. - Siciliani
La sfida educativa vale anche per i candidati al Sacerdozio. Sembra scontato ma non lo è, soprattutto quando si tocca l’argomento dell’omosessualità. Il rischio è che, come succede per altri temi eticamente sensibili, il dibattito sia facilmente ostacolato da pregiudizi di varia natura. Dovremmo tutti fare lo sforzo di un confronto più aperto, approfondito e razionale. Sull’omosessualità, come sulla sessualità in generale, Papa Francesco ha detto e scritto parole che danno una linea illuminante, a partire da uno sguardo di fede, senza mai trascurare la preoccupazione di atteggiamenti immaturi o manipolativi dei candidati al sacerdozio e dei preti stessi. Certo, non giova a nessuno sottostimare la complessità del tema dell’omosessualità o dimenticare quanto, anche nella comunità scientifica, il cammino di comprensione della sua realtà, della sua genesi e delle sue dinamiche, sia stato e resti travagliato.
La fatica del discernimento nella scelta dei candidati al sacerdozio attraversa la vita della Chiesa, che mai come in questo momento cerca di mostrare a tutti il suo volto materno, sinodale e samaritano. Nello sforzo di un sano realismo, perciò, certamente è da evitare il rischio di perseguire strategie estreme che, o semplificano troppo o, ingenuamente, sorvolano. La questione seria del discernimento rispetto all’assunzione del celibato per il Regno, condivisa dalla gran parte dei formatori, non è tanto comprendere l’orientamento sessuale del candidato: è quanto effettivamente la sessualità sia integrata nella sua personalità e nei suoi valori. Questo vale sia nel caso di persone eterosessuali che di persone omosessuali. Nei percorsi formativi, perciò, appellarsi solo alla norma secondo la quale una persona omosessuale non potrebbe essere accolta in Seminario né ricevere il sacramento dell’ordine, impoverisce il senso che la norma stessa dovrebbe avere e svilisce il dono della chiamata, sottovalutando il primato teologico dell’esperienza spirituale e vocazionale.
La Chiesa, in particolar modo dal Concilio in poi, ha sempre più affinato i suoi criteri di discernimento, sollecitando una particolare attenzione alla formazione umana, alla maturità affettiva e alla qualità delle relazioni interpersonali (PDV 43), affinché il candidato, futuro prete, fosse “ponte e non ostacolo” all’incontro con Cristo. Nel tempo i criteri, attraverso un proficuo dialogo con la psicologia, in un orizzonte di antropologia cristiana (GS 62), sono diventati sempre più specifici. Nel processo formativo, allora, non si può non avere costantemente un’attenzione all’insieme della personalità del candidato. Per tutti si tratta di riscontrare e ulteriormente favorire un sufficiente equilibrio, una maturità globale e le premesse per continuare a crescere in tutti gli aspetti della vita, per tutta la vita, in un discepolato e in una formazione permanente. Come vive il candidato il suo orientamento sessuale? Ne è consapevole, ne coglie le eventuali radici, spesso non sessuali? Lo gestisce in modo sempre più maturo? Riesce ad integrarlo con il senso e lo stile relazionale proprio della vocazione al sacerdozio? Va ricordato che tutti coloro che intraprendono un cammino verso il presbiterato devono dar prova della capacità di accogliere e vivere in modo sufficientemente libero e sereno il celibato come un dono e come un modo per amare di più, non di meno.
Non c’è solo da imparare il dominio di sé rispetto agli impulsi sessuali; di particolare importanza, infatti, è soprattutto la capacità di relazione con gli altri (PDV 43), la capacità di amare ciascuno in modo casto e “la castità è libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita... [perché] l’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici”, come ricorda Papa Francesco a proposito della paternità di S. Giuseppe (PC 7). È importante diventare persone che non si lasciano imprigionare da competizioni, diffidenza e gelosia (NMI 43), rispettando in modo sano i confini di sé e degli altri. Le finalità espresse dalla Nota della Congregazione della fede nel 2005 e richiamate anche nel Documento universale sulla Formazione del 2016 (“Il dono della vocazione presbiterale”), sono un primo e – per la prima volta – esplicitato orientamento educativo rispetto al celibato di coloro che hanno un orientamento omosessuale. I criteri essenziali restano validi, ma sono da leggere alla luce di una sempre meglio approfondita comprensione di questo orientamento.
Tra l’altro, si può immaginare realisticamente che, nell’attuale contesto, i giovani e i giovani adulti presenteranno sempre di più elementi di confusione, incertezza e fluidità nell’acquisizione della propria identità, in special modo nell’identità sessuale; ma il Signore continuerà a chiamare al sacerdozio e qualcuno, anche tra loro, sentirà di voler sinceramente rispondere. Si tratta, allora, di attrezzarci sempre di più con presenze e proposte formative anche nuove, formare sempre meglio i formatori e suscitare nei candidati il gusto di continuare a prendersi cura di sé e dei propri fratelli anche dopo il Seminario. Non sarà facile rispondere a queste esigenze, ma trascurarle o semplificare potrebbe, forse, ostacolare il soffio dello Spirito e il primato della grazia.