vedere, di sentire. Il cristianesimo non è spiritualità, è mistica. Mistica vuol dire fare esperienza, toccare. Ecco, la Sindone è un po’ come i Sacramenti, una sorta di Sacramento. I Sacramenti sono segno di un’esperienza, di un incontro con Cristo. E così è anche per la Sindone. La Sindone innanzitutto ti riporta immediatamente, con la sua immagine, con la sua realtà, a duemila anni fa; e poi ti introduce dentro quella esperienza di risurrezione e di incontro con il Risorto: il Risorto che è presente. Solo che hai bisogno di sentirla, questa presenza, di toccarla, e la Sindone ti introduce a questa esperienza».
Oggi tutti noi, su Internet e non solo, consumiamo una quantità enorme di immagini. Le immagini stanno sostituendo anche le parole scritte. Questa immagine della Sindone come si colloca?
«Le immagini dei media di oggi non hanno storia. Sì, oggi si vive tutto nell’immediato, nel presente. Non solo oggi queste immagini sostituiscono la parola, ma anche i nuovi social sostituiscono il linguaggio, la relazione e così via. Ecco, la Sindone non ha nulla a che fare con tutto questo. La Sindone ha una storia e dietro la Sindone non c’è un sentimento ma un evento che è all’origine della cultura, della formazione, della fede di miliardi di persone nel mondo. Quindi già di per sé introduce una prospettiva completamente diversa, che porta fuori dall’attimo presente e conduce invece dentro la storia. E poi la Sindone richiama l’immagine di Cristo. Quindi non è un’immagine come le altre. Qualunque sia la tua fede, qualunque sia la tua relazione con Gesù, non c’è alcun dubbio che quell’immagine ti mette di fronte a Lui, quindi ha una storia e una potenza totalmente diversa».

Ma come avvicinarsi a un’immagine che dia senso, che sia «pesante» nella vita?
«È un’esperienza di fede, innanzitutto. Voglio dire, per chi non ha fede la Sindone è un qualcosa che può anche essere interessante dal punto di vista storico e culturale. Ma finisce lì. Per chi ha fede non è così. Per un credente la Sindone solleva tutte le domande su Gesù. E questi due aspetti – l’immagine e il significato – credo sia importante che non vengano mai separati».
La Chiesa di Torino qualche anno fa donò alla Custodia di Terra Santa una copia della Sindone, che venne custodita per un certo tempo in una cappella del Santo Sepolcro e che ora si trova al convento del Salvatore. Vista da Gerusalemme, cos’è la Sindone? E cos’è la risurrezione?
«La Chiesa, la comunità cristiana, ha sempre avuto bisogno di custodire i segni della Risurrezione. I racconti della sepoltura di Gesù sono precisi e non a caso, perché per noi oggi parlare di risurrezione è normale, siamo in un certo senso nati cristiani, e abbiamo sempre sentito dire che Gesù nasce, muore e risorge. Ma se torniamo indietro di 2000 anni, parlare di risurrezione dei morti è una cosa assolutamente inconcepibile: oggi si direbbe una fake news. Dunque, c’era bisogno di vedere. Si sapeva bene dov’era il Sepolcro, sono le donne che sono andate al Sepolcro. Poi c’erano Pietro e Giovanni che sono andati, hanno visto i teli, e così via. Il corpo era avvolto nel telo, dicono ancora i Vangeli… Sono tutti dettagli molto importanti che parlano di quell’evento. Dunque il luogo del Santo Sepolcro non è secondario. Senza il luogo non c’è l’evento! E i segni, e veniamo alla Sindone, sono in continuità. La Sindone è un segno potentissimo perché come il Sepolcro si ricollega direttamente a quell’evento. La Risurrezione non si spiega, non si può spiegare. Però puoi incontrare il Risorto. Oggi puoi fare esperienza di risurrezione guardando il Sepolcro, guardando la Sindone, incontrando realtà di vita, di risurrezione nelle persone, nelle comunità…».
Quindi facendo pellegrinaggio?
«Il pellegrinaggio è molto importante. Innanzitutto significa partire, uscire da sé. Significa cercare, fare domande, interrogarsi, incontrare. In passato il pellegrinaggio era un viaggio con molte tappe di avvicinamento, ognuna ricca di esperienze, di incontri. E poi soprattutto il pellegrinaggio in Terra Santa o alla Sindone significa venire a incontrare, come le donne del Vangelo, il Risorto».
Nel Vangelo, Simeone profetizza Gesù come segno di contraddizione. Oggi però tutta Gerusalemme, tutta la Terra Santa è segno di contraddizione.
«È vero, Gerusalemme è segno di contraddizione. Ma trovatemi un posto nel mondo dove tutto è chiaro e risolto. L’essere irrisolto, essere segno e contraddizione, è un po’ inevitabile, soprattutto per una città come Gerusalemme, che ha una vocazione così importante alla pace, all’incontro, alla vita, all’amore, al dono. Essere segno di contraddizione, di paradossi, di contrapposizione… fa parte della vita. A Gerusalemme questa realtà diventa così visibile, così dolorosa proprio perché la città è il cuore della nostra storia. Però in questo c’è anche la vocazione: dentro a quella contraddizione, essere la luce. Dentro quella paura di morte, essere la vita. E questo, sapendo che non è mai dato una volta per tutte. Non vedrai mai l’esito della tua attività, della tua azione, del tuo desiderio, ma sarai mosso non dall’esito, ma dal desiderio. Desiderio che nasce proprio dall’incontro con la Risurrezione».
Il Talmud dice che su Gerusalemme sono calate nove misure di bellezza e nove misure di dolore, sulle dieci assegnate al mondo intero. Questi «doni» vengono vissuti con una passione che diventa anche violenza.
«Dobbiamo indirizzare questa passione nel senso buono, nel senso giusto. Non dobbiamo avere paura della violenza, dei tradimenti; dobbiamo sapere che ci sono. Non essere naïf, ecco».
Torniamo ancora sulla Sindone. Quando ci sono le grandi ostensioni pubbliche arrivano persone di ogni genere. Molti vengono solo per la curiosità di vedere. Molti arrivano perché, come Filippo, vogliono vedere il Signore. L’esperienza propria della fede, come si rapporta con i segni, con la terra, con lo scandalo della guerra, delle divisioni?
«La sfida che abbiamo sempre tutti è fare unità tra fede e vita. Io credo che la fede, e in particolare la fede cristiana, è un’esperienza di salvezza, di perdono, di una vita ritrovata che non cambia nulla nella tua vita, ma cambia il modo in cui la vivi. Ecco, questa è la fede, secondo me. La fede non capisce tutto ma ha trovato quella serenità, quella chiave. Ha trovato un senso a ciò che si sta vivendo».