Dall’intervento dell’arcivescovo Redaelli alle riflessione dell’Agesci e delle altre realtà educative. Tavoli di lavoro (riservati) da parte degli esperti e accoglienza delle persone. Un cammino che incoraggia speranza e suscita dibattiti. Quale svolta per la pastorale? Ecco il punto della situazione, l'analisi di un vescovo e a alcune lettere ad Avvenire
di Luciano Moia
La vicenda del capo scout della parrocchia di Staranzano (Gorizia) che ha scelto di rendere palese la sua omosessualità contraendo un’unione civile con il proprio partner, risale al giugno scorso, ma ancora continua a suscitare interrogativi e perplessità. Il caso si è dilatato dopo la lettera aperta dell’arcivescovo di Gorizia, Carlo Maria Redaelli, che, nelle settimane successive, ha affrontato la questione offrendo alcuni criteri per il discernimento. In particolare il presule, spiegando che sarebbe fuorviante alla luce di una corretta visione della fede cristiana, attendersi «indicazioni normative vincolanti per ogni questione e per ogni circostanza», ha sollecitato l’Agesci e le altre realtà ecclesiali di carattere educativo «a giungere ad alcune indicazioni condivise e sagge». Un auspicio che da Gorizia si è riverberato immediatamente, con tutta la difficoltà e la delicatezza del caso, sul piano nazionale, perché sarebbe curioso che gli scout assumessero una determinata posizione nel Triveneto e un’altra, magari di segno opposto, in altre parti d’Italia. Allo stesso modo è stata sottolineata la necessità di una posizione univoca anche da parte delle altre realtà educative – parrocchie, associazioni, movimenti, gruppi legati a congregazioni e istituti – che si trovano ogni giorno a fare i conti con tematiche nuove, o comunque oggi sempre più presenti nella realtà sociale, da consigliare forme rinnovate di accompagnamento e di formazione anche per gli stessi educatori.
Sul tema si sono svolti alcuni incontri informali, altri sono programmati nelle prossime settimane, anche con la partecipazione di esperti autorevoli, vescovi e specialisti del settore. Non ne diamo conto perché è opportuno che questi confronti si svolgano in modo riservato e che i partecipanti possano esprimersi in modo aperto e franco, come esige l’importanza e la complessità del tema, senza alcun rischio di strumentalizzazione e senza clamori mediatici. È bene dire subito che nessuno sta riscrivendo la dottrina morale a proposito della sessualità e che non esiste alcuna commissione segreta, come si continua a ripetere erroneamente a proposito di Humanae vitae. Qui non ci sono ricette precostituite, non c’è un progetto pastorale pronto all’uso da applicare in modo automatico. Nell’articolo qui di seguito, il vescovo di Parma, Enrico Solmi, che è stato presidente della Commissione episcopale per la pastorale familiare e ha coordinato alcune esperienze diocesane sul tema, offre alcune coordinate perché le proposte di accompagnamento risultino pienamente evangeliche. Grazie al cielo sono ormai tante, sia quelle ufficiali sia quelle portate avanti riservatamente, le buone esperienze a livello locale che offrono vicinanze e aiuto alle persone che lo desiderano. Perché nella Chiesa azione e riflessione non sono mai disgiunte.
Il punto di partenza, come Solmi stesso spiega, è il punto 250 di Amoris laetitia. Occorre tenere presente quello che il Papa dice, ma ancora di più quello che non dice, forse più complesso e impegnativo. L’affermazione chiara è che «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispetta nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare "ogni marchio di ingiusta discriminazione". E inoltre che alle persone omosessuali vanno assicurati gli aiuti necessari «per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita». Ma a questo punto – a differenza dei precedenti documenti vaticani sul tema – non c’è alcun giudizio etico sui comportamenti omosessuali. Sia la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali (1986), sia il Catechismo (1997), dopo la sollecitazione all’accoglienza e al rispetto delle persone, esprimevano l’«oggettivo disordine» degli atti. Francesco non lo fa. Difficile pensare a una dimenticanza, ma sarebbe sbagliato concludere anche in senso opposto, come una sorta di via libera. Molto più semplicemente il Papa invita al discernimento e alla riflessione. Quello che anche noi ci proponiamo di fare, pubblicando alcune tra le lettere giunte in redazione sull’argomento. Pareri di segno opposto e di tono diverso che esprimono comunque il desiderio di approfondire e di conoscere meglio un tema che, per la sua valenza umana e quindi pastorale, non può essere liquidato con una formula valida per tutte le occasioni e per tutte le situazioni.
