Il Papa con i bambini nella Via Crucis del Venerdì Santo - Ansa
Il pensiero, maligno, l’abbiamo fatto tutti. Con una pandemia in corso, e migliaia di morti ogni giorno, è logico dedicare la Via Crucis del Venerdì Santo a una recita scolastica mancata e a una partita di pallone andata male? Abituati a giudicare le parole dal ruolo e il potere di chi le pronuncia, ci stupiamo quando siamo chiamati a fare i conti con la realtà minuta, quotidiana, dimenticando che proprio sui piccoli-grandi dispiaceri dell’esistenza bambina spesso si costruisce l’impalcatura del malessere adulto. I ragazzi ci costringono a fare un passo indietro, parlano il vocabolario della semplicità, vivono ancora nella dimensione in cui i discorsi e la bocca che li pronuncia sono in stretto contatto con il cuore.
Sentimenti, come sappiamo tutti, che tornano, per così dire si recuperano, quando il dolore, la sofferenza, ci strappano dal viso le maschere usate per nascondersi. Per questo la scelta del Papa di affidare i testi delle meditazioni e i disegni della Via Crucis a bambini e ragazzi, più che una sfida, e in parte lo è, rappresenta un omaggio alla ricerca della verità. E poi se sinceramente, come ripetiamo ogni giorno, vogliamo mettere i piccoli al centro, va accolto anche i loro linguaggio. Ascoltandolo scopriremmo, come recitava la preghiera iniziale di Venerdì, che anche i bambini hanno delle croci, «che non sono né più leggere né più pesanti di quelle dei grandi» e pesano «anche di notte».
Solo, hanno perimetri differenti dai recinti che stringono tanti cuori adulti, impedendogli di dare respiro ai sogni, di trovare un cielo per il volo del cambiamento e della libertà. Ad appesantire le loro ali è il silenzio davanti all’ingiustizia, quello che nel vocabolario dei grandi si chiama viltà e omissione, è il no sbattuto in faccia al diverso, cioè la mancata accoglienza, è il ritenersi superiori agli altri, vale a dire il peccato d’orgoglio. No, non è difficile riconoscersi nelle meditazioni preparate dai ragazzi del gruppo scout Agesci “Foligno I” e della parrocchia romana Santi Martiri d’Uganda. Le loro riflessioni parlano di bullismo, di solitudine, di nostalgia per gli amici, di dolore feroce per la perdita di un nonno. Raccontano un mondo difficile da cambiare dal di dentro.
Ecco allora l’importanza dei disegni che hanno illustrato la Via Crucis del Venerdì Santo.
A realizzarli i piccoli ospiti della case famiglia “Mater Divini Amoris” e “ Tetto Casal Fattoria”. Bambini con alle spalle storie di abbandono e di paura che, malgrado questo, nelle didascalie delle illustrazioni chiedono a Gesù di toccare il loro, di cuore. Non accusano il mondo esterno, ma gli aprono le porte, nel modo più immediato e concreto che conoscono, quello di crescere nell’attenzione al prossimo. Gesù «insegnami ad essere gentile e aiutare gli altri», recita il disegno della prima stazione, «vorrei perdonare chi mi prende in giro ed essergli amica» chiede eroica la “protagonista” dell’XI tappa dolorosa, «fammi fare il bravo con chi mi fa i dispetti», invoca chi commenta per immagini la morte di Gesù in croce.
I piccoli ci insegnano che tante volte è colpa nostra, che fare il bene è scomodo, che correggere un fratello anche se necessario costa fatica, che donare dà più gioia che ricevere, che si sta male quando vieni preso in giro e non ti invitano alle feste. Gesù «tu sai quanto è difficile imparare a non aver paura del buio e della solitudine », recita una preghiera dell’altra sera. Ed è una grande verità, il racconto di un’angoscia di cui non ci si libera mai. Perché siamo tutti mendicanti di luce e di abbracci. Ad ogni età. Semplicemente da adulti perdiamo l’onestà di ammetterlo.