Fabio Geda è nato nel 1972 a Torino. Come scrittore esordisce nel 2007 con «Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani». Tra i suoi romanzi “Nel mare ci sono i coccodrilli” e “Il demonio ha paura della gente allegra”. L’ultimo, uscito nel 2019, è «Una Domenica».
L’importanza di riscoprire una narrazione “umana”, che cioè sappia parlare del buono e «del bello che ci abita». Ma anche la denuncia di un mercato della comunicazione che «mette insieme informazioni non verificate » e proclami d’odio, finendo per spogliare l’uomo della sua dignità. Sullo sfondo, la Sacra Scrittura come storia d’amore e l’immagine di un Dio “Narratore”, che scrive con l’inchiostro della passione per le sue creature e possiede, Lui solo, «il punto di vista finale». Nel Messaggio per la 54ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Papa sottolinea che, per non smarrirci, abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone, storie che edificano, storie che aiutano a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Spunti di bene, anticipo di infinito che però si possono riconoscere anche dentro il racconto del male. «Una cosa non esclude l’altra – sottolinea Fabio Geda, lo scrittore torinese autore del celebre “Nel mare ci sono i coccodrilli”–. Raccontare il bello non vuol dire fasciarci gli occhi per non vedere il brutto e così narrare ciò che non funziona non significa evitare di fare emergere quello che va bene. I due aspetti devono andare di pari passo. Bisogna mostrare il bello, che ci può indicare la strada per le nostre scelte e contemporaneamente fare emergere ciò che bello non è, perché è lì che si deve intervenire».
Forse si potrebbe dire che il racconto del buio, del male può suscitare interrogativi profondi, facendoci superare false certezze un po’ troppo superficiali.
Il negativo può essere utilizzato in molti modi. Purtroppo da alcuni anni una certa politica usa ciò che non funziona come strumento elettorale, alimentando le paure, creando emergenze dove non ci sono, in una sorta di strategia della tensione preventiva che propone soluzioni a problemi che ancora non esistono. Si tratta di essere equilibrati nel riconoscere ciò che non va e onesti nel fare emergere il positivo. Per poi mettere queste analisi al servizio della comunità.
Nei suoi romanzi, penso a “Nel mare ci sono i coccodrilli», come pure all’ultimo “Una domenica” lei affronta argomenti caldi e divisivi come l’immigrazione, l’integrazione e l’accoglienza.
a letteratura può fare tante cose, tutte utili. Dal puro intrattenimento per il relax serale di chi torna a casa stanco, fino a diventare una lente deformante che ci aiuta a vedere meglio la verità del mondo che ci circonda. Io attraverso i romanzi, cerco, perché non riesco a fare altrimenti, di mostrare pezzi di mondo che mi interessa illuminare. Per me la letteratura è un po’ una torcia, io la porto negli angoli bui, cerco di fare luce e invito il lettore a entrare. Sarà poi lui ad abitare quella storia e a portarsi a casa nella propria esperienza quello che desidera.
Un suo romanzo si intitola “Il demonio ha paura della gente allegra” che poi è una massima di don Bosco. Nella comunità cristiana si parla tanto di gioia ma forse la si pratica poco.
Bisogna assolutamente ritornare a sorridere, a raccontare il futuro non come una minaccia. Torno al discorso dell’equilibrio fatto prima. La mia generazione, che è stata adolescente tra gli anni ’80 e ’90, è fatta di persone che si sono ancora sentite raccontare il domani come qualcosa di bello, ricco di promesse, in cui bastava studiare per trovare lavoro, dove scienza e tecnologia erano al nostro fianco. Ora ci siamo resi conto che non è sempre così. Che ad esempio dobbiamo essere noi a governare la tecnologia e non viceversa, che purtroppo il mercato del lavoro è diventato sempre più complicato. Stiamo riversando sui nostri ragazzi un’idea di futuro estremamente minacciosa. Nelle scuole in cui vado a parlare dei miei libri, percepisco tanti ragazzi preoccupati per il domani e arrabbiati per il fatto di sentire poco gli adulti al loro fianco. Credo che vada creata una nuova alleanza tra le generazioni, che si debba tutti quanti scendere per strada e combattere insieme la battaglie che vanno combattute. E possibilmente farlo sorridendo.
Allora il compito dello scrittore, della letteratura, al servizio della verità quale dev’essere? Il compito della letteratura è fornire un paio di occhiali per meglio leggere la complessità del mondo che ci circonda. Un buon servizio alla verità è non tradurla in slogan, cosa invece che fanno spesso i mass media e la politica. Tutto diventa occasione per un titolo gridato, per frasi fatte da ripetere ossessivamente. La letteratura invece ti offre la complessità così com’è, per leggere un romanzo devi affrontare 200-300 pagine di storia che non si possono riassumere in una frasetta tipo “bacio Perugina”. Questo credo sia il servizio maggiore che la letteratura fa alla verità.