L’analisi - Chiesa e omosessualità. «Vie nuove e prudente audacia»
Il vescovo Solmi: giusto accompagnare, accogliere, sostenere. «Nelle nostre diocesi sono già presenti gruppi di famiglie che condividono esperienze di accoglienza». In queste realtà c’è «una potenzialità ecclesiale». Ma non per riscrivere dottrina e morale
di Enrico Solmi, vescovo di Parma
Sulla scia di Amoris Laetitia, molte Chiese locali propongono iniziative diverse per "assicurare un rispettoso accompagnamento" alle "famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori, né per i figli". (AL 250).
Anche ammettendo ritardi e la constatazione che la comunità cristiana - laici e pastori - a volte non è stata esente da pregiudizi e giudizi superficiali, si riscontra - ieri come oggi - la volontà di un ascolto sia nel sacramento della Penitenza, che nel consiglio spirituale da parte dei pastori. Un’attenzione che si è estesa ai numerosi Centri di Consulenza Familiare, usufruendo anche dell’operato di personale professionalmente qualificato, senza comunque far mancare la figura del consulente morale, del presbitero al quale, a volte, la famiglia si rivolge per cercare o condividere un quadro di insieme, una lettura valoriale e di senso.
Questa offerta, rivolta sia alle famiglie che anche alle persone con orientamento omosessuale, costituisce una prima proposta che, già presente nelle nostre diocesi, si è unita ora ad una forma particolare di "rispettoso accompagnamento" che si sta realizzando con la nascita di gruppi di famiglie che hanno riscontrato al loro interno un membro, spesso un figlio, con tendenza omosessuale.
A volte è una proposta che viene dalla Chiesa, altre volte nasce per esigenza di alcuni genitori preoccupati per la fede e la vita dei loro figli. Particolare è il momento nel quale hanno rivelato di "essere omosessuali" e ognuno, al riguardo, ha un suo tragitto e una sua storia. Diversi ne parlano come di una liberazione, la possibilità di costruire un nuovo rapporto con il figlio; altri addirittura come il "giorno più bello", forse mascherando o trattenendo una sofferenza che rimane anche, alcuni lo rimarcano, per una scarsa considerazione che hanno avuto nel mondo ecclesiale, del quale trasmettono esperienze o rivelano esternazioni di preti che li hanno feriti. Stare insieme è conforto per condividere queste situazioni ed aiutare altri che le stanno patendo.
Per la sensibilità e la delicatezza della condizione, tale gruppo richiede di essere omogeneo nei suoi partecipanti, cioè di non annoverare contemporaneamente i figli e coppie omosessuali e singole persone con orientamento omosessuale. Lo scambio deve essere facilitato da un clima di accoglienza nel quale ognuno possa essere libero di esprimersi, o di tacere secondo il suo sentire interiore, sicuro che non sarà contraddetto e ancor meno giudicato.
Particolarmente delicata è la funzione di guida del gruppo, che può essere affidata a persone che abbiano già vissuto un’esperienza simile e che l’abbiano in qualche modo già rielaborata. Forse talora è auspicabile una guida esterna o quanto meno un’equipe, che comprenda figure esperte nella conduzione di gruppi con situazioni delicate e complesse. Risulta fondamentale saper discernere la propria condizione, per non lasciarsi andare ad una sorta di "messianismo" nel quale diventare fautori di tante iniziative, anche se è importante sia per loro che, nelle forme dovute, per la comunità cristiana, poter testimoniare la propria esperienza e promuovere un nuovo approccio pastorale. Anche i temi da affrontare sono rilevanti. Il gruppo ha primariamente lo scopo di accogliere, condividere, sostenere. C’è pertanto la condivisione delle esperienze, la ricerca di forme di sostegno, alla luce della parola di Dio che può essere una Presenza continua, pregata con le semplici, ma necessarie, modalità di una sorta di lectio domestica, che si pone queste domande sul testo: cosa dice? Cosa ci dice? Cosa ci chiede? Un semplice ed essenziale percorso, ma veramente necessario, in un contesto che talora vede tentativi di rilettura della Scrittura in chiave gay e che, come tali, rischiano di fuorviarne il senso come è già accaduto per altre interpretazioni particolari.
