mercoledì 20 marzo 2024
Parla il presidente della Conferenza episcopale delle Marche, il vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi al termine della visita ad limina. Tra i temi anche la scarsità di vocazioni.
I vescovi delle Marche durante l'incontro con papa Francesco

I vescovi delle Marche durante l'incontro con papa Francesco - Vatican Media

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Il presidente della Conferenza episcopale regionale, Marconi, sulla visita “ad limina”: «Dallo spopolamento delle aree interne alla fuga dei giovani alla scarsità di vocazioni, con Francesco confronto cordiale e senza barriere» «Il Papa ci tiene molto a chiedere alle persone che incontra che preghino per lui. E poi che sentano in lui un cuore che prega per tutti. Incontrarlo mi ha dato, ci ha dato, la sensazione di un nonno che ha i nipoti lontani e che quando i genitori di quei nipoti lo vanno a trovare parlando con loro più volte chiede di portare il suo saluto agli amati nipoti. Lo fa all’inizio, durante ed è la sua ultima raccomandazione. Ecco, questa è l’immagine che ho percepito del Papa tutte le volte che ci ha esortato a portare la sua vicinanza alla nostra gente». Il vescovo di Macerata Nazzareno Marconi, presidente della Conferenza episcopale marchigiana, racconta così l’incontro con papa Francesco con i presuli della sua regione ecclesiastica durante la visita ad limina che si è svolta la settimana scorsa. «La prima sensazione che tutti abbiamo condiviso uscendo dall’incontro di quasi due ore con il Santo Padre – racconta - è stata che ci ha immediatamente messi a nostro agio, c’è stata grande cordialità, grande semplicità nel tratto. Abbiamo avuto conferma che il Pontefice ha una grande capacità di “infrangere” le barriere».

Come avete trovato papa Francesco?

Dal punto di vista della salute la sensazione è che il suo problema fondamentale sia legato alla fatica di muoversi, al dolore che visibilmente ha alle ginocchia. Una volta seduto, quando è cominciato il colloquio, sembrava però di parlare con una persona di vent’anni di meno. Non era affaticato. Ed è stato sempre “sul pezzo”. Capita anche a me di non ricordare un nome o perdere il filo del discorso. In quelle due ore il Santo Padre ha invece mostrato di conservare una memoria di ferro e una grande freschezza di pensiero.

Quali sono i temi trattati nel colloquio?

Il grosso è stato intorno ad una preoccupazione che il Papa ci ha espresso e che condividiamo. In questo momento di grandi cambiamenti, in questo cambiamento d’epoca, come ama ripetere il Santo Padre, c’è una grande diversità tra le generazioni. Il rischio è che non riescano a comunicare tra loro. E che quindi non si riesca a trasmettere la fede. Il Papa ha condiviso questa visione: la fede non è tanto un discorso intellettuale, di contenuti o valutazioni astratte, ma è soprattutto sostanziata di esperienza e di vita. La fede si racconta, non è una teoria da imparare. Ma se i giovani e gli anziani non dialogano tra loro, se i nonni o i genitori non riescono a raccontare ai propri figli o nipoti l’importanza, la necessità della fede per la loro vita, la trasmissione di questa fede si interrompe. E questo problema si riflette anche nella catechesi o nella predicazione.

E il Papa che vi ha detto?

Dialogando abbiamo convenuto che la fede oggi passa quando si fanno esperienze significative, più che quando si fanno lezioni. E il Papa ci ha detto che questo è fondamentale. E per questo ci ha spronato a immaginare, trovare le occasioni per cui i ragazzi possano incontrare la sapienza di vita degli anziani e degli adulti.

La gran parte delle Marche del sud sono state colpite dal terremoto del 2016. Quelle del nord che erano state in parte risparmiate dal sisma, nel 2022 sono state colpite dall’alluvione…

E di mezzo c’è stata la pandemia che ha creato problemi concreti a tutti. Questo è stato un altro tema toccato nel corso del colloquio. Il Papa ha mostrato di conoscere bene questi fatti, e ci ha tenuto che potessimo descriverli con attenzione anche ai dettagli. In particolare è rimasto molto colpito dello spopolamento delle aree interne che gli abbiamo riferito. In dieci anni le Marche hanno perso 72mila persone su un milione e mezzo di abitanti, un’intera cittadina è sparita. E la gran parte di questi sono giovani.

Come si spiega questa emorragia di giovani?

La nostra regione è molto ricca dal punto di vista formativo. Abbiamo ottime università: Ancona, Macerata, Camerino, Urbino. Quindi tanti nostri ragazzi studiano e lo fanno seriamente. In varie discipline. Ma nella nostra realtà locale spesso non trovano uno sbocco lavorativo al loro livello. Così sono attratti dalle grandi città o dall’estero. E quando vanno, siccome sono bravi, non ce li fanno tornare. Questo ha dei riflessi anche nelle nostre comunità cristiane. Formiamo dei ragazzi culturalmente e spiritualmente molto validi, ma non restano. Questa preoccupazione l’abbiamo condivisa con le autorità locali e anche loro si stanno dando da fare. Insomma, la società marchigiana ha questo problema. E ce l’ha anche la Chiesa.

Collegato a questo c’è anche il problema della scarsità delle vocazioni…

Proprio così. Noi siamo una delle regioni più anziane d’Italia. I giovani sono pochi. E quelli che ci sono partono o durante gli anni universitari o subito dopo. Cioè nella fascia di età che oggi è più propizia per una scelta vocazionale. Quindi abbiamo una base ridotta. Una volta le Marche mandavano missionari in mezzo mondo. Pensiamo al maceratese Matteo Ricci. Oggi invece da mezzo mondo arrivano giovani preti che ci aiutano. Una bella risorsa anche se a volte non mancano problemi. Per Macerata ed Ascoli abbiamo poi il seminario neocatecumenale Redemptoris Mater che in trent’anni ci ha donato un centinaio di sacerdoti.

Come affrontare la questione delle vocazioni?

Dobbiamo affidarci al Padrone della Vigna. Tenendo presente che la parrocchia è viva se insieme al prete ci sono un gruppo di famiglie che vivono la fede in profondità e la trasmettono ai figli e anche un volontariato impegnato con gioia nella carità o nell’evangelizzazione. E da una parrocchia viva, dove ci sono figure laicali di questo genere, nascono i diaconi e le vocazioni sacerdotali o religiose. Le vocazioni non fioriscono dai grandi numeri, ma da queste realtà vive, anche se piccole.

Avete affrontato anche il tema dell’accorpamento delle diocesi?

Non ne abbiamo parlato direttamente, ma condividendo la nostra convinzione che la collaborazione nella pastorale tra diocesi vicine è oggi fondamentale. Dove questa collaborazione è sufficiente a mantenere una vita cristiana che garantisce una vita di evangelizzazione e accoglienza, questa collaborazione è la risposta. Questa collaborazione in certi casi può portare anche, se cresce, ad un accorpamento e unificazione delle diocesi. Noi vescovi non siamo chiusi su questo. Comunque mi piace notare che negli ultimi anni nelle Marche la collaborazione tra le diocesi, come anche tra le parrocchie, è cresciuta tantissimo.

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