Lo scambio di regali tra papa Francesco e il presidente Zelensky - Fotogramma
A chi dice che il colloquio tra il presidente ucraino Zelensky e papa Francesco abbia dato esiti al di sotto delle aspettative, rispondono una serie di affermazioni nelle cui sfumature si colgono i passi in avanti. Lo fanno in particolare le testate ucraine più vicine al governo, che segnalano come il ruolo di papa Francesco possa sbloccare alcuni tra i più difficili dossier umanitari.
A tal punto a far sapere all’opinione pubblica locale che non è del Papa che bisogna preoccuparsi, ma di alcuni esponenti politici italiani per il loro passato di relazioni privilegiate con il Cremlino e il presente fatto da ambiguità. «I politici di destra in Italia hanno fatto commenti filo-russi nel corso degli anni – si legge su diverse testate, – con Meloni che ha parlato positivamente della vittoria elettorale del presidente russo Putin nel 2018. L’ex leader Silvio Berlusconi conosceva bene Putin e lo frequentava, mentre il vice primo ministro Matteo Salvini ha sostenuto la Russia e si è opposto agli aiuti militari all’Ucraina».
Anche in tempo di guerra sono gli umori degli elettori a condizionare le scelte dei leader politici. E il giorno in cui il presidente ucraino è volato a Roma per incontrare di persona papa Francesco, con il quale i contatti nell’ultimo anno erano stati soprattutto telefonici o per via diplomatica, i collaboratori del «comandante in capo» ucraino gli hanno consegnato i risultati di un sondaggio.
Lo ha confezionato il “Centro Razumkov” secondo cui alla data del 13 maggio solo il 9,2% degli ucraini sosterrebbe un’iniziativa per la pace «a qualunque costo». Il dato che non rassicura la leadership ucraina è la scarsa considerazione della popolazione per l’operato del Pontefice. E non è un caso che subito dopo il colloquio in Vaticano lo stesso Zelensky abbia voluto far sapere che lo scambio di idee e proposte con il Papa potrebbe dare «risultati storici», a cominciare dal riportare a casa i bambini deportati in Russia e a cui è stata concessa, in violazione del diritto internazionale, la cittadinanza di Mosca.
La domanda rivolta al campione di popolazione conteneva un errore. Viene infatti attribuita al Pontefice l’iniziativa per fermare la guerra al prezzo di una resa di Kiev. Circostanza criticata anche da media come il seguitissimo Kyiv Independent che sottolinea come «in realtà il Papa non ha detto che la pace dovrebbe arrivare ad ogni costo», ma che è disposto «a fare tutto il possibile» per fermare la guerra. Il 36,2% degli ucraini intervistati ha detto che «non sa nulla» della posizione di Francesco sul conflitto. Quasi il 24% si è detto «offeso» dal fatto che il Papa «creda che anche i russi siano vittime della guerra», mentre il 14,1% non considera «significative» le osservazioni di papa Francesco sull’Ucraina, e quasi un intervistato su dieci ritiene che «il Papa lavora nell’interesse del Cremlino».
Secondo diversi osservatori citati dalla stampa locale, questo dimostrerebbe come «la maggior parte degli ucraini o non è d’accordo con la posizione del Papa sulla guerra, o non la conosce o la trova irrilevante». Nonostante le differenze si profila un gioco di sponda a fini umanitari. In Ucraina sono due gli effetti della guerra che alla popolazione tolgono il sonno più delle sirene: la sorte dei bambini deportati e quella dei prigionieri.
Su entrambi è impegnato personalmente proprio papa Francesco. Ed è stato Zelensky a rimarcarlo nelle consuete dichiarazioni di fine giornata: «Ho incontrato papa Francesco. Spero che questo colloquio abbia conseguenze storiche per l’Ucraina. In particolare, per quanto riguarda il ritorno a casa dei bambini». Parole che di fatto rilanciano la percezione e il ruolo del Papa e della Chiesa cattolica in Ucraina e che possono correggere, più che l’esito di un sondaggio, la traiettoria della guerra.