Possono nascere domande su temi monografici, richieste più precise, che è bene elencare, sottoporre al giudizio del gruppo perché siano affrontate anche con l’aiuto di un esperto se necessita, o con un’ autoformazione che avrà cura di non essere troppo sbilanciata. Infatti il gruppo, anche se al suo interno ci possono essere critiche alla Chiesa e al suo - vero o presunto - insegnamento morale, non ha il compito di "riscrivere la dottrina e la morale" ( AL 251), ma primariamente di condividere, conoscere, attingere alla parola della Chiesa, invocando la luce dello Spirito Santo. Da questo confronto possono nascere approfondimenti e suggerimenti nuovi.
Da qui emergono anche le potenzialità ecclesiali del gruppo stesso. Può legittimamente configurarsi come un gruppo spontaneo di credenti che invita al suo interno un presbitero, il parroco se è su base parrocchiale o inter parrocchiale, una persona consacrata; o è un gruppo che ha raggiunto una maturità tale da potersi presentare al Vescovo perché sia da indicare alle famiglie o di riferimento per questa pastorale; oppure un gruppo che nasce come diocesano e che si propone, fin da subito, accanto al sostegno, anche una finalità pastorale. Tutte queste tipologie si misurano sull’effettivo senso di Chiesa e sulla capacità, anche sofferta, di formulare domande, di suggerire attenzioni, di proporre percorsi per l’intera comunità ecclesiale. Possono costituire un aiuto significativo per una nuova pastorale rivolta a queste famiglie e alle stesse persone con orientamento omosessuale. Cresce così la coscienza di essere un tutt’uno con la comunità cristiana che - anche grazie al loro contributo - con l’onestà si verifica e con prudente audacia cerca e prova vie nuove.
Un simile lavoro chiede a tutti umiltà vera. La capacità di scalzarsi i piedi davanti al mistero della persona e della sua storia, come fece Mosè di fronte del Roveto Ardente, passaggio necessario per ritornare in Egitto e liberare il suo popolo, non con la sua giustizia, ma con la Giustizia di Dio.
La Chiesa vuole ancora oggi fare così per conformare "il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni" ( AL 250).
Le lettere
La persona va sempre compresa e rispettata
Caro Direttore,
siamo un gruppo di giovani e adulti che vi segue con interesse anche se talvolta facciamo fatica a stare al passo. Non vorremmo essere pedanti, ma riflettere ancora una volta sul caso del capo-scout che si è sposato civilmente con un altro uomo. Siamo ormai genitori e alcuni di noi educatori, convinti di essere “scolari” alla scuola di Gesù e della Chiesa. E in questo Avvenire è di grande aiuto.
Abbiamo seguito fin dall’inizio il caso del capo scout gay. Nessun problema sul suo orientamento: come insegna anche papa Francesco, “chi sono io per giudicare” un orientamento! E comunque sia, come già spiegava il Card. Ratzinger nel documento relativo alle persone con orientamento omosessuale, questi vanno accolti e inseriti, perché la persona umana va sempre accolta e rispettata per la sua dignità. Di questo siamo profondamente convinti, e anche attraverso il vostro giornale questo è emerso chiaro all’inizio. Poi, come dicevamo anche sopra, talvolta è difficile starvi dietro perché gli articoli su questo “caso” sono usciti pian piano e sembra che ogni articolo facesse storia a sé, mentre era inserito in un percorso più ampio al quale voi avete dato voce a tutti. In questi giorni ci siamo ritrovati tra noi amici e abbiamo cercato di fare una sintesi che vorremo condividere con lei e i suoi lettori, sperando di aver colto il messaggio nella sua interezza, dopo aver seguito l’articolato confronto su Avvenire e letto alcuni documenti
Una persona con orientamento omosessuale è parte integrante della Comunità cristiana: nulla e nessuno può allontanarlo, salvo scandalo pubblico che non significa eliminare la persona, ma “guadagnarla per altra via”. In questo stato, se non c’è nulla che possa turbare la Comunità, l’interessato può svolgere ogni attività e servizio. Come, d’altronde, avviene per un qualsiasi laico o laica eterosessuale che sia.
