Le macchine parlano. Le macchine dialogano. I LLMs (Large Language Models) di cui ChatGPT o Dall-e sono i più noti e socializzati esempi stanno radicalmente cambiando l’approccio ai sistemi di Intelligenza artificiale (AI) e accendono l’interesse di un largo pubblico che, provandoli, si sorprende delle loro capacità. Il loro arrivo ha accelerato la sensibilità pubblica su questi temi – pensiamo all’intervento in Italia del Garante privacy – e riacceso l’interesse per i sistemi di AI nelle imprese che, dopo un periodo di stagnazione, rivela una impennata di richieste.
Le macchine, dunque, dialogano con proprietà di linguaggio, argomentano, riassumono testi, nell' esperienza dei giovani che incontro nel mio ministero sono un ottimo partner per comprendere le spiegazioni che i docenti non hanno saputo dare o che hanno dato troppo frettolosamente. La macchina non ha coscienza di quello che sta facendo né di quello che sta dicendo, tuttavia sta cambiando molto la percezione, in noi esseri umani, del rapporto con loro. Tra le infinite applicazioni che assaltano le cronache cito quella per me più immaginifica: « L’idea è di arrivare a un punto in cui abbiamo interazioni conversazionali con veicoli spaziali e questi ultimi ci riferiscono di rapporti e scoperte interessanti che vedono nel Sistema Solare e oltre – ha dichiarato Larissa Suzuki, ricercatrice della Nasa –. In realtà non è più fantascienza».
Non mancano, ovviamente, gli abusi, come la creazione di immagini false, pornografiche e quanto altro il male è capace di generare, anche nella metamorfosi digitale. Ivi comprese le app che permettono di chattare con Gesù. Come giustamente si fa notare, la macchina non ha cominciato a pensare: continua a calcolare, solo in modo più sofisticato. Non manca di sbagliare, talora è sgrammaticata, è viziata dal principio di compiacere, per cui, se non sa, inventa, pur di rispondere. Tutto questo ha molto rilievo dal punto di vista pastorale. Non solo per le possibili applicazioni, positive da incoraggiare e negative da segnalare, ma soprattutto per le implicazioni più ampie e generali sulle persone, la percezione di sé, degli altri e del mondo.
Siamo persona per tante ragioni, tra le più importanti è l’essere in relazione con altri da noi stessi, attraverso la parola e il dialogo. Cosa accade a questo elemento portante se il nostro rapporto con le macchine diventa così tanto intimo da poter con loro parlare, con loro confidarci, in loro cercare non solo risposte tecniche, ma risposte più ampie, anche esistenziali? La sfida della pastorale è quella di usare sistemi di intelligenza artificiale per migliorare l’annuncio del Vangelo ma custodendo sempre la differenza umana, non diventando anche noi parte di un movimento confusivo che, dando alla macchina configurazioni troppo antropomorfe, rendano quel rapporto sostitutivo di un autentico rapporto umano che – assumiamo – solo è capace di umanizzarci.
Recenti studi mettono in guardia dal fatto che la macchina, anche perché dialoga, è capace di modificare e manipolare la struttura più profonda del nostro cervello, alla base della creazione del pensiero autonomo e originale. Si ipotizza che esista un nuovo diritto fondamentale da preservare, l’autodeterminazione mentale, luogo delle libertà nella creazione del pensiero. Cosa significa tutto questo per una coscienza credente e il suo manifestarsi o non manifestarsi per nulla? Fare pastorale sì, ma consapevoli sempre più di che cosa stiamo usando per farla.
Apostolato digitale Arcidiocesi di Torino