Padre Francisco de Paula Oliva - Twitter Jesuitas Paraguay
«Per tutta la vita ho cercato di aiutare le persone a pensare». Così era solito riassumere i suoi 93 anni di esistenza, di cui 75 trascorsi all’interno della Compagnia di Gesù, padre Francisco de Paula Oliva. Amava ripeterlo a quanti andavano a trovarlo nel “Bañado Sur”, una delle due immense baraccopoli di Asunción dove si accumulano le decine di migliaia di contadini che ogni anno sono espulsi dalle loro terre da latifondisti e multinazionali. Un dramma cronico che pai Oliva, come lo chiamavano, si era trovato di fronte fin all’arrivo in Paraguay nel 1964.
«La mia seconda nascita», la definiva il missionario, originario di Huelva, in Spagna e morto nella notte tra lunedì e martedì, dopo due anni di malattia. Fra “il popolo del fiume” – questo significa Paraguay –, il gesuita aveva imparato che la fede implica un contatto autentico con la realtà. Da qui il suo impegno per gli indigeni e i braccianti agricoli sfruttati. Lavoro che lo rese inviso alla feroce dittatura di Alfredo Stroessner che all’epoca governava il Paese.
«Una notte del 1969 il capo della polizia ordinò che mi gettassero nel fiume», aveva raccontato ad Avvenire. Alla fine, invece, lo espulsero in Argentina dove fu aiutato dall’allora provinciale Jorge Mario Bergoglio. I due si reincontrarono e abbracciarono nel 2015, durante il viaggio dell’ormai papa Francesco in Paraguay. Là padre Oliva era potuto rientrare solo nel 1994, dopo un lungo esilio e si era trasferito nel Bañado Sur dedicandosi alla formazione.