Nel caso la persona decidesse di intraprendere l’esperienza di una convivenza o, adesso, di un’unione civile, subentrerebbero le regole già ben codificate per le eventuali coppie eterosessuali che intendessero andare a convivere: non potrebbero accostarsi ai sacramenti (tenendo conto comunque che uno che entra in confessionale nessuno sa se si confessa o solo chiede consigli e una benedizione, che già fa bene); non può – così almeno vale per i conviventi eterosessuali o divorziati risposati – fare il catechista, l’insegnante di religione e l’educatore in forma diretta con i ragazzi: si partecipare all’equipe animatori, sì affiancarsi per un’attività, ma non educatore in forma diretta nei riguardi dei ragazzi. Questo vale per le coppie eterosessuali che scelgono la convivenza o solo il matrimonio civile, crediamo che, se abbiamo capito, che questo valga anche per le coppie omosessuali, visto che si tratta di una unione civile. È vero, raccontano alcuni nostri amici eterosessuali che non possono accostarsi ai sacramenti, che è difficile restare esclusi da alcuni momenti, ma in cuor loro si sentono sereni perché in “ascolto” di quanto la Chiesa chiede-suggerisce loro: questa testimonianza ci ha sempre edificato e rafforzato anche nel nostro cammino. Poi, come questi nostri amici c’insegnano, c’è sempre l’ascolto della Parola di Dio, il servizio della carità, la possibilità di operare in vari ambiti in parrocchia (consiglio affari economici, caritas, missioni...): insomma, se da una parte non si può accedere, c’è sempre un’opportunità dove esprimere la loro gioiosa e convinta fede. Infine, scusi la lunghezza, i nostri amici dicono: “Noi ascoltiamo-aderiamo alle indicazioni della Chiesa, che è Madre e Maestra: al massimo, un giorno in Cielo, sarà lei a dover rispondere al buon Dio se ha fatto bene o meno nel non permetterci di accostarci ai sacramenti!”. Crediamo che questa espressione e ancor più questo orizzonte aiuti a guardare alle cose da un’angolatura diversa. Che fa star bene tutti.
In fondo, a ben pensarci, nell’invitarci ad abitare le periferie del mondo, crediamo che il Papa non intenda solo le “periferie fisiche” delle città, ma anche e soprattutto quelle periferie umane troppo spesso poco “abitate” dalla nostra attenzione, cordialità e disponibilità nel cercare di comprendere. Sarebbe bello, parafrasando un passo biblico, “fare tre tende e restare lassù” dove tutto è perfetto, ma Gesù ci rimanda giù, ci rimanda nelle periferie esistenziali per poter tutti insieme ritrovarci sul monte della Verità e dell’Amore.
Ancora grazie, Direttore, per il suo servizio e, speriamo, per l’ospitalità di questa lettera.
Michele Camponogara e Elena Della Bianca di Concordia Sagittaria, Antonio Vendrame e Bruna Bozza di Concordia Sagittaria,
Elisabetta Zattin di Sesto al Reghena, Francesca Bertolazzi di Portogruaro, Luisella Saro di Portogruaro
Non è caritatevole nascondere la verità. Il catechismo invita anche i gay alla castità
Caro Direttore,
il 12 Luglio e il 20 Agosto scorso Luciano Moia, su Avvenire, ha presentato in modo sintetico, ma chiaro, la situazione che si è venuta a creare a Staranzano (Gorizia), dove un Capo scout omosessuale è rimasto al suo posto anche dopo aver celebrato una unione civile col suo compagno. Il parroco lo ha invitato a dimettersi, ma il suo Vice(direttore spirituale del gruppo) e i dirigenti dell'Agesci del Friuli-Venezia Giulia si sono opposti. Il Vescovo di Gorizia, dal suo canto, ha voluto evitare "un intervento autoritario dall'alto" e ha invitato la comunità a far discernimento, per arrivare a indicare criteri validi, largamente condivisi, per l'educazione dei giovani alla affettività e alla sessualità. Un procedimento che, però, richiede tempi lunghissimi. Luciano Moia non ha preso posizione sulla vicenda; si è limitato, nelle ultime due righe di un trafiletto pubblicato il 12 Luglio, ad accennare all' art.251 dell' Amoris laetitia, dove si dice che "non esiste alcun fondamento per equiparare matrimonio e unioni gay".
Il 2 Settembre, poi, Avvenire ha ospitato,anche questa volta senza alcun commento, un intervento di Aurelio Mancuso, che si definisce "credente gay", dice di essere stato benedetto in Chiesa da un amico sacerdote insieme al suo compagno, col quale annuncia che celebrerà nel 2019 l'unione civile.
A questo punto, vorrei dar voce ai tanti "piccoli", come me, che potrebbero entrare in crisi: ci siamo distratti? Ci è sfuggito qualcosa? Questa estate la Chiesa ha deciso di "benedire" le nozze gay? Se non è così, restano valide le indicazioni contenute nell'Amoris laetitia e in altri importanti documenti che,soprattutto dopo il pensionamento, mi son preoccupato di conoscere e mettere in pratica. Ho sempre avuto il massimo rispetto per le persone con tendenze omosessuali,come raccomanda anche il Catechismo della Chiesa Cattolica(n°2358) e ritengo che abbiano bisogno di avere vicino amici disinteressati che li aiutino a superare le oggettive difficoltà in cui si trovano a causa della loro condizione. Sì,perchè sono chiamati alla castità, come dice il n°2359(ma anche i fidanzati eterosessuali e, in certi momenti, perfino i coniugi sono chiamati alla castità). E non credo che sia caritatevole, nei loro confronti,nascondere la verità, che è espressa in modo inequivocabile nello stesso documento, al n° 2357, dove si dice:"la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati...In nessun caso possono essere approvati".
Il Vescovo di Gorizia ha invitato la comunità al discernimento, di cui si parla ampiamente nell'Amoris laetitia. Mi pare, però, che nei due casi di cui ci stiamo occupando manchino tutte le condizioni che Papa Francesco indica perchè il discernimento porti i fedeli coinvolti a "evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza" (A.L. n° 293): infatti,manca la consapevolezza della "irregolarità" della loro posizione, come pure la "sincera riflessione" che deve orientare "questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio". Si invoca la misericordia, ma si dimentica che il "discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità (oltre a quelle) di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa".Si ignora "il grave rischio di messaggi sbagliati, come l'idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente "eccezioni", o "che la Chiesa sostenga una doppia morale" (A. L. n° 300).E' evidente, inoltre, che nelle situazioni di cui stiamo discorrendo sono particolarmente illuminanti le parole di Papa Francesco:"Se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell'ideale cristiano,o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa...ha bisogno di ascoltare nuovamente l'annuncio del Vangelo e l'invito alla conversione"(A. L. n°297).
Gentile Direttore, se ritiene che le mie osservazioni siano sbagliate, o fuori luogo, le sarò molto riconoscente se vorrà aiutarmi a capire in che cosa ho sbagliato, in modo che possa rapidamente emendarmi. La saluto cordialmente
Alberto Palmas
Non voglio giudicare le persone, ma i loro atti sì
Caro Direttore,
dopo aver letto il pezzo di Luciano Moia “Scout gay, un caso da affrontare”, apparso sull'edizione di domenica 20 agosto, sono rimasto perplesso. Il giorno dopo, una nuova lettura dell'articolo ha trasformato la perplessità in rammarico. Quando Moia scrive che “Non si tratta solo di stabilire se il capo scout in questione abbia offerto una testimonianza di vita coerente con i valori dell’associazione e quindi con la proposta cristiana sul matrimonio e sulla famiglia, ma anche di riflettere in modo responsabile sull’efficacia di una proposta educativa a proposito di affettività e sessualità che dev’essere probabilmente riformulata e riattualizzata, a partire dalla riflessione più ampia che tutta la comunità cristiana vuole e deve fare”, evita di dire una cosa necessaria – che, cioè, la testimonianza di vita del capo scout non è coerente con i valori della Chiesa e, quindi, dello scoutismo cattolico – e ne dice una molto vaga, che si presta a molti equivoci – cosa significa esattamente riformulare e riattualizzare la proposta in merito ad affettività e sessualità?
Temo che, spesso, la categoria del “discernimento” che papa Francesco continuamente di propone sia utilizzata per dire e contemporaneamente non dire, per tenere il piede in due scarpe: qui, invece, occorre affermare chiaramente che l'unione civile omosessuale del capo scout contrasta con l'insegnamento della Chiesa. Che, naturalmente, questo non significhi minimamente gettare discredito sulla persona o permettersi di giudicarla tout court, dovrebbe essere una cosa tanto ovvi da essere superflua. Ma gli atti, invece, vanno giudicati, pena il rinunciare a una parte fondamentale della nostra capacità di ragionare (e della nostra umanità).
Per questo, caro Direttore, chiedo a Lei e a Luciano Moia: qual è la vostra posizione (e quella del quotidiano) sul gesto da cui tutta la vicenda ha avuto inizio? Mi fa male, infatti, anche solo essere sfiorato dal dubbio che il nostro giornale, per un malinteso senso di prossimità umana, rinunci a dire la verità, unica meta di ogni vero discernimento.
Matteo Coatti
Nostro figlio omosessuale accolto con grande gioia
Gentile Direttore,
Le scriviamo come genitori di tre figli e nonni di cinque nipoti e quindi anche suoceri, rallegrati dall’articolo di Luciano Moia comparso nell’inserto mensile di “Noi famiglia & vita” in cui scrive della pari dignità di fronte a Dio di ogni orientamento sessuale. Sì, siamo rimasti rallegrati, perché è quanto accade nella nostra vita, nel nostro cuore, alla nostra tavola, dove il figlio omosessuale è accolto con pari gioia e dignità tanto quanto gli altri figli, la nuora, il genero, i nipoti. Alla nostra tavola tutti loro sono attesi; tutti possono mangiare; tutti hanno diritto di parlare; tutti hanno il dovere di ascoltare, tutti hanno diritto alla felicità, per tutti si fa festa. E quanto dispiacere se uno solo manca!
Se così avviene a casa nostra, nel nostro povero cuore quanto mai pensiamo possa accadere nel cuore del Padre che non vede giudei o greci, schiavi o liberi, bianchi o neri, etero o omosessuali, ma solo….. figli ! E su ognuno di noi, su ognuno dei suoi figli, ripete le parole:” Tu sei il figlio mio, l’amato. In te ho riposto il mio compiacimento”. Se questo è il cuore del Padre, chi siamo noi per pensare o per agire diversamente? La gioia del Padre, la gioia di ogni padre è davvero quella di vedere tutti i suoi figli radunati intorno alla stessa tavola, con la medesima dignità di figli, con la medesima gioia, affinché tutti si sentano accolti e nessuno vada perduto.
Questo davvero preme al cuore di ogni padre : che nessuno vada perduto e che tutti siano felici.
Corrado e Michela Contini, genitori di Parma
Quel caso non è “delicato”, ma fuori dalle regole della Chiesa
Caro direttore,
Ho i miei anni, essendo lettore di Avvenire dai tempi di La Valle. Mi affascinò il Concilio, vissuto nella prima sessione in Germania. Grandi aperture, grande respiro, ma nella chiarezza delle “regole” e fuori dalla fumosità del linguaggio. Cosa vuol dire che il caso “è delicato e complesso” a proposito del caso scout di Gorizia? E il vescovo che scrive: “Si è di fronte a questioni nuove e complesse circa le quali la riflessione ecclesiale e ancora iniziale o comunque non ancora matura …” Mi fermo, ma la prego di dirmi se sono fuori strada. Ma i comandamenti ci sono ancora? Rubare è ancora rubare ? Fornicare è ancora fornicare o basta un certificato in Comune per sistemare tutto sul versante della morale cristiana? Essere omosessuale , come tendenza, non significa essere fuori dalle regole, così come lo status di celibe e nubile… Lo si è fuori se si esercita la sessualità in modo anomalo. O sto sbagliando?
Mi pare che il Papa richiami con forza che la famiglia è quella tra uomo e donna Credo di aver camminato diritto nella vita e nella professione grazie a quanto mi avevano insegnato i miei preti, non per nulla di retroguardia. Cordialità.
Lettera firmata
Grazie per il vostro coraggio. Ma quanti gay accolgo in confessionale
Egregio Direttore,
plaudo al fatto che il suo giornale parli di omosessualità in modo tale da fornire uno spunto per mettere meglio a fuoco la situazione di queste persone. Prima con l’articolo di Luciano Moia, poi con il racconto dell’esperienza di Aurelio Mancuso. Purtroppo è un argomento tabù nei nostri ambienti, almeno qui in Italia, non se ne parla, ma “segna” ed è un dramma per molti genitori e figli e figlie che si trovano in una simile situazione: emarginati anche dalla chiesa! Ed è vero!!!! Mi sono reso conto di ciò, perché da quasi quattro anni esercito il ministero della riconciliazione nella cattedrale di una grande città. Può ben immaginare in un ambiente del genere, con tanto anonimato e possibilità di scelta a quasi ogni ora del giorno, vengono persone da ogni provenienza con questo … “fardello” dell’omosessualità. Ho chiesto al mio vescovo che scelga un suo prete per lo studio della problematica e l’accoglienza di queste persone. L’effetto Francesco non può fermarsi all’Urbe, ma deve giungere anche la periferia, anche se non mancano delle resistenze … Grazie. Fraternamente,
Lettera firmata
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