giovedì 29 agosto 2024
Parla Amets Arzallus Antia, il cantastorie basco, che con Ibrahima Balde ha scritto il libro più volte citato dal Papa che lo ha anche regalato ai vescovi italiani. La storia di un viaggio di 9 anni
L'odissea di Ibrahima sui passi del «fratellino»
COMMENTA E CONDIVIDI

Ibrahima Balde ora sta a Madrid. Lavora come meccanico in un’officina. E quindi in un certo senso ha realizzato uno dei suoi sogni. Ma non ha ancora terminato la sua odissea. Quella che da Konakry, in Guinea, lo ha portato in quasi quattro anni fin sulle rive del Mediterraneo alla ricerca di suo fratello Alhassane e poi in Europa. Ora l’odissea di Ibrahima non è più contro i tanti Polifemo del deserto (fame, sete, sabbia, caldo, viaggi estenuanti quasi sempre a piedi), o della Libia e del Maghreb (perfidi trafficanti di esseri umani) o del mare (il pericolo di affogare su gommoni sovraccarichi, come alla fine ha scoperto era accaduto ad Alhassane). No, la sua odissea è da cinque anni a questa parte contro la burocrazia europea, dato che ha dovuto attendere tantissimo prima di avere nel 2023 un permesso di soggiorno di un anno (ormai scaduto) e ricominciare tutto daccapo per cercare di farselo rinnovare. Nel frattempo non può muoversi da Madrid. E men che mai ritornare (come vorrebbe) da sua madre e dalle sue sorelle nel villaggio di Thiankoi, a diversi chilometri di distanza da Konakry. L’aggiornamento sulla sua storia lo ha fornito, martedì sera a Caserta Vecchia, Amets Arzallus Antia, il cantastorie e poeta basco che con Ibrahima Balde ha scritto Fratellino (Feltrinelli, 2021), il libro più volte citato dal Papa (che lo ha anche regalato ai vescovi italiani) come specchio per capire, queste le parole di Francesco, «che cosa sia la traversata del deserto, il traffico dei migranti, la prigionia, le torture, il viaggio in mare ». Amets ha preso parte a “Un borgo di libri”, manifestazione organizzata da Luigi Ferraiuolo, e ha offerto il suo punto di vista, che coincide con quanto detto ieri dal Pontefice nell’udienza generale.

La storia di Ibrahima non è dunque un’eccezione tra i migranti.

No, anzi direi che è la regola. Quando l’ho conosciuto, facevo parte di un gruppo di volontari che nei Paesi Baschi aiutavano i migranti con burocrazia e informazioni. Ho visto passare migliaia di persone provenienti dall’Africa subsahariana. Io stesso, prima di mettere insieme il dossier di Ibrahima, ne avevo compilati altri sette e otto. E ognuno era un libro potenziale, che avrebbe meritato di essere pubblicato. Le traversie che i migranti affrontano sono le stesse per tutti e sono terribili. Alcuni muoiono nel deserto, altri vengono catturati e venduti come schiavi, altri ancora torturati in Libia. I più “fortunati”, dopo essere stati depredati di tutto, riescono a imbarcarsi, ma non è detto che arrivino, perché i naufragi sono all’ordine del giorno.

Perché ha scelto, tra le tante, la storia di Ibrahima?

Perché aveva un tratto distintivo rispetto alle altre. Lui in Europa non voleva venirci, sognava di fare il camionista a casa sua. Se è partito, è stato solo per cercare il fratello più piccolo, che ancora bambino, aveva deciso invece di tentare la grande avventura.

Ibrahima e Alhassane rappresentano quindi le due facce del problema migrazioni. Liberi di restare, liberi di partire. Sarà mai possibile fare in modo che questa scelta sia veramente libera e non comporti, in un caso o nell’altro, il pericolo di morte, anche se per cause diverse?

Allo stato attuale ho l’impressione che non vi sia nessuna possibilità vera di scelta. E che questa libertà, su cui tanto si dibatte in Europa, resti un mero slogan. Così come l’altro: aiutiamoli a casa loro. Se davvero c’è questa intenzione, la si metta in atto. Invece, spesso la politica migratoria europea si riduce a dare soldi a chi blocca i migranti, detenendoli come avviene in Libia in campi di vera e propria prigionia e di fatto favorendo i trafficanti di esseri umani.

Insomma, l’Occidente ha ancora il suo “cuore di tenebra”, come diceva Joseph Conrad...

Ho letto quel libro. Il contesto storico è diverso, ma la mentalità di tenebra esiste ancora ed è propria di chi divide il mondo in due. Quelli che hanno diritto di vivere e quelli che non ce l’hanno. È questa la mentalità da cambiare.

Ed è questo anche ciò che chiede il Papa. Lei e Ibrahima siete stati ricevuti da lui, dopo l’uscita del libro. Come è stato quell’incontro? Ricordo che all’inizio eravamo emozionati e tesi. Ma Francesco ci ha messo a nostro agio. Lui aveva incontrato da poco il presidente Macron e ci ha detto la sua sulla politica migratoria, sulla necessità di far arrivare in sicurezza chi fugge da situazioni di pericolo. Ma abbiamo anche parlato di calcio e altri argomenti. Papa Francesco è davvero speciale, capace di grande empatia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Lo scrittore basco è intervenuto a una serata a Caserta Vecchia: «Per ora la scelta di restare o di partire è solo un bello slogan della politica europea».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: