Sono migliaia i fedeli che ogni anno raggiungono il Santuario mariano di Lourdes - .
«Ogni giorno il legame di Lourdes con il mondo della medicina è testimoniato da un segno forte. Nella processione eucaristica pomeridiana, alle 17, dietro il Santissimo Sacramento, i primi in marcia, accanto ai ma-lati, sono i medici e il personale sanitario». A ricordarlo con emozione è monsignor Olivier Ribadeau Dumas, rettore del Santuario di Lourdes, testimone dell’umanità offerta dagli sguardi dei malati pellegrini e dei loro accompagnatori. Una relazione, quella fra la cittadina mariana e i segni evangelici di chi soffre e di chi cura, che ogni anno torna ancor più in mente nella ricorrenza dell’11 febbraio: festa della Madonna di Lourdes e da 30 anni pure Giornata mondiale del Malato. Il tema di questa Giornata è un passaggio del Vangelo di san Luca: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso ».
Come risuonano queste parole a Lourdes?
Fin dall’inizio delle apparizioni, nel 1858, la presenza dei malati non è solo un aspetto caratteristico, ma qualcosa di consustanziale a Lourdes. I malati sono sempre giunti numerosi e alcuni fra loro sono stati guariti. Al contempo, il Santuario è dedicato tanto alla guarigione dei corpi, quanto a quella dei cuori e dunque il sacramento del perdono è anch’esso particolarmente centrale. La misericordia si manifesta a Lourdes in tutte le sue forme. Il tema scelto dal Papa per questo 30° anniversario, dunque, risuona in modo speciale a Lourdes, dove si festeggia quest’anno pure il 160mo anniversario del riconoscimento delle Apparizioni.
Dietro i volti che a Lourdes testimoniano misericordia, scorge un comune denominatore?
Tanti volti diversi, in effetti, esprimono misericordia a Lourdes. I malati che giungono soffrono nel corpo e talvolta pure nella mente. Accanto a questi malati fisici o psichici, giungono pure ciò che chiamo i malati sociali, ovvero chi è emarginato per via della sua situazione economica, precaria, fragile, i senzatetto, o chi ha altre particolarità. E giungono pure dei malati spirituali, che non trovano posto nella Chiesa o che si considerano tanto peccatori da sentirsi esclusi dall’amore di Dio. Tutti sono accolti e trovano posto a Lourdes. Fra tutti loro, il tratto comune è la fiducia, innanzitutto verso Maria, sempre presente per accoglierli. Maria che, così come ha sorriso a Bernadette lungo tutte le apparizioni, non cessa di sorridere, divenendo così il segno del sorriso di Dio all’umanità. Un sorriso che invita e accoglie. Alla Grotta di Massabielle, ciascuno può venire così com’è, per restare lì, senza aver l’impressione d’essere giudicato, ma venendo accolto da una Madre che ama.
A Lourdes, c’è pure chi reca le ferite intime di quella “cultura dello scarto” spesso evocata da papa Francesco?
Sì, i fragili che giungono a Lourdes sono feriti anche dallo sguardo diffidente degli altri, che esclude. Ma al contempo, a Lourdes queste persone possono vivere l’esperienza della fratellanza, che è uno dei volti della misericordia, soprattutto attraverso coloro che assistono, capaci di circondare chi è ferito, con tenerezza e delicatezza. Lourdes è così un segno visibile della possibilità di contrastare questa cultura dello scarto. In proposito, ricordo la riflessione di una malata, al momento in cui la sua assistente lasciava la camera. Diceva: «Non so chi è più fortunata. Sono io, avendo conosciuto questa donna che si occupa di me? Oppure è lei che, tramite me, si occupa di Cristo?» A Lourdes, in effetti, tanti constatano che il malato è il volto di Cristo, come ci dice il Vangelo di san Matteo. La dimensione della misericordia si vive dai due lati, che sperimentano entrambi la misericordia di Dio.
Nel suo messaggio per la Giornata mondiale del malato il Papa cita il filosofo francese Emmanuel Levinas: «Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello al-l’altro, l’invocazione all’altro». Che senso prende, a Lourdes, questa frase?
Lourdes mostra pure l’impegno per spezzare quest’isolamento, tramite la fratellanza vissuta nelle azioni. Effettivamente, il dolore può isolare, ma equivale pure a una chiamata, alla quale vogliamo rispondere con la presenza di chi assiste, l’accompagnamento fraterno, l’attenzione ai più fragili. Questa chiamata non può restare senza risposta. Lourdes deve dare incessantemente risposte a queste chiamate. Per questo, riflettiamo oggi, nella pastorale del Santuario, su proposte per chi è aiutato, ma anche per chi aiuta, che rischia a sua volta forme d’isolamento. Anche chi assiste un malato nel corso di tutto l’anno deve trovare a Lourdes un momento di tregua, pace e serenità.
Con la pandemia, ci sentiamo tutti vulnerabili. Ciò ha potuto permettere ad alcuni di capire meglio lo spirito di Lourdes?
È divenuto ancor più palese il carattere profetico di Lourdes. Ci troviamo tutti davanti alla vulnerabilità, ma pure alla morte, all’incertezza e a un bisogno di relazioni sociali autentiche. Su tutti questi fronti, Lourdes ha un messaggio particolare da offrire al mondo di oggi. A Lourdes, si vive il fatto che la vulnerabilità non emargina e non è un fallimento, dunque può essere mostrata, perché anzi accende la fratellanza. Questo periodo ha inoltre ancor più messo al centro l’esperienza forte della preghiera, la preghiera semplice, in particolare il rosario. È stato forse il primo frutto a Lourdes di questa fase tanto difficile.
Fu san Giovanni Paolo II a istituire la Giornata mondiale del malato. Quale traccia ha lasciato il suo ultimo viaggio a Lourdes dell’agosto 2004?
Prima di tutto, ricordiamo che volle venire umilmente come un pellegrino. Certo, era il Papa, ma veniva come un pellegrino malato. Quelle foto del Papa indebolito dalla malattia si trovano ancora al Santuario e ci ricordano che venne per affidarsi, malato fra i malati, alla Vergine Maria, verso cui aveva sempre mostrato così tanta fiducia. San Giovanni Paolo II è venuto anche per ricordarci che la sofferenza ha un senso solo se ci permette di vivere accanto al Cristo sofferente, offrendosi con Lui per essere salvati da Lui.