Il Papa durante l'udienza generale di mercoledì 22 novembre - Ansa
«Ci domandiamo a cosa siano serviti decenni di dialogo ebraico-cristiano parlando di amicizia e fratellanza se poi, nella realtà, quando c’è chi prova a sterminare gli ebrei invece di ricevere espressioni di vicinanza e comprensione la risposta è quella delle acrobazie diplomatiche, degli equilibrismi e della gelida equidistanza, che sicuramente è distanza ma non è equa». Sono parole molto severe quelle con le quali il Consiglio dell’Assemblea dei rabbini d’Italia prende posizione sull’incontro del Papa con i parenti degli ostaggi rapiti da Hamas «da tempo richiesto e sempre rinviato», e «finalmente possibile perché è stato seguito da un incontro con parenti di palestinesi prigionieri in Israele, (...) mettendo sullo stesso piano innocenti strappati alle famiglie con persone detenute spesso per atti gravissimi di terrorismo».
Al termine dell’udienza generale di mercoledì 22 Francesco aveva parlato dei suoi incontri, appena avvenuti, con «due delegazioni, una di israeliani che hanno parenti come ostaggi in Gaza e un’altra di palestinesi che hanno dei parenti che soffrono a Gaza. Loro – aveva detto – soffrono tanto e ho sentito come soffrono ambedue: le guerre fanno questo, ma qui siamo andati oltre le guerre, questo non è guerreggiare, questo è terrorismo. Per favore, andiamo avanti per la pace, pregate per la pace, pregate tanto per la pace. Che il Signore metta mano lì, che il Signore ci aiuti a risolvere i problemi e non andare avanti con le passioni che alla fine uccidono tutti. Preghiamo per il popolo palestinese, preghiamo per il popolo israeliano, perché venga la pace».
Nella lettura dell’Assemblea dei rabbini, il Papa così avrebbe però «pubblicamente accusato entrambe le parti di terrorismo» spinge i rabbini italiani a dire che così «si mettono sullo stesso piano aggressore e aggredito». Un giudizio sul quale, interpellato a margine di un convegno, il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin commenta che il Vaticano «non ha sorvolato» sulla condanna di Hamas ma non può «ignorare ciò che sta accadendo dall’altra parte. Mi sembra che la Santa Sede cerchi in tutti i modi di essere giusta e di tenere conto delle sofferenze di tutti, anche nel caso di questo terribile attacco che ha subito Israele che va condannato. Ci sono stati tanti morti, tanti feriti, tante distruzioni. Il Papa vuole essere vicino alle sofferenze di tutti».
Le dichiarazioni dei rabbino suscitano amarezza e dolore in un decano del dialogo ebraico-cristiano come monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri, studioso di Sacra Scrittura, che da responsabile della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso è stato tessitore di quell’amicizia che oggi sembra congelata dalla massima espressione religiosa dell’ebraismo italiano. «Con il rabbino Di Segni abbiamo recentemente dialogato in pubblico sulla pace, con toni e parole differenti ma in un clima di dialogo sereno e costruttivo, entrambi con l’animo desideroso di essere insieme costruttori di pace. In questo tempo così difficile, come Chiesa italiana abbiamo continuato a manifestare la nostra vicinanza e solidarietà a Israele e alle comunità ebraiche, in Italia e nel mondo, non rinunciando a partecipare a gesti di condivisione che alcuni avrebbero preferito rimandare, come la marcia per ricordare la deportazione degli ebrei romani il 16 ottobre».
Davanti a questi dati di fatto, «la reazione dell’Assemblea dei rabbini stupisce, è un grande dispiacere, e non corrisponde alla realtà. Da anni organizziamo incontri e riflessioni comuni, proponiamo contenuti educativi per la scuola e la catechesi, per far pulizia dei pregiudizi con la conoscenza. Abbiamo sempre ragionato insieme su come avvicinare i nostri mondi. Il dialogo tra noi non si è mai interrotto, anche in momenti difficili, è un cammino irreversibile», perché «è una realtà in cui crediamo profondamente».
Va comunque riconosciuto – «con amarezza» – che dopo il 7 ottobre «indubbiamente sono emersi segni di antisemitismo, anche nella Chiesa, da contrastare con fermezza quando riemergono, come adesso, e che non rispecchiano tutto ciò che la Chiesa ha detto e fatto dal Concilio a oggi».
Purtroppo la situazione del conflitto «ora rende le cose problematiche: è chiaro che il Papa si preoccupa della comunità cristiana a Gaza, dove c’è una parrocchia, e credo sia comprensibile che si esprima in modo così diretto sulla violenza della guerra, qualsiasi guerra». La nota dei rabbini invece «sembra non tener conto di tutto quello che abbiamo fatto insieme, e che esiste. Lo ripeto: il loro è un giudizio storico che non corrisponde alla realtà».
Quando il dialogo tra religioni intreccia la storia e la politica tutto si fa più difficile. Spreafico sul punto ha le idee chiare: «Non possiamo non riconoscere che c’è stato un atto terroristico di Hamas contro Israele, punto e a capo. Questo atto ha provocato una reazione, sulla quale possiamo discutere. Ma resta la responsabilità dell’atto iniziale, come l’invasione russa dell’Ucraina, per capirci».
Come riprendere il dialogo ora? «Sapremo andare oltre – conclude il vescovo –, continueremo a esprimere vicinanza alle comunità ebraiche in tutta Italia a e lavorare insieme. Possiamo parlarci, ognuno col suo punto di vista. Ne va del nostro vivere insieme. Se nel nome delle differenze rinunciassimo a farlo butteremmo via decenni di storia. Dobbiamo essere un segno davanti alla società».