L'incontro nella biblioteca del Pontefice nel Palazzo apostolico con la delegazione dei vescovo siciliani - Vatiican Media
Due ore e mezzo di dialogo fra il Papa e i vescovi della Sicilia. Dalle nove e mezzo del mattino a mezzogiorno. «Il Pontefice ci ha posto domande e ha risposto alle nostre. E ci ha espresso il suo pensiero su molte questioni: dall’iniziazione cristiana alla legalità, dai migranti al ruolo delle madrine e dei padrini, dai giovani e famiglie alla formazione del clero», racconta il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, presidente della Conferenza episcopale dell’isola. È stato il primo momento (e quello centrale) della Visita ad limina dell’episcopato siciliano che è tornato a incontrare il Papa e la Curia romana, riunendosi in preghiera sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, a distanza di oltre dieci anni dall’ultima Visita nell’Urbe: la precedente era stata all’indomani dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio nel 2013. I presuli delle 18 diocesi sono rimasti a Roma da lunedì 29 aprile a venerdì 3 maggio. «Abbiamo portato il volto di una Chiesa che accanto a semi di speranza mostra tutta la sua preoccupazione per la situazione che vive il nostro territorio e per le contraddizioni che segnano la Sicilia attuale – spiega Raspanti –. A cominciare dalla piaga dello spopolamento, altro tema al centro del colloquio con il Papa. Ormai è fortemente negativo il bilancio fra nascite e “fughe”. Abbiamo paesi dell’entroterra che sono in gravissima difficoltà: penso a quelli dove gli abitanti sono scesi da 10mila a 4mila. Si emigra per studiare e perché uno dei problemi ancestrali rimane quello del lavoro che non c’è. Ne sono ben consapevoli anche i migranti che sbarcano lungo le nostre coste: anche loro cercano luoghi che garantiscano benessere e occupazione; quindi se ne vanno dalla Sicilia».
Eccellenza, un bilancio dell’incontro con Francesco che ha aperto la Visita ad limina.
L’abbiamo trovato il Papa attento e felice di discutere sulle sfide e sulle criticità dell’isola. L’appuntamento si svolto in un clima molto cordiale e familiare.
L’impegno per la legalità è tema caro a Francesco che a Palermo è venuto nel 2018 per i 25 anni dall’uccisione del beato Pino Puglisi, martire di mafia.
Il Papa ci ha chiesto di fare il punto. Secondo le nostre conoscenze, abbiamo raccontato la mutazione dell’approccio mafioso: siamo passati da quella che veniva chiamata la “fase stragista” che molti considerano conclusa con l’arresto di Matteo Messina Denaro a una nuova fase ben più sottotraccia ma che comunque si traduce ancora in una permanente presenza della criminalità organizzata sotto forme diverse nelle nostre terre. Come Chiesa abbiamo maturato una più lungimirante attenzione a estromettere ogni eventuale connessione fra Vangelo e mafia. Perché va ribadita e assicurata una netta cesura fra l’organizzazione criminale e la comunità cristiana. Occorre vigilare in particolare sulle possibili infiltrazioni all’interno della religiosità popolare o delle confraternite. Poi stiamo favorendo la collaborazione con le forze dell’ordine e con le scuole per educare a una nuova mentalità. Il tutto senza abbandonare l’annuncio del Risorto anche ai mafiosi con la richiesta di un radicale cambiamento di vita e di una profonda conversione.
Flussi migratori. Nel 2013 il primo viaggio di papa Francesco è stato proprio in Sicilia, a Lampedusa, punto d’approdo per chi fugge da guerre, miseria, violenza, ingiustizie.
Il Papa ci ha ringraziato esplicitamente per ciò che facciamo per l’accoglienza ma ci ha anche chiesto se procede l’integrazione. Abbiamo risposto che la maggioranza dei migranti considera la Sicilia solo un corridoio di transito verso il resto d’Europa. Da noi restano in pochi anche a causa della povertà del tessuto economico-sociale.
Avete descritto anche lo spopolamento. Un fenomeno che influisce sulla vita della Chiesa?
Enormemente. Oggi le comunità sono sempre più costituite da persone anziane che tra l’altro sono spesso sole. Abbiamo carenza di collaboratori pastorali nel campo educativo: dai catechisti agli animatori di oratori. Erano donne e uomini dai 25 ai 40 anni che hanno lasciato la Sicilia per motivi di studio o di lavoro. Poi si sta riducendo il numero delle famiglie che in genere sono fra i “motori” delle parrocchie. Sappiamo che questo avviene anche in altre regioni d’Italia. Ma da noi, ad esempio, la migrazione dei laureati è una perdita secca che accentua la mancanza di cultura di impresa, la scarsità di occupazione, le difficoltà di progettualità. Fattori che non aiutano la Sicilia a uscire dagli ultimi posti delle classifiche in cui ci troviamo.
Quali le “buone notizie” che offrono le Chiese della Sicilia?
Anzitutto, quella sui seminaristi. Il numero è diminuito rispetto alla precedente Visita ad limina ma non è crollato. In alcune diocesi, come la mia, si è abbassata anche la media dell’età. Ciò significa che avremo, sì, meno preti ma più giovani. Poi le nostre Chiese hanno un forte legame con le terre di missione, soprattutto con l’Africa e l’America Latina, e hanno creato ponti di carità e assistenza che coinvolgono sacerdoti e laici inviati nelle nazioni del sud del mondo. Questo è stato molto apprezzato dai Dicasteri vaticani. E ancora la pietà popolare: non solo tiene ma coinvolge i giovani, come raccontano molte confraternite. Non si tratta di folklore ma di una “scuola” di vita capace di coniugare fede e cultura locale.
Dopo i colloqui con il Pontefice e con gli organismi della Curia Romana, come si torna in diocesi?
È necessaria una restituzione che comporterà sia un percorso di riflessione, sia uno di ripensamento. La priorità rimane l’annuncio del messaggio di salvezza. Facciamo fatica a proporlo. I linguaggi cambiano e non sempre siamo in grado di intercettare quelli nuovi che parlano i giovani. Ma stentiamo anche ad avvicinare gli adulti. Ecco perché c’è bisogno di un rinnovato slancio missionario